Zucker!... Come diventare ebreo in 7 giorni

Un film di Dani Levy. Con Henry Hübchen, Hannelore Elsner, Udo Samel, Golda Tencer, Steffen Groth.
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Titolo originale Alles auf Zucker!. Commedia, durata 90 min. - Germania 2004. uscita venerdì 25 novembre 2005. Acquista »
   
   
   

Roberto Nepoti

La Repubblica

Se il cinema è anche uno specchio in cui si riflette la società, vale la pena di registrare una (contro) tendenza di oggi. Sullo schermo abbiamo visto tante volte gli ebrei costretti a fingersi “goyim” (gentili) cercando di salvarsi la vita; oggi, i personaggi dei film ostentano invece le proprie origini ebraiche, magari millantandole (Vai e vivrai, Lord of War). In Zucker, successo in Germania, il protagonista è ebreo di nascita ma, cronista sportivo e acchiappasottane nella Berlino Est, ha appeso al chiodo identità e religione da decenni. Ora, per Jakob detto Jaeckie le cose sono cambiate: caduto il Muro, l’uomo vivacchia giocando a biliardo e accumula i debiti, mentre sua, moglie minaccia di andarsene.. La soluzione sembra venire colla dipartita di mamma, che però ha imposto una condizione: prima di incamerare la sua parte di eredità, Jaeckie dovrà tornare a essere Jakob, riconciliandosi con l’ultra-ortodosso fratello Samuel. Il quale è in arrivo a casa sua, accompagnato da tutta la famiglia. “Non è mai troppo tardi per diventare ebrei” sentenzia la consorte, gettandosi in un corso accelerato di lingua, religione e cucina kosher. Suo marito, invece,è ben deciso a partecipare a un campionato di biliardo, in cui ha riposto le ultime speranze. Come conciliare il fitto rituale della shivà, la settimana di lutto che esclude ogni attività sociale, con le sedute al tavolo verde? Jaeckie simula un attacco di cuore, facendosi ricoverare e fingendo ricadute a ogni una nuova partita. L’alternanza tra riti religiosi e rito sportivo è il nocciolo duro di una commedia degli equivoci a sfondo nero parecchio riuscita, un po’ appesantita dai dilagare della voce narrante del protagonista, però graffiante e beffarda nell affrontare argomenti delicati come il rapporto dei tedeschi col popolo ebraico o il dopo-Muro. Pur nella scelta grottesca, lo sceneggiatore e regista del film, Dani Levy, mantiene un tono equilibrato: alterna scene comiche con altre più serie, senza abbandonarsi alle tentazioni dei cinismo. La sua è una commedia famigliare, non priva di sfumature psicologiche, nella tradizione dell’umorismo ebraico. Che — ce lo hanno dimostrato Lubitsch, Allen e altri grandi - si preoccupa assai meno del politicamente corretto che di rappresentare le debolezze umane in modo diretto, autoironico e, al caso, anche sfacciato.
Da La Repubblica, 25 novembre 2005


di Roberto Nepoti, 25 novembre 2005

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