Paranoid Park |
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Un film di Gus Van Sant.
Con Gabe Nevins, Daniel Liu, Jake Miller, Taylor Momsen, Lauren Mc Kinney.
continua»
Thriller,
durata 90 min.
- Francia, USA 2007.
- Lucky Red
uscita venerdì 7 dicembre 2007.
MYMONETRO
Paranoid Park ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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La lentezza e l'immagine
di GiuliaFeedback: |
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venerdì 11 luglio 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La lentezza della vita e del pensiero; di un pensiero, però, che non viene tradotto in espressione, ma che viene celato al pubblico e lasciato all’interpretazione dell’empatico. Il film non è probabilmente un capolavoro, eppure si colloca nel microcosmo dell’arte cinematografica come un esempio di realismo soggettivo, una forma che appartiene alla realtà ma che può essere passata al vaglio solo dalla finzione. In questo senso si leggono i silenzi del protagonista, la storia che si ripete, esattamente come quando si è chiamati a rievocare, accidentalmente e non, a raccontare e riraccontare. La macchina da presa indugia sulle scene della scrittura, quando il ragazzo siede e riflette, scene che, nella realtà, sono appunto l’emblema di quel che resta della lentezza. Quel che è dentro, il peso dei fatti, viene sciolto nella parola e poi si perde in un fiamma alimentata da un passato che è messo da parte ormai cosciamente. Tutto il resto è fuori, la ragazza, la madre, la scuola, ma è anche dentro, è dentro il ragazzo, non trapela; forse il volto inespressivo di Alex bambino adolescente nasconde la paura? O forse anche l’omicidio è per lui nulla più se non un evento del passato? E’ un apatico? Non v’è spazio per nessuna lettura univoca. Lo scandaglio del personaggio non esiste, è assente, è lasciato alle coscienze di uomini adulti che possono urlare all’omicidio (come quelli che urlano al capolavoro), che possono sonnecchiare indifferenti (come queli che al cinema s’addormentano), che possono interrogarsi sul senso e sulla responsabilità di questa abulia adolescenziale. Cosa resta a questo spettatore allora? Resta la forma, il movimento cadenzato e spigoloso degli skater, il ritmo lento della culla – tunnel, le prigioni all’aria aperta in cui questo movimento si esplica, resta l’immagine di questo mondo chiuso e lontanissimo che è per il protagonista, invece, un’evasione paranoica da accostarsi all’esperienza della droga. Una droga salubre però, che non lascia dietro di se’ i postumi della crisi d’astinenza. E per questo suo essere una droga leggera che Alex la rifiuta, o meglio la sostituisce, coll’ebbrezza del saltare sui treni merce in corsa, quella sì una droga fatale, consapevolmente o meno. L’immagine sfocata della vita reale e la nitidezza delle scene più propriamente cinematografiche, come quando il ragazzo cammina lungo il viale alberato, sottolineano il contrasto che c’è tra la percezione e la rappresentazione, l’una vaga, imprecisa, non definita (come quando il ragazzo teme che gli occhi del poliziotto o delle due ragazze lo stiano indagando), l’altra chiara, limpida, perfetta. Perché dunque, e soprattutto come, il film, che non è un giallo, giacchè la storia è dispiegata nella sua ovvietà sin dall’inizio, riesce a coinvolgere lo spettattore fino alla fine? Vuole questi conoscere l’esito della storia? La colpevolezza palese del ragazzo? L’arresto? La confessione? In questo certamente nasce la delusione di molti, nel fatto che tutto resta in sospeso, non c’è comunicazione tra lo spettatore e il narratore (la macchina da presa). Ed ancora, di nuovo, infine, resta l’immagine, il suono, il desiderio di capire, e la certezza di non sapere.
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