Il cinema al tempo del coronavirus lo scopri quando entri in sala e ti accorgi che due sedili su tre sono bloccati da fasce elastiche bianche e rosse per garantire lo spazio di sicurezza di un metro, indispensabile per non espandere il contagio. Anche se chi ti sta davanti sarà a 60 centimetri da te, la distanza non è rispettata.
Ironicamente, il film di Bong Joon-ho appare come una rappresentazione, anche se imperfetta, dell'epidemia: si parla di un assassino feroce e invisibile che colpisce apparentemente a caso, un seril killer imprendibile inseguito da un gruppo di poliziotti scalcinati e violenti che suppliscono con abusi alle loro carenze investigative. La natura insieme casuale e attentamente pianificata degli omicidi (giovani donne che camminano da sole nella campagna intorno a Gyeonggi, non lontano dalla capitale della Corea), la ritualità delle esecuzioni, l'assenza di sentimenti di empatia non solo da parte dei protagonisti, ma anche nello sguardo del regista, tutto ciò contribuisce a creare un'opera in cui predominano i toni cupi e grotteschi, quasi un apologo delle condizioni della Corea del Sud negli anni '80.
I poliziotti sembrano più interessati a chiudere il caso a qualunque costo piuttosto che a scoprire il vero assassino. Tra pestaggi, confessioni estorte, imputati che si rivelano presto estranei ai fatti, ma che vengono obbligati a dichiararsi colpevoli, assomigliano più a una banda di picchiatori che a un gruppo di tutori dell'ordine. Ma anche il detective che arriva da Seul, dai modi evoluti e le tecniche moderne, risulta sostanzialmente incapace di dipanarre la matassa. Perché la radice del male è inconoscibile o forse è responsabilità di troppe persone e risulta impossibile individuare un singolo colpevole, Proprio come il virus che ci affligge, la colpa è di tutti (del nostro stile di vita, dell'alterazione degli equilibri del pianeta, del disastro climatico) e di nessuno in particolare.
La narrazione è efficace e procede senza tempi morti. Ne esce il ritratto di una società basata sull'arbitrio del potere e incapace di redenzione. Un ottimo lavoro, a mio giudizio persino superiore al super celebrato Parasite, che mantiene un apprezzabile rigore formale nonostante alcune accentuazioni che oscillano tra il comico e il grottesco.
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