harroldthebarrel
|
domenica 21 novembre 2021
|
mah...
|
|
|
|
Le lodi a questo film mi sembrano francamente esagerate. Se non si conosce la storia vera che lo ha ispirato, così come la situazione in Corea, si fatica ad apprezzare il piano quasi macchiettistico con il quale viene descritta la vicenda e i poliziotti protagonisti. Resta però, pur con spunti interessanti e una azzeccata fotografia volutamente dai toni sbiaditi, un film che lascia perplessi, a tratti un po' noioso e con un eccessivo miscuglio di registri diversi.
|
|
[+] lascia un commento a harroldthebarrel »
[ - ] lascia un commento a harroldthebarrel »
|
|
d'accordo? |
|
luca scialo
|
martedì 22 settembre 2020
|
critica ad una polizia incapace
|
|
|
|
Bong Joon-ho ha caratterizzato la propria filmografia sulla critica politico-sociale rivolta alla sua Sud Corea. Che ha scelto il capitalismo in contrapposizione con l'altra metà del Paese, ma non disdegna ingiustizie ed incapacità nelle proprie istituzioni. In questa pellicola, la critica è incentrata sulla polizia. Inefficiente e autoritaria, più che autorevole. La quale abusa del proprio potere per controbilanciare la propria incapacità di trovare uno spietato serial killer. Il film è stato premiato a Torino Film Festival, secondo di un regista promettente.
|
|
[+] lascia un commento a luca scialo »
[ - ] lascia un commento a luca scialo »
|
|
d'accordo? |
|
carloalberto
|
sabato 19 settembre 2020
|
coreani brava gente
|
|
|
|
Lo stile di Bong Joon-ho, in questo noir anomalo, ricorda quello di un certo neorealismo italiano, penso, in particolare, al Monicelli de La Grande Guerra o al Fellini de I Vitelloni, che, attraverso la commedia o la tragicommedia e personaggi caratterizzati in modo tale da risultare farseschi, intendeva mostrare il carattere nazionale di un popolo, mettendone alla berlina i difetti ed esaltandone al contempo, a mo’ di contrappunto musicale, i pregi. Queste opere, in apparenza ispirate al castigat ridendo mores, erano invero pure operazioni ideologiche, realizzate al fine di ricostruire, nel secondo dopoguerra, l’identità nazionale, finita in frantumi insieme alle macerie lasciate dal conflitto, mediante la creazione a tavolino, attingendo alle maschere della commedia dell’arte, di un italiano medio idealizzato, una sintesi umanizzata di Pulcinella e Arlecchino, in cui il popolo avrebbe potuto riconoscersi.
[+]
Lo stile di Bong Joon-ho, in questo noir anomalo, ricorda quello di un certo neorealismo italiano, penso, in particolare, al Monicelli de La Grande Guerra o al Fellini de I Vitelloni, che, attraverso la commedia o la tragicommedia e personaggi caratterizzati in modo tale da risultare farseschi, intendeva mostrare il carattere nazionale di un popolo, mettendone alla berlina i difetti ed esaltandone al contempo, a mo’ di contrappunto musicale, i pregi. Queste opere, in apparenza ispirate al castigat ridendo mores, erano invero pure operazioni ideologiche, realizzate al fine di ricostruire, nel secondo dopoguerra, l’identità nazionale, finita in frantumi insieme alle macerie lasciate dal conflitto, mediante la creazione a tavolino, attingendo alle maschere della commedia dell’arte, di un italiano medio idealizzato, una sintesi umanizzata di Pulcinella e Arlecchino, in cui il popolo avrebbe potuto riconoscersi. Grave errore del nostro cinema e sua l’enorme responsabilità di aver fornito quei modelli ad un popolo che avrebbe continuato, da allora, a ridere compiaciuto delle proprie debolezze fino ai giorni nostri.
Hwaseong, cittadina poco distante dalla Seul dei grattacieli e del benessere importato dagli americani, con i piccoli agglomerati di caseggiati anonimi e di baracche fatiscenti ai margini di sterminati campi coltivati, la gente umile del posto che negli anni ’80, in pieno boom economico, viveva ancora di agricoltura e di duro e pericoloso lavoro nelle cave, in condizioni di povertà ed in alcuni casi in estrema indigenza, i poliziotti ignoranti e violenti che utilizzavano la tortura come metodo routinario per condurre gli interrogatori, le manifestazioni di piazza e le rivolte sociali represse con durezza, non sono lo sfondo per un thriller, ispirato alla storia vera di un famoso serial killer della Corea del Sud, bensì i veri protagonisti del film. La società coreana degli anni ’80 è il soggetto indagato dal regista, in modo impietoso ed ironico, con sguardo ora sarcastico ora divertito ma mai esplicitamente drammatico anche nelle scene più crude.
La faccia simpatica da bambinone ingenuo e malizioso di Song Kang-ho, che sarà anche il protagonista di Parasite, svolge un ruolo analogo a quello di Alberto Sordi nel nostro cinema, personifica il cinismo indifferente, l’opportunismo e la superficialità becera, ma anche l’intimo attaccamento alla propria nazione, la sincera dedizione al proprio lavoro, spinta fino al sacrificio personale, e l’amore per la famiglia, della gente comune nella Corea dell’incipiente modernizzazione con conseguente trasformazione epocale da società agraria a potenza industriale super tecnologizzata. Insomma, parafrasando il titolo di un famoso film del nostro neorealismo, si potrebbe dire: Coreani brava gente. Ma sarà vero? O è l’ennesimo fantoccio creato dall’industria cinematografica per l’identificazione massiva in modelli di cittadini esemplari a cui il potere perdona le piccole furfanterie da gaglioffi a patto che siano buoni di cuore e cioè osservanti ortodossi ed obbedienti della triplice Regola valida in ogni angolo della terra: Lavoro, Patria e Famiglia?
[-]
|
|
[+] lascia un commento a carloalberto »
[ - ] lascia un commento a carloalberto »
|
|
d'accordo? |
|
felicity
|
venerdì 29 maggio 2020
|
crime che mescola commedia e dramma
|
|
|
|
I protagonisti del film sono essenzialmente dei poliziotti dai comportamenti quasi grotteschi e dalla moralità non cristallina (da cui si evince anche una critica, nei confronti dello stato coreano, su come gestisce e seleziona le forze dell’ordine), lontani anni luce dalla figura dell’(anti)eroe carismatico che siamo abituati a vedere in Occidente.
Tuttavia, quando la natura del lungometraggio cambia in maniera drastica (dai toni quasi demenziali della prima parte si passa al dramma puro), l’umanità di questi personaggi emerge con un impatto decisamente maggiore rispetto alla gran parte dei thriller o polizieschi made in Usa (merito anche della performance degli attori).
[+]
I protagonisti del film sono essenzialmente dei poliziotti dai comportamenti quasi grotteschi e dalla moralità non cristallina (da cui si evince anche una critica, nei confronti dello stato coreano, su come gestisce e seleziona le forze dell’ordine), lontani anni luce dalla figura dell’(anti)eroe carismatico che siamo abituati a vedere in Occidente.
Tuttavia, quando la natura del lungometraggio cambia in maniera drastica (dai toni quasi demenziali della prima parte si passa al dramma puro), l’umanità di questi personaggi emerge con un impatto decisamente maggiore rispetto alla gran parte dei thriller o polizieschi made in Usa (merito anche della performance degli attori).
Vive su tre piani temporali il film di Bong e riesce a coglierne le sfumature, le urgenze, i riflessi migliori e peggiori. Gli eventi degli anni Ottanta, il cambiamento degli anni Novanta, i successi degli anni Duemila.
Di questo perfetto film ci restano impresse alcune immagini sorprendentemente stratificate, in grado di raccontare gli abissi di un personaggio e della sua nazione: la foga assassina di Cho Yong-gu (Kim Roe-ha) durante la manifestazione; il tunnel che sembra inghiottire tutto e tutti, un buco nero che proietta alcuni verso il futuro e altri verso l’oblio; lo splendore dei campi di grano, la loro finta innocenza; la disperazione dei piccoli gesti e dei dettagli per altri insignificanti, come una maglietta tirata giù e un piccolo cerotto. E poi il volto di Song Kang-ho, quel primo piano che non sa darci una risposta. Il ricordo e l’ossessione.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a felicity »
[ - ] lascia un commento a felicity »
|
|
d'accordo? |
|
writer58
|
martedì 17 marzo 2020
|
memorie del virus
|
|
|
|
Il cinema al tempo del coronavirus lo scopri quando entri in sala e ti accorgi che due sedili su tre sono bloccati da fasce elastiche bianche e rosse per garantire lo spazio di sicurezza di un metro, indispensabile per non espandere il contagio. Anche se chi ti sta davanti sarà a 60 centimetri da te, la distanza non è rispettata.
Ironicamente, il film di Bong Joon-ho appare come una rappresentazione, anche se imperfetta, dell'epidemia: si parla di un assassino feroce e invisibile che colpisce apparentemente a caso, un seril killer imprendibile inseguito da un gruppo di poliziotti scalcinati e violenti che suppliscono con abusi alle loro carenze investigative.
[+]
Il cinema al tempo del coronavirus lo scopri quando entri in sala e ti accorgi che due sedili su tre sono bloccati da fasce elastiche bianche e rosse per garantire lo spazio di sicurezza di un metro, indispensabile per non espandere il contagio. Anche se chi ti sta davanti sarà a 60 centimetri da te, la distanza non è rispettata.
Ironicamente, il film di Bong Joon-ho appare come una rappresentazione, anche se imperfetta, dell'epidemia: si parla di un assassino feroce e invisibile che colpisce apparentemente a caso, un seril killer imprendibile inseguito da un gruppo di poliziotti scalcinati e violenti che suppliscono con abusi alle loro carenze investigative. La natura insieme casuale e attentamente pianificata degli omicidi (giovani donne che camminano da sole nella campagna intorno a Gyeonggi, non lontano dalla capitale della Corea), la ritualità delle esecuzioni, l'assenza di sentimenti di empatia non solo da parte dei protagonisti, ma anche nello sguardo del regista, tutto ciò contribuisce a creare un'opera in cui predominano i toni cupi e grotteschi, quasi un apologo delle condizioni della Corea del Sud negli anni '80.
I poliziotti sembrano più interessati a chiudere il caso a qualunque costo piuttosto che a scoprire il vero assassino. Tra pestaggi, confessioni estorte, imputati che si rivelano presto estranei ai fatti, ma che vengono obbligati a dichiararsi colpevoli, assomigliano più a una banda di picchiatori che a un gruppo di tutori dell'ordine. Ma anche il detective che arriva da Seul, dai modi evoluti e le tecniche moderne, risulta sostanzialmente incapace di dipanarre la matassa. Perché la radice del male è inconoscibile o forse è responsabilità di troppe persone e risulta impossibile individuare un singolo colpevole, Proprio come il virus che ci affligge, la colpa è di tutti (del nostro stile di vita, dell'alterazione degli equilibri del pianeta, del disastro climatico) e di nessuno in particolare.
La narrazione è efficace e procede senza tempi morti. Ne esce il ritratto di una società basata sull'arbitrio del potere e incapace di redenzione. Un ottimo lavoro, a mio giudizio persino superiore al super celebrato Parasite, che mantiene un apprezzabile rigore formale nonostante alcune accentuazioni che oscillano tra il comico e il grottesco.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a writer58 »
[ - ] lascia un commento a writer58 »
|
|
d'accordo? |
|
giandomenico
|
sabato 29 febbraio 2020
|
ho scoperto un regista di grande talento
|
|
|
|
Se Parasite mi è piaciuto tanto, Memorie di un assassino mi è piaciuto ancora di più. Un film che non ti annoia, che ti tiene incollato allo schermo, ben girato, ben recitato, una storia vera, cruenta, raccontata con ironia. Erano anni che un giallo fosse così interessante
|
|
[+] lascia un commento a giandomenico »
[ - ] lascia un commento a giandomenico »
|
|
d'accordo? |
|
rosmersholm
|
mercoledì 26 febbraio 2020
|
virtuosismi
|
|
|
|
Bong Joon-ho ha talento da vendere. Nella prima parte del film, la regia è perfetta, esatta, implacabile. Poi però, assecondando la necessità di seguire l'indagine, diventa più scontata ed usuale. Gli attori, secondo l'estetica coreana, sempre un po' sopra le righe ed i personaggi bozzettistici. Ma il limite maggiore, a mio parere, è nella scarsa profondità del racconto. I temi sono solo accennati e non basta la mano del virtuoso, per fare del film un vero capolavoro.
[+] illustrami
(di giandomenico)
[ - ] illustrami
[+] premesso
(di rosmersholm)
[ - ] premesso
|
|
[+] lascia un commento a rosmersholm »
[ - ] lascia un commento a rosmersholm »
|
|
d'accordo? |
|
lbavassano
|
domenica 23 febbraio 2020
|
ottimo
|
|
|
|
Utilizza tutta l'ampia strumentazione offerta dal genere poliziesco, da quello classico a quello aperto ad esiti più inquietanti, con virtuosismo non fine a se stesso. Ottimo.
|
|
[+] lascia un commento a lbavassano »
[ - ] lascia un commento a lbavassano »
|
|
d'accordo? |
|
fabio
|
giovedì 20 febbraio 2020
|
finto poliziesco coreano
|
|
|
|
Una coppia di poliziotti incapaci danno la caccia ad un serial killer in una sperduta cittadina coreana.
Il genere poliziesco viene preso in prestito per denunciare un sistema, quello della Corea post dittatura, ottuso e violento; il meccanismo narrativo è avvincente quanto basta per catturare lo spettatore fino alla fine. Bong John Ho si conferma regista talentuoso che ha la sua migliore arma nell'ironia: la capacità di infondere d'umorismo anche le scene più forti.
|
|
[+] lascia un commento a fabio »
[ - ] lascia un commento a fabio »
|
|
d'accordo? |
|
fabiofeli
|
lunedì 17 febbraio 2020
|
smaschero un assassino, se mi fissa negli occhi
|
|
|
|
Dalle parti di una cittadina della Corea del Sud nel 1986 viene trovato in un canale lungo i campi coltivati il corpo di una giovane donna violentata ed uccisa. Un investigatore di nome Park (Song Kang-ho) incolpa del delitto un ragazzo lento di comprendonio grazie a brutali interrogatori. L’investigatore si vanta di poter capire se un tizio è un assassino solo fissandolo negli occhi: una tecnica lombrosiana “avanzata”, non c’è che dire! Fabbrica una falsa prova con una impronta di scarpe da tennis nel fango vicino a quello che crede sia il luogo di ritrovamento del cadavere, regalando poi le scarpe al malcapitato accusato.
[+]
Dalle parti di una cittadina della Corea del Sud nel 1986 viene trovato in un canale lungo i campi coltivati il corpo di una giovane donna violentata ed uccisa. Un investigatore di nome Park (Song Kang-ho) incolpa del delitto un ragazzo lento di comprendonio grazie a brutali interrogatori. L’investigatore si vanta di poter capire se un tizio è un assassino solo fissandolo negli occhi: una tecnica lombrosiana “avanzata”, non c’è che dire! Fabbrica una falsa prova con una impronta di scarpe da tennis nel fango vicino a quello che crede sia il luogo di ritrovamento del cadavere, regalando poi le scarpe al malcapitato accusato. Ma da Seul giunge un altro investigatore, Seo Tae-yoon (Sang Kyung Kim), un po’ più esperto dell’altro: non crede alla colpa dell’incriminato che ritratta la confessione estorta, perché si susseguono sparizioni e uccisioni di “belle ragazze vestite di rosso nelle sere di pioggia”. Una ulteriore pista può essere fornita dalla concomitanza dei delitti con la trasmissione ad una radio locale di una certa canzone nelle sere di pioggia: va in carcere il giovane che ha telefonato alla radio per chiedere la messa in onda della canzone ed anche Seo adotta le maniere forti per farlo confessare. Gli omicidi, però continuano … e quindi che fare?…
Bong Joon-ho con questa pellicola del 2003 - il suo secondo film su otto girati, doppiato e distribuito solo dopo il successo dell’ottavo, lo strepitoso Parasite nella sera degli Oscar 2020 - ha ottenuto importanti premi nel 2003 (Festival di San Sebastiano, Tokyo e Torino). La storia è ambientata in anni nei quali la Corea del Sud è ancora governata con un regime antidemocratico. Il regista ama il grottesco e, come in Parasite, in Memorie di un assassino si susseguono ripetuti colpi di scena, che rovesciano di continuo lo stato delle indagini: l’attenzione del pubblico si focalizza su ipotesi, verosimiglianze, indizi, dettagli, presto smentiti dai fatti. Chi dovrebbe vigilare sulla sicurezza mette in pericolo chi non c’entra e continua a lasciar libero chi delinque pur di assicurare all’opinione pubblica (che lo reclama ad ogni costo) un capro espiatorio. Oltre a seguire l’abusato “proverbio” di cinema e letteratura del giallo – l’assassino torna sempre nel luogo del delitto – gli incaricati delle indagini provano con la “magia”, quando non funzionano le false prove e le torture, alle quali non si sottrae neanche l’investigatore più colto e dotato di maggiori strumenti pur di fare in fretta. Dalla storia esce un ritratto di un mondo distopico sempre più “universale” e, purtroppo, con qualche somiglianza anche con il nostro: questo ci mette a disagio e ci induce alla riflessione. Tecnica cinematografica, fotografia, sceneggiatura e recitazione sono impeccabili e già mature in questo film girato da Bong all’età di 34 anni. L’umorismo della storia più che rammentare i film di Kitano (noto ed apprezzato regista giapponese) ci ricorda la raffinata opera Right now, Wrong then (Giusto prima, sbagliato dopo), di un altro autore sudcoreano, Hong Sang-soo, premiata al Festival di Locarno nel 2015. Memorie di un assassino è da vedere, apprezzare e consigliare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabiofeli »
[ - ] lascia un commento a fabiofeli »
|
|
d'accordo? |
|
|