laureanda
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geniale ma di routine
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che non sempre si possa essere innovativi, o trovare nuove regole circa la grammatica del linguaggio cinematografico, è un fatto.Ma che solo in pochi siano in grado di rappresentarne la summa innovativa, geniale e originale di un intero secolo, è un altro fatto. E allora, meglio godersi un Brian de Palma non insuperabile, ma di tutto rispetto, piuttosto che scivolare nella noia del grigio orizzonte holliwoodiano. Del resto, dobbiamo al regista molte delle insuperabili metafore messe in immagine circa la società contemporanea. In fondo, un buon genio non muore mai, può solo eguagliare se stesso.
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(di eleuterio pigna)
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davide di finizio
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giovedì 12 agosto 2010
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un film fatale
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L'inizio ricorda un po' Mission impossible, con le minuziose sequenze del furto quasi perfetto. Ma l'autocitazionismo di De Palma non deve ingannare: Femme fatale non vuole essere un banale film di genere, è ambizioso, sovversivo ma, come spesso accade in questi casi, promette molto e non mantiene granchè. Almeno non apparentemente. E' la storia di Laure Ash, una spregiudicata ladra che approfitta di un fortuito scambio di persona per sfuggire alle grinfie del suo capo, lo spietato Black Tie, e cambiare vita. Ma lo scatto di uno squinternato paparazzo la rimetterà nei guai, costringendola ad orchestrare un piano diabolico e pericoloso.
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L'inizio ricorda un po' Mission impossible, con le minuziose sequenze del furto quasi perfetto. Ma l'autocitazionismo di De Palma non deve ingannare: Femme fatale non vuole essere un banale film di genere, è ambizioso, sovversivo ma, come spesso accade in questi casi, promette molto e non mantiene granchè. Almeno non apparentemente. E' la storia di Laure Ash, una spregiudicata ladra che approfitta di un fortuito scambio di persona per sfuggire alle grinfie del suo capo, lo spietato Black Tie, e cambiare vita. Ma lo scatto di uno squinternato paparazzo la rimetterà nei guai, costringendola ad orchestrare un piano diabolico e pericoloso. Se il prodotto finale si presenta caotico e multiforme, nel suo complesso è possibile rintracciare diversi elementi interessanti: la commistione dei generi; la complessità dei personaggi, con il conflitto tra l'onesto fotografo e la cinica protagonista; i riferimenti metacinematografici, con l'omaggio a Cannes e al noir; l'esasperato gusto per la citazione; i seppur maldestri tentativi d'introspezione, con l'improbabile e premonitore intervento della realtà onirica. Il risultato è un sofisticato pastiche, dall'intreccio assurdo e dal razionalismo parakubrickiano, che se da un lato aspira al perfezionismo formale, dall'altro comporta l'evidente paralisi degli effetti emotivi, persino nelle scene in cui è esibita una voyeuristica sensualità, come nell'incontro saffico tra la protagonista e l'allupata modella. Ciò che tuttavia spicca, al di là della traballante storia, al di là del risibile moralismo con cui Laure si redime ammaestrata dal sogno, è la deliziosa fotografia, che oltre all'indiscutibile valore estetico si carica di un simbolismo che trova riscontro nella figura di Nicolas Bardo, un buffo Banderas che interpreta magistralmente la parte di un uomo che vive dietro all'obiettivo, indiscreto osservatore, ma inetto spettatore delle dinamiche di quell' "inferno", secondo la definizione di Laure, che è la vita di cui fanno parte gli altri personaggi, e di cui lui riesce solo ad intuirne il male, attraverso i romanzi gialli di cui si dice accanito lettore. Anche la sua morte, soltanto sognata, è simbolo di quest'inadeguatezza, e poco importa che la realtà sia migliore del sogno: l'apparente happy end della vicenda è regolato dal Fato, da un'inquietante concatenazione di personaggi ed eventi di cui la femme, istruita dall'esperienza onirica, è pedina principale, e proprio in questo senso "fatale", lasciando al disadattato paparazzo un ruolo del tutto marginale. Sulla base di questa profonda riflessione si può intuire l'intimo disegno del film che, pur nelle sue imperfezioni, presenta una sottesa lettura che va ben oltre la superficiale sfera visiva, e di cui la polisemia del titolo è spia più o meno evidente. Del resto, questa tendenza è tipica della filmografia di De Palma e conferma il suo ennesimo tentativo di andare oltre l'apparente levità delle immagini. Il rischio, però, è che in questo modo si fa la gioia di pochi intenditori mentre, per il modesto fruitore, una soluzione del genere può essere fatale!
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nicolas bilchi
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giovedì 13 settembre 2012
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femme fatale.
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La "femme fatale" del titolo è la scultorea Rebecca Romjin, bellezza nordica dal fisico perfetto e dal sex appeal travolgente. Purtroppo non c'è molto altro. Non che la modella non riesca nella sua funzione d'attrice, a parte qualche strafalcione comunque trascurabile, il problema sta a monte: è proprio il personaggio che non funziona, per via della struttura in base alla quale De Palma valorizza il film. Escludendo il "prologo" (il furto dei diamanti e fino alla sequenza nella vasca) e l'epilogo tutto il film si riduce al sogno della protagonista, la quale dunque, a livello diegetico, non compie quasi nessuna di quelle azioni che dovrebbero valerle l'appellativo che dà il titolo all'opera. La stessa scelta di trasbordare violentemente l'impostazione del film dal piano del thriller classico a quello più astratto dell'onirismo produce, al di là dell'intuizione di base di De Palma, sicuramente interessante, una cesura troppo marcata, che fa perdere di senso all'intera opera.
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La "femme fatale" del titolo è la scultorea Rebecca Romjin, bellezza nordica dal fisico perfetto e dal sex appeal travolgente. Purtroppo non c'è molto altro. Non che la modella non riesca nella sua funzione d'attrice, a parte qualche strafalcione comunque trascurabile, il problema sta a monte: è proprio il personaggio che non funziona, per via della struttura in base alla quale De Palma valorizza il film. Escludendo il "prologo" (il furto dei diamanti e fino alla sequenza nella vasca) e l'epilogo tutto il film si riduce al sogno della protagonista, la quale dunque, a livello diegetico, non compie quasi nessuna di quelle azioni che dovrebbero valerle l'appellativo che dà il titolo all'opera. La stessa scelta di trasbordare violentemente l'impostazione del film dal piano del thriller classico a quello più astratto dell'onirismo produce, al di là dell'intuizione di base di De Palma, sicuramente interessante, una cesura troppo marcata, che fa perdere di senso all'intera opera. Come sceneggiatore Brian De Palma mostra numerose lacune, non solo sul piano macrogenerale ma anche in riferimento a tutta una serie di dettagli francamente poco credibili sul piano logico: ad esempio, come fanno i due coniugi che scambiano la protagonista per Lily ad introdursi in casa di lei? E che valore può avere la scena dell'uccisione della ragazza bionda se poi una manciata di secondi dopo i suoi due ex colleghi trovano le informazioni che cercavano sul manifesto in piazza? Queste, ed altre che eviterò di enunciare per ragioni di spazio e di leggibilità, sono tutte imprecisioni che non farebbero poi scalpore in un B-movie o in una produzione strettamente di genere, ma che ritengo sia lecito non aspettarsi da parte di un regista affermato e giustamente molto rinomato.
Tuttavia non bisogna assumere un atteggiamento troppo severo: quest'opera deve essere letta principalmente, più che sul versante narrativo, come un grande esercizio di stile. La storia in sè per sè costituisce soltanto un canovaccio (tra l'altro assai lacunoso ed approssimativo), risulta funzionale al grande sperimentalismo di De Palma, che non esita a rompere le convenzioni classiche dei generi pur di poter rendere legita testualmente anche la più audace delle soluzioni: si pensi allo spasmodico montaggio alternato, in apparenza privo di alcun valore diegetico, che caratterizza la sequenza del bagno nella vasca, o alla divisione dello schermo in due parti nella scena della chiesa, in cui la medesima azione viene rimarcata da due punti di vista differenti, l'uno neutro e l'altro sostanzialmente soggettivo, senza che tra essi si verifichi alcuna forzatura spazio-temporale. Nello stesso discorso può essere inserita anche la forte componente cinefila che contraddistingue il film e lo connota come una sorta di rispettoso omaggio al noir classico e al cinema di tensione hitchcockiano, come si può vedere assai chiaramente dalla prima scena (in cui viene mostrato uno spezzone de "La fiamma del peccato" di Billy Wilder) e più in generale in molte situazioni, personaggi o addirittura modelli figurativi che ricorrono con una certa costanza lungo tutto il testo filmico.
Tirando le somme ci troviamo di fronte ad un'opera ambivalente, assai debole dal punto di vista strutturale e narrativo, interessentissima se si va ala ricerca di un approccio di tipo stilistico e di una riflessione sulle potenzialità espressive della macchina da presa come puro strumento tecnico.
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wing117
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sabato 5 aprile 2014
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déjà vu fatale
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Déjà vu (questo poteva essere il titolo del film) seduce, intriga come una “femme fatale”.
De Palma firma un thriller elegante, lussuoso, originale, pur omaggiando il noir classico francese, “Blow-up” di Antonioni (si pensi alle atmosfere o al protagonista maschile che rimanda anche a “Blow-out” di De Palma) e la “Fiamma del peccato” di Wilder e traendo ispirazione da Hitchcock e da “Mulholland Drive” di Lynch.
Affascina il modo in cui sono trattati temi come i sogni premonitori (quello della protagonista del film che condizionerà la sua vita e quelle di altri), il rapporto tra sogno e realtà, la sincronicità, il dejà vu (tra l’altro, lo spettatore attento troverà il manifesto “Déjà vu 2008” più volte nel corso della visione), il rapporto tra il libero arbitrio e il destino, l’amore, il peso del passato, il significato dei numeri (ogni orologio presente nel film segna l’orario 3:33) e dell’acqua.
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Déjà vu (questo poteva essere il titolo del film) seduce, intriga come una “femme fatale”.
De Palma firma un thriller elegante, lussuoso, originale, pur omaggiando il noir classico francese, “Blow-up” di Antonioni (si pensi alle atmosfere o al protagonista maschile che rimanda anche a “Blow-out” di De Palma) e la “Fiamma del peccato” di Wilder e traendo ispirazione da Hitchcock e da “Mulholland Drive” di Lynch.
Affascina il modo in cui sono trattati temi come i sogni premonitori (quello della protagonista del film che condizionerà la sua vita e quelle di altri), il rapporto tra sogno e realtà, la sincronicità, il dejà vu (tra l’altro, lo spettatore attento troverà il manifesto “Déjà vu 2008” più volte nel corso della visione), il rapporto tra il libero arbitrio e il destino, l’amore, il peso del passato, il significato dei numeri (ogni orologio presente nel film segna l’orario 3:33) e dell’acqua.
Naturalmente De Palma non dimentica l’autocitazione: il Sexy Shop dove si reca la protagonista rimanda a “Body Double” (“Omicidio a luci rosse”), così come lo spogliarello della stessa a cui assiste Banderas; il locale parigino “Le Paradis” ha un nome che ricorda il “Paradiso” de “Il fantasma del palcoscenico”; i temi del doppio, del travestimento, dell’inganno, dell’apparenza e della percezione in contrasto con la realtà, del voyeurismo sono presenti anche in “Femme fatale” (i precedenti illustri sono “Vestito per uccidere”, “Body Double”, ecc.).
Erotismo, violenza e un pizzico di paura e di ironia sono ben dosati in un film che non perde mai tensione e ritmo.
L’incastro narrativo e l’estetica, lo stile, il talento del miglior De Palma rendono “Femme fatale” un film che appaga sensi e mente e un’opera riuscita, come sintetizza la meravigliosa immagine finale. Un film che coinvolge e che è anche riflessione sul cinema e su alcuni aspetti misteriosi della vita.
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nicolò
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sabato 2 giugno 2007
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romijn-stamos allo status di "femme fatale"
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Un paparazzo (Antonio Banderas) coglie sul fatto una bella ladra di gioielli (Rebecca Romijn-Stamos) che sta mettendo a segno un ingente colpo. Lei, braccata dalla malavita con cui ha dei conti in sospeso, si fa aiutare da lui che ne è in qualche modo responsabile. La formula di suspense e voyeurismo è sempre quella che decretò il successo di De Palma - anche sceneggiatore - negli anni ’80 con "Omicidio a luci rosse" e che si ispira ad Hitchcock, cambiano le intenzioni: quello di piacere al pubblico è un obiettivo troppo pretenzioso. Voleva lanciare la conturbante Romijn-Stamos, già della squadra di "X-Men".
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nick castle
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giovedì 26 agosto 2010
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de palma goes in france...
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Un po' deludente questo omaggio di De Palma al noir francese. In questo periodo, De Palma, un po' dimenticato da Hollywood si rivolge alla Francia, che gli stanzia 35 milioni dollari. Così De Palma ingaggia, la Romijin-Sramos, la mistica di X-Men e il caro Antonio Banderas come protagonisti, richiama uno dei suoi montatori di fiducia (Bill Pankow) e si mette al suo fianco il direttore della fotografia francese Thierry Arbogast, quànon al suo meglio purtroppo. Se l'intento era di omaggiare i vecchi noir francesi, c'è proprio da dire che di noir non ha niente, mentre sembra più essere un incrocio tra Mission:Impossible, Ronin e Scatto mortale: Paparazzi.
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Un po' deludente questo omaggio di De Palma al noir francese. In questo periodo, De Palma, un po' dimenticato da Hollywood si rivolge alla Francia, che gli stanzia 35 milioni dollari. Così De Palma ingaggia, la Romijin-Sramos, la mistica di X-Men e il caro Antonio Banderas come protagonisti, richiama uno dei suoi montatori di fiducia (Bill Pankow) e si mette al suo fianco il direttore della fotografia francese Thierry Arbogast, quànon al suo meglio purtroppo. Se l'intento era di omaggiare i vecchi noir francesi, c'è proprio da dire che di noir non ha niente, mentre sembra più essere un incrocio tra Mission:Impossible, Ronin e Scatto mortale: Paparazzi. Insomma, un po' un pasticcio questo debole thriller. Purtroppo inadatte in questo film, le incalzanti musiche di Ryuichi Sakamoto, riappacificato con De Palma dopo la quetione di Mission to Mars.
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ultimoboyscout
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mercoledì 30 maggio 2012
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le seduzioni di laura.
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Non è un film alla Brian DePalma, il regista ci ha abituati ad opere di ben altro lavoro, "Femme fatale" si lascia solo guardare risultando stilisticamente impeccabile, con un confezionamento iperpatinato e incredibilmente raffinato ma fin troppo vuoto, freddo e rigido. Si tratta di un thriller con sfumature hot, stracolmo di cliche, in cui nessun attore lascia il segno. Solo DePalma, nonostante questo sia uno dei suoi peggiori film, dimostra classe anche e soprattutto grazie alla parte iniziale (la cosa più bella e poetica dell'intera pellicola, sublime!) in cui tutto si muove e ruota sul "Bolero" di Ravel. Il regista omaggia senza mezzi termini Hitchcock ma rimane ben distante da quel tipo di cinema, la tensione si mescola al glamour ma resta una certa sensazione di incompiuto e di indigesto, poichè non di facilissima comprensione.
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Non è un film alla Brian DePalma, il regista ci ha abituati ad opere di ben altro lavoro, "Femme fatale" si lascia solo guardare risultando stilisticamente impeccabile, con un confezionamento iperpatinato e incredibilmente raffinato ma fin troppo vuoto, freddo e rigido. Si tratta di un thriller con sfumature hot, stracolmo di cliche, in cui nessun attore lascia il segno. Solo DePalma, nonostante questo sia uno dei suoi peggiori film, dimostra classe anche e soprattutto grazie alla parte iniziale (la cosa più bella e poetica dell'intera pellicola, sublime!) in cui tutto si muove e ruota sul "Bolero" di Ravel. Il regista omaggia senza mezzi termini Hitchcock ma rimane ben distante da quel tipo di cinema, la tensione si mescola al glamour ma resta una certa sensazione di incompiuto e di indigesto, poichè non di facilissima comprensione. DePalma fa ciò che vuole della storia e dello spettatore, va avanti veloce poi rallenta e poi riparte, scompagina tutto per poi ricominciare da principio per condurci dove meglio crede (forse da nessuna parte alla fine). Le strade intraprese sono diverse, c'è poca chiarezza, situazioni e personaggi non sono ma sembrano essere, tutto appare aleatorio e sospeso, nulla è certo tranne la presenza forte di BDP, che mixa destino e premonizioni in un turbinio da pornosoft che un pò guasta certe atmosfere. La Romijn c'entra poco col film, molto femme ma poco fatale e Banderas nella solita versione latintruzzo sembra essere giunto al capolinea, prevalgono le intenzioni sul risultato, i virtuosismi (tantissimi) sulla sostanza, l'artificioso sul misterioso, in poche parole la scatola è magnifica, il contenuto no. Andrebbe visto approcciandosi in maniera poco razionale, lasciarsi cullare e trasportare dalle atmosfere di cui BDP è sempre stato maestro. Risultato molto contraddittorio, restano senza ombra di dubbio split-screen e grandangoli per un puzzle fotografico da urlo.
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samanta
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lunedì 5 giugno 2023
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doppia identità. recensione
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E' un film del 2002 che è diretto da Brian De Palma (anche sceneggiatore), noto regista di Hollywood che apertamente si dichiarò attratto da Hitchcock, realizzando molti film del genere thriller alcune volte con cadute di stile (Omicidio a Luci rosse) altre con buone o ottime realizzazioni (Blow Out, Scarface, Gli Intoccabili), infarcendo spesso i film con nudi e scene di violenza.
La trama di questo film è intricata, la femme fatale è Laure (Rebecca Romijn) che all'inizio, la scena è ambientata al Festival di Cannes ha un incontro lesbico con la diva Venanzio (Rie Rasmussen) in una toilette del Palazzo, e mentre si baciano le sfila un serprente d'oro costellato di diamanti che le avvolge il tronco nudo, passandolo sotto la porta al complice Black Tie (Eric Ebouaney) che però sorpreso da una guardia e ferito viene catturato con il complice Bruce (Peter Coyote caratterista: Erin Brockovich).
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E' un film del 2002 che è diretto da Brian De Palma (anche sceneggiatore), noto regista di Hollywood che apertamente si dichiarò attratto da Hitchcock, realizzando molti film del genere thriller alcune volte con cadute di stile (Omicidio a Luci rosse) altre con buone o ottime realizzazioni (Blow Out, Scarface, Gli Intoccabili), infarcendo spesso i film con nudi e scene di violenza.
La trama di questo film è intricata, la femme fatale è Laure (Rebecca Romijn) che all'inizio, la scena è ambientata al Festival di Cannes ha un incontro lesbico con la diva Venanzio (Rie Rasmussen) in una toilette del Palazzo, e mentre si baciano le sfila un serprente d'oro costellato di diamanti che le avvolge il tronco nudo, passandolo sotto la porta al complice Black Tie (Eric Ebouaney) che però sorpreso da una guardia e ferito viene catturato con il complice Bruce (Peter Coyote caratterista: Erin Brockovich). Laure che ha i diamanti fugge a Parigi dove cerca di nascondersi ed è scambiata per la sosia Lily scomparsa dopo la morte di marito e figlio i suoi gentori credendo che sia la figlia la riccompagnano a casa. Laura mentre fa il bagno (!) vede Lily rientrare e che si suicida con una rivoltella, Laure decide di assumere la sua identità e prende un'aereo per gli USA. Sette anni dopo ritorna a Parigi moglie dell'ambasciatore USA un ricco finanziere, un fotografo Nicolas Bardo (Antonio Banderas) la fotografa e lei cerca di impedirgli che diffonda le foto, si incontrano e vanno a letto insieme, però Laure è cercato da Tie e Bruce usciti di prigione, Laure alla fine uccide tutti e 3. Ma non è così! E' un sogno di Laure che in realtà mentre faceva il bagno era intervenuta per impedire a Lily di suicidarsi e l'aveva convinta a d andare in USA, Tie e il complice catturano Laure che si divincola i 2 l'inseguono ma vengono travolti da un camion, Laure s'incontra con Veronica (che era la sua amante) che gli consegna i diamanti, Bardo presente all'incontro è convinto di averla già conosciuta.
La trama del film è tutta scombinata, con salti di logicità, vuoti narrativi e contraddizioni a non finire: non è possibile che i genitori scambino Laure per la figlia: una bionda e l'altra bruna, il furto del serpente con diamanti ha modalità inverosimili e ridicole con 2 donne che nude si baciano e si leccano (che volgarità e caduta di stile !) in una ristretta toilette con Laure che passa i pezzi del serpente sotto la porta. Non è che la situazione migliori nel corso del film con nudi a volontà, l'unica cosa che congiunge De Palma a Hitch è l'utilizzo (certamente abile) della macchina da presa come "protagonista" e non come mezzo per far vedere gente che parla. Il film è spesso raffrontato con la Fiamma del Peccato del 1944 di Billy Wilder con Barbara Stanwiych Dark Lady e Fred McMurray, ma a prescindere dalla trama siamo in un altro pianeta per direzione e recitazione. Rebecca Romijn è mediocre e non solleva il livello recitativo mostrandosi nuda, Rie Rasmussen ha risolto il problema non recita si limita ad ancheggiare, quanto a Banderas è insistente sembra collassato. Il colpo di scena finale si rivela solo un escamotage per concludere il film in qualche modo. Femme fatale fu un flop commerciale a fronte di un incasso di 17 milioni di $ ebbe un costo di 35 milioni ed ricevette una critica sostanzialmente negativa.
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onufrio
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giovedì 2 aprile 2015
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la vita è una roulette russa
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Thriller diretto dal maestro De Palma, in cui protagonista è una femme fatale, il suo nome è Laure, e dopo aver fregato due soci in un colpo miliardario, scompare dalla circolazione vivendo una nuova vita in America, ma il ritorno in Francia a distanza di anni e l'incontro col paparazzo Nicolas (Antonio Banderas) danno il via ad una serie di vicende curiose... Bellissima l'attrice Rebecca Romijn, De Palma con questo film convince a metà, in quanto usa un colpo di scena ormai ampiamente usurato che quasi manca di "rispetto" allo spettatore, ma nel complesso questo thriller appare ottimo.
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luigiluke
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sabato 6 aprile 2024
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il crepuscolo di un grande regista
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Inizia con la scena di un furto impossibile tutta virtuosismi di ripresa e montaggio che al confronto quella di Mission: Impossible sembra girata da un dilettante. Parte centrale salvata da Banderas che pur senza strafare ne sorregge la credibilità. Finale stile slidin doors che al di là della soluzione narrativa (inverosimile) ripropone il solito esercizio stilistico.
De Palma innervosisce per quanto si impegna a riempire di leziosità una storia insulsa.
La statuaria Romijn-Stamos è tutto tranne che erotica ee comunque risulta antipatica,
Ebouaney interpreta un cattivo che diventa quasi caricaturale nele sue espressioni.
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Inizia con la scena di un furto impossibile tutta virtuosismi di ripresa e montaggio che al confronto quella di Mission: Impossible sembra girata da un dilettante. Parte centrale salvata da Banderas che pur senza strafare ne sorregge la credibilità. Finale stile slidin doors che al di là della soluzione narrativa (inverosimile) ripropone il solito esercizio stilistico.
De Palma innervosisce per quanto si impegna a riempire di leziosità una storia insulsa.
La statuaria Romijn-Stamos è tutto tranne che erotica ee comunque risulta antipatica,
Ebouaney interpreta un cattivo che diventa quasi caricaturale nele sue espressioni. Il fatto poi che dopo sette anni di galera, ne esca indossando la stessa camicia sporca di sangue sembra quasi uno sberleffo allo spettatore.
Purtroppo il De Palma dopo il meraviglioso Carlito's Way è diventato questa roba qui e davvero non ci si capacita del perchè.
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