Roberto Rombi
La Repubblica
Prendendo in giro una famiglia dì ebrei un film tedesco ha infranto un tenace tabù. «Alla nuova generazione, che non ha vissuto l’Olocausto, gli ebrei sono stati raccontati sempre come vittime. Adesso basta, quello che si è (ano finora è sufficiente. Di loro si può anche ridere» dichiara il regista Dani Levy, a Roma per presentare la sua commedia Zucker! - Come diventare ebreo in 7 giorni che uscirà domani distribuito da Lady Film. Zucker!, in Germania, ha già incassato circa dieci milioni di euro, partendo da un esiguo budget (1 milione e 200 mila euro), ha rastrellato premi e riconoscimenti e soprattutto ha infranto quella sorta di autocensura che vietava dì propone in forma comica la vita degli ebrei.
La commedia mette a confronto le due parti di una famiglia ebrea divisa tra Germania dell’Est e Germania dell’Ovest. Jaeckie (Henry Fjubchen) era un cronista sportivo nel settore comunista ma con la caduta del Muro è finito sul lastrico, è pieno dì debiti, la moglie vuole abbandonarlo, i rapporti con i tigli sono difficili. E difficili sono anche i rapporti con suo fratello residente a Francoforte, un capitalista a capo di una famiglia strettamente ortodossa. Quando la madre muore impone ai due fratelli che rispettino insieme i rigorosi rituali del lutto ebraico. Jaeckie deve imparare tutto di una cultura e di una religione dimenticate. «Mi sono trasferito nel 1980 a Berlino con grande sorpresa della mia famiglia che da lì era fuggita» spiega Dani Levy. «Mia madre aveva avuto un’esperienza terribile ma di questo non si parlava mai come non si parlava dell’Olocausto. Ma era una cosa che in casa si percepiva sempre. Ho visto Berlino cambiare dopo la caduta del Mure e ancora si vede la differenza tra chi è cresciuto di qua o di là dal muro, sono persone con background diversi. Ora il. capitalismo si è impadronito dei paesi ex comunisti ma nella mia storia il socialista perdente finisce per essere, valutandolo col cuore, il vincitore».
In Israele il film è uscito quattro mesi fa ed è stato accolto in maniera vivace e controversa. «Una parte della società» commenta il regista «si chiede se sia consentito prendere in giro gli ebrei. Temono che questo possa rappresentare un pericolo, un’occasione per alimentare sentimenti antisemiti. Sono stato accusato da uno spettatore dì Gerusalemme di aver dato spazio alla propaganda antisemita di Goebbels. Nel mirino c’era questa famiglia disordinata, piena dì passionalità, contraddizioni e conflitti. Non capivo tali critiche, poi ho scoperto che i nazisti si sono accaniti contro tutto ciò che non era perfetto».
«In Germania il pubblico è riuscito a trovare nel mio film qualcosa di particolare» continua Dani Levy «un po’ come è successo con Goodbye Lenin dove scopriva, anche senza averne la percezione, una cultura che gli mancava. Per quanto riguarda gli ebrei è stato importante per me La vita è bella. Benigni ha varcato la linea di confine, ha spezzato un tabù raccontando un campo di concentramento in maniera giocosa. E stato un progetto veramente coraggioso, compensato dal sorprendente successo che ha avuto in tutto il mondo».
Da La Repubblica, 24 novembre 2005
di Roberto Rombi, 24 novembre 2005