riccardo-87
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mercoledì 20 gennaio 2010
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ideali e realtà nel capolavoro di dino risi
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Questo è un film che racchiude in sé un mondo, come “ladri di biciclette” o “la grande guerra” – tanto per citarne due, a cui potrei far seguire una lista infinita di film con Anna Magnani, Vittorio Gassman, Vittorio De Sica, Aldo Fabrizi, Antonio De Curtis (Totò) o lo stesso Alberto Sordi - : non solo si attraversa un periodo storico che va dalla resistenza partigiana sotto l’occupazione tedesca alla caduta della monarchia sino al boom economico, ma mostra il conflitto interiore di una persona che, animato da nobili ideali, si trova a vivere in un mondo in cui non c’è spazio per questi e costretto quindi ad affrontare la realtà, fatta di corruzione, sottomissione e tanta ipocrisia morale. Un film che mette a nudo la società e l’essenza umana, per lo più forgiata nell’egoismo e nell’interesse: non c’è spazio per gli ideali se si vuole mantenere una famiglia, vivere e cercare nella nostra singolarità un poco di tranquillità economica e di evitare la povertà umiliante.
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Questo è un film che racchiude in sé un mondo, come “ladri di biciclette” o “la grande guerra” – tanto per citarne due, a cui potrei far seguire una lista infinita di film con Anna Magnani, Vittorio Gassman, Vittorio De Sica, Aldo Fabrizi, Antonio De Curtis (Totò) o lo stesso Alberto Sordi - : non solo si attraversa un periodo storico che va dalla resistenza partigiana sotto l’occupazione tedesca alla caduta della monarchia sino al boom economico, ma mostra il conflitto interiore di una persona che, animato da nobili ideali, si trova a vivere in un mondo in cui non c’è spazio per questi e costretto quindi ad affrontare la realtà, fatta di corruzione, sottomissione e tanta ipocrisia morale. Un film che mette a nudo la società e l’essenza umana, per lo più forgiata nell’egoismo e nell’interesse: non c’è spazio per gli ideali se si vuole mantenere una famiglia, vivere e cercare nella nostra singolarità un poco di tranquillità economica e di evitare la povertà umiliante. Un film che rovescia, similmente alla critica nietzschiana, la parvenza dei valori di cui si ammanta la società, sollevando il “velo di maja” - per citare Schopenhauer - che ricopre la loro ipocrisia e la loro vuotezza; la figura di Sordi, in arte Silvio Magnozzi, è spettacolosa, per quanto sia fondamentalmente perdente: riesce a rinunciare ad agi e ricchezze per se stesso, accettando di vivere a “pane e acqua” pur di restare fedele ai suoi principi , ma viene combattuto dalla vita stessa, incarnata prima dalla madre di sua moglie Elena, Amelia Pavinato, poi dalla moglie stessa che, pensando al futuro del figlio, e ferita da una conversazione con Silvio ubriaco, in cui egli le esplicita la fondamentale importanza che gli ideali hanno per lui, decide di lasciarlo. Sordi, piegato dalla perdita della famiglia, decide allora di “cambiare”, umiliandosi al servizio del commendator Bracci (Claudio Gora), pur di ristabilire il legame con Elena. Questa infatti accetta di ritornare con lui ma, visto in cosa consiste il “cambiamento” di Silvio, con uno sguardo comprensivo libera il marito dal giogo in cui lo aveva imbrigliato, seppure involontariamente, acconsentendo tacitamente ad accettare il prezzo del vivere in un modo che definirei “secondo il cuore e senza ipocrisia”, che comporta quasi necessariamente la povertà materiale e il disprezzo dei più, accecati dalla parvenza. Il finale è quindi un tentativo di apertura al futuro e alla speranza: Silvio con uno schiaffo fa letteralmente volare in piscina il commendatore, e poi si allontana dalla villa con la moglie sotto braccio e la testa alta, felice per la dignità ritrovata. Sordi, lontano qui dal suo solito ruolo di personaggio umanamente vigliacco, rappresenta una figura che io ritengo essere la più vicina mai ideata all’idea nietzschiana di “spirito libero”. Sono infine da citare scene rimaste nella storia del cinema italiano e mondiale, come l’esame di Sordi, i vari dialoghi tra Elena e Silvio ubriaco - prima e dopo la separazione dei due-, e la scena della caduta della monarchia.
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vincenzo carboni
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venerdì 13 maggio 2011
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amare è...
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Il finale di ‘Una vita difficile’, il gesto di riscatto del protagonista, è tutt’altro che una via d’uscita; forse un altro inizio dopo una fine, una porta che Silvio apre dopo essere stato messo davanti ad un muro una seconda volta: ora dal Commendatore, prima dall’ufficiale tedesco alla pensione della signora Pavinato. Si tratta –dicevo- di una via di fuga, l’ennesima, perché per Silvio Magnozzi si tratta sempre di scavalcar sé stesso (e così facendo Elena) per approdare di slancio in un territorio nuovo ma desertico, privato di ogni altro oggetto umano che sempre contagia; isolato, privato viepiù del privato, fino a privarsi dei propri affetti nella speranza di ritrovare nel deserto che farà di sé la propria parte più candida e autentica.
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Il finale di ‘Una vita difficile’, il gesto di riscatto del protagonista, è tutt’altro che una via d’uscita; forse un altro inizio dopo una fine, una porta che Silvio apre dopo essere stato messo davanti ad un muro una seconda volta: ora dal Commendatore, prima dall’ufficiale tedesco alla pensione della signora Pavinato. Si tratta –dicevo- di una via di fuga, l’ennesima, perché per Silvio Magnozzi si tratta sempre di scavalcar sé stesso (e così facendo Elena) per approdare di slancio in un territorio nuovo ma desertico, privato di ogni altro oggetto umano che sempre contagia; isolato, privato viepiù del privato, fino a privarsi dei propri affetti nella speranza di ritrovare nel deserto che farà di sé la propria parte più candida e autentica. La sua è una corsa a ritroso, in cui agli strappi in avanti fanno da contraltare il rimanere aggrappato alla purezza dell’infanzia, ai propri sogni di grandezza malinconicamente ingigantiti dalla necessità di doverli incessantemente perseguire: non è un figlio, non è una famiglia, ma il proprio romanzo, il proprio sogno di cambiamento dell’Italia, la propria battaglia contro la disonestà che pervicacemente resiste malgrado la promessa nata dal dopoguerra di un paese democratico che nascerà sulle spoglie di quello fascista. Di slancio fuggirà dal mulino (e da Elena), poi di nuovo si troverà con Elena a Roma; dirà di no alle lusinghe del Commendatore per rimanere stavolta dov’è (al giornale delle trentamila lire al mese), e resistere allo strattone di Elena che vuole portarlo verso una vita matrimoniale agiata e senza pensieri, serenamente depositata sugli allori degli affetti; si farà portar via dalla Storia il giorno del suo stesso matrimonio, e di lì finirà per essere ingoiato dal carcere. E poi… La vita difficile di Silvio è una rincorsa a vuoto, a pieno, sempre da un’altra parte, sempre nella direzione sbagliata. Il primo gesto, quello mancato, sempre accennato, mai portato a compimento, quello vigliacco, è sempre la fuga. Dopo esser scampato alla fucilazione nel giardino della pensione, il primo atto è quello di scappare: “Ma dove vai?” gli urla contro Elena. Correndo verso il mulino Silvio sbaglia ancora strada: “Ma dove vai? Di quà” lo corregge ancora Elena. Silvio è sempre da un’altra parte, ma trova una voce –quella di Elena- che lo trattiene, amorevolmente lo depone tra le proprie braccia, gli fa trovare costruito come per incanto uno spazio domestico (prima il mulino che da ‘casaccia da pecoraio’ assume quasi i contorni di un focolare, poi il rifugio romano) proprio lì dove non c’è una cucina, quindi non c’è un luogo. Elena si rende voce materna per quel figlio che decide di sposare proprio in virtù di averlo salvato, e che ora ha bisogno di essere salvato ancora: dalla propria assoluta mancanza di praticità, dalla paura di crescere, dalle intermittenze morali a cui Silvio tanto resiste quanto Simonini pragmaticamente cede. Elena si con-cede perché –spera- grazie a lei un bambino può diventare un uomo, recuperando -grazie ancora a lei- la mancanza. Si può ora iniziare la rincorsa del dopoguerra verso l’acquisizione di tutto ciò che manca: un automobile, una casa con cucina e acqua corrente, uno stipendio più che adeguato, un parrucchiere alla moda (il primo di Roma, quello di Simonini). Elena così facendo dedica la sua vita alla delimitazione del fallimento di un uomo-bambino, facendo così di Silvio il proprio stesso fallimento. Così Elena si innamorerà di colui a cui lei stessa piacerà affidare il proprio messaggio seppure rovesciato nel suo contrario: non si può colmare una mancanza, neanche per una ragazza di Cantuccio Ermenate in grado di spaccare la testa in due ad un tedesco. Fatto sta che ciò che non riesce ad avere da Silvio (stabilità economica e degli affetti, una nome, cioè tutto ciò che Silvio non si premura di dargli), cercherà di averlo dal signore di Lucca, quello con la Mercedes bianca, ma lasciando lei stessa la presa sul punto di avere tutto: allora via da Viareggio, e poi ancora cercare rifugio nella pensione di famiglia. Mi affido alle parole di Lacan che designò in questo modo il transfert in analisi, definizione che calza bene all’amore e al malinteso che genera essendo il rapporto sessuale (e l’amore) impossibile: amare è dare ciò che non si ha a qualcuno che non lo vuole. Sulla scia di un impossibile si snoda la storia di Elena e Silvio, un’impossibilità a riconoscersi, a darsi, ad essere l’uno il messaggio -seppure inverso- per l’altro, impossibilità questa che genera impossibilità nella misura in cui l’altro è chiamato ad essere il completamento magico di una assenza per sé, a prendere il posto di una mancanza che è questa stessa costitutiva e mai possibile da colmare: appunto impossibile. In questo meraviglioso malinteso che è l’amore -scontato questo e nient’altro- Silvio ed Elena si amano, si rincorrono da quando tutto cominciò… Con un ferro da stiro! Elena spacca il ferro da stiro in testa al tedesco scommettendo sull’amore, su quello che si ha e si dà a colui che lo vuole. Finirà per fare altrettanto nel famoso finale ma concedendo l’atto ora simbolizzato (un ferro che diventa una mano che si libera dall’abbraccio mortale dell’altro) a Silvio, arrivando alla consapevolezza incerta che si può avere solo ciò che non si ha da qualcuno che non può dartelo. Dopo questa sorta di epifania (l’ultima delle tante sotto forma di sguardo: è lo sguardo di Elena qui ad ammorbidire, svelarsi, cadere, confondersi, abbandonarsi per gli occhi di Silvio) possono finalmente essere insieme senza mai arrivare ad essere uno, ma uno accanto all’uno dell’altro.
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renato c.
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lunedì 18 luglio 2011
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grande albertone e grande risi!
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Non è il primo film in cui l'Albertone non fa il comico (o almeno non del tutto in quanto con le espressioni tipiche della sua faccia non si può non ridere!) comunque, rispetto agli altri, è un film particolarmente serio! Sordi, a parte una piccola parte drammatica in "Addio alle armi" (in cui faceva il prete serissimo!) o faceva il comico vero e proprio o, in ogni caso, faceva la parte dell'italiano medio e accomodante. Qui invece fa l'dealista sicuro delle proprie idee e dei propri principi, che ritiene molto più importanti del denaro! Infatti, nonostante viva in brutto appartamento sotterraneo, senza cucina, dovendo mantenere una bella moglie ed un figlio in arrivo, non ci pensa due volte a rifiutare le somme ingenti offertegli dal "commendatore" (Claudio Gora) pur di non andare contro i propri principi e le proprie idee! Cosa che invece non fa il suo amico Franco Fabrizi.
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Non è il primo film in cui l'Albertone non fa il comico (o almeno non del tutto in quanto con le espressioni tipiche della sua faccia non si può non ridere!) comunque, rispetto agli altri, è un film particolarmente serio! Sordi, a parte una piccola parte drammatica in "Addio alle armi" (in cui faceva il prete serissimo!) o faceva il comico vero e proprio o, in ogni caso, faceva la parte dell'italiano medio e accomodante. Qui invece fa l'dealista sicuro delle proprie idee e dei propri principi, che ritiene molto più importanti del denaro! Infatti, nonostante viva in brutto appartamento sotterraneo, senza cucina, dovendo mantenere una bella moglie ed un figlio in arrivo, non ci pensa due volte a rifiutare le somme ingenti offertegli dal "commendatore" (Claudio Gora) pur di non andare contro i propri principi e le proprie idee! Cosa che invece non fa il suo amico Franco Fabrizi. Pur di essere coerente accetta anche la prigione, e quando, uscito, ha perso il posto di giornalista a causa della moglie e della suocera, accetta di studiare ingegneria anche se non ne è portato, ma fallendo agli esami! Solo quando la moglie lo lascia, e poi la vede a Viareggio in compagnia di un lestofante che lei non ama (e nemmeno lui ama lei ma le piace solamente come amante!) però ha il denaro per assicurare una sistemazione al figlio, allora decide di accettare le offerte del "commendatore" che gli fa si avere una fortuna economica, ma che lo tratta peggio di asino da soma! La scena in cui gli spruzza il seltz in faccia davanti ai vescovi fa vedere chiaramente qual'era la sua situazione! Ed anche la moglie, quando vede a quali umiliazioni è costretto decide di seguirlo e restare con lui anche quando perde il retribuitissimo "lavoro" dando un bel meritato cazzotto al "commndatore" sbattendolo in piscina!
Questo film, girato negli anni del boom economico, fa vedere come molti si sono arricchiti dopo la guerra speculando sulle macerie e sull'Italia da ricostruire, diventando ricchi senza guardare in faccia a nessuno e senza alcun principio morale! Mentre chi ha combattuto rischiando la vita e soffrendo il freddo e la fame si è proprio trovato a condurre "una vita difficile" pur di essere coerente con i propri ideali e le proprie aspirazioni!
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filippo catani
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sabato 21 dicembre 2013
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la vita difficile del dopoguerra italiano
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Un giornalista ed ex partigiano cerca di tornare alla vita di tutti i giorni. L'uomo, approfittando di un servizio giornalistico, torna nella terra dove una giovane ragazza gli aveva dato rifugio. I due torneranno insieme a Roma e inizieranno numerose peripezie.
Il film ripercorre una ventina d'anni della nostra storia politica e il personaggio interpretato da Alberto Sordi ne è quasi sempre protagonista. L'uomo è un partigiano che per qualche mese non disdegna la compagnia di una giovane ragazza piuttosto che il fronte salvo poi riunirsi ai compagni. Quindi poi a Roma è protagonista di una delle due sequenze più divertenti della pellicola e cioè quando è a cena da nobili mentre si attende il risultato del referendum tra repubblica e monarchia.
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Un giornalista ed ex partigiano cerca di tornare alla vita di tutti i giorni. L'uomo, approfittando di un servizio giornalistico, torna nella terra dove una giovane ragazza gli aveva dato rifugio. I due torneranno insieme a Roma e inizieranno numerose peripezie.
Il film ripercorre una ventina d'anni della nostra storia politica e il personaggio interpretato da Alberto Sordi ne è quasi sempre protagonista. L'uomo è un partigiano che per qualche mese non disdegna la compagnia di una giovane ragazza piuttosto che il fronte salvo poi riunirsi ai compagni. Quindi poi a Roma è protagonista di una delle due sequenze più divertenti della pellicola e cioè quando è a cena da nobili mentre si attende il risultato del referendum tra repubblica e monarchia. Quindi lo troviamo sulle barricate lui sposo novello nel giorno dell'attentato a Togliatti. La vita difficile è il titolo del romanzo che l'uomo inutilmente tenta di scrivere poi scrive senza però trovare alcun tipo di accoglienza favorevole. E' anche un richiamo alla difficoltà di tornare alla vita di tutti i giorni nella Roma del Dopoguerra e specialmente alla difficoltà di dire no ad una proposta milionaria per evitare di svendersi la propria coscienza. Insomma un ritratto ora amaro e ora ironico anche nel rapporto che Sordi ha con la suocera che lo costringe ad iscriversi ad architettura (la seconda scena irresistibile è proprio quella dell'esame universitario). Insomma, come accadeva spesso nel cinema italiano del tempo, si fanno risate molto amare. Forse nella parte centrale il film ha un pochino la pecca di accartocciarsi su se stesso ma l'istrionicità di Sordi mantiene accesa l'attenzione.
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greatsteven
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sabato 14 luglio 2018
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passaggi critici e controversi di silvio magnozzi.
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UNA VITA DIFFICILE (IT, 1961) di DINO RISI. Con ALBERTO SORDI, LEA MASSARI, FRANCO FABRIZI, LINA VOLONGHI, CLAUDIO GORA, ANTONIO CENTA, LOREDANA NUSCIAK, DANIELE VARGAS, FRANCO SCANDURRA, JOHN KARLSEN, MINO DORO, CARLO KECHLER, VITTORIO GASSMAN, SILVANA MANGANO, ALESSANDRO BLASETTI
Silvio Magnozzi è un partigiano romano che nel 1943 si oppone all’occupazione nazista nel Nord Italia sia combattendo i soldati nemici sia stampando articoli per il giornale "La Scintilla". Una mattina, nei pressi del lago di Como, trova rifugio nell’albergo di Amalia Pavinato, dove però lo scova un tedesco. Per fortuna Silvio viene salvato dal pronto intervento di Elena, la figlia dell’albergatrice, che uccide il gerarca con un ferro da stiro, dopodiché gli cura la bronchite che lo attanaglia da giorni e notti passati nei cimiteri offrendogli rifugio e cibo per tre mesi nel vecchio mulino abbandonato di proprietà dei suoi defunti nonni.
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UNA VITA DIFFICILE (IT, 1961) di DINO RISI. Con ALBERTO SORDI, LEA MASSARI, FRANCO FABRIZI, LINA VOLONGHI, CLAUDIO GORA, ANTONIO CENTA, LOREDANA NUSCIAK, DANIELE VARGAS, FRANCO SCANDURRA, JOHN KARLSEN, MINO DORO, CARLO KECHLER, VITTORIO GASSMAN, SILVANA MANGANO, ALESSANDRO BLASETTI
Silvio Magnozzi è un partigiano romano che nel 1943 si oppone all’occupazione nazista nel Nord Italia sia combattendo i soldati nemici sia stampando articoli per il giornale "La Scintilla". Una mattina, nei pressi del lago di Como, trova rifugio nell’albergo di Amalia Pavinato, dove però lo scova un tedesco. Per fortuna Silvio viene salvato dal pronto intervento di Elena, la figlia dell’albergatrice, che uccide il gerarca con un ferro da stiro, dopodiché gli cura la bronchite che lo attanaglia da giorni e notti passati nei cimiteri offrendogli rifugio e cibo per tre mesi nel vecchio mulino abbandonato di proprietà dei suoi defunti nonni. I due si promettono amore eterno, ma una notte Silvio rintraccia i compagni di lotta e torna con loro, a guerra finita, a Roma per riprendere la lavorazione al loro quotidiano, "Il Lavoratore", da sempre di matrice comunista e attento ai problemi della classe operaia, anche insieme all’amico di vecchia data e collega Franco Simonini. Ma Silvio capisce che Elena è rimasta delusa dal suo abbandono, dunque ritorna due anni dopo in Lombardia e le chiede di seguirlo nella capitale, ottenendo, dopo un iniziale tentennamento, risposta positiva. La loro vita di coppia procede però in forti ristrettezze economiche, e spesso sono costretti a mendicare i pasti, come accade la sera che il marchese Capperoni, amico della madre di Elena (scontentissima della fuga della figlia, per altro mai avvisata al riguardo), li invita a mangiare in una villa di nobili monarchici che li lasciano soli non appena avvertono alla radio il risultato del referendum istituzionale, avendo intuito di aver a che fare con due repubblicani. Poco dopo Silvio, da sempre legato politicamente alla fazione di sinistra, eppure obbligato, malgrado la vicinanza della figlia che sta anche per renderlo padre d’un bimbo, a svolgere un mestiere sottopagato e frustrante, partecipa agli eventi seguenti all’attentato a Palmiro Togliatti del 1948, e finisce in carcere. Dietro le sbarre comincia a lavorare al romanzo che ha in mente da tempo e apprende dalla consorte che il pargolo è nato, ma quando esce, due anni e mezzo dopo, scopre che Simonini, suo compagno d’idee proletarie, ha lasciato il giornale per schierarsi dal versante dei padroni. In un primo momento Elena lo sostiene, ma poi, spinta dalla madre, pragmatica e realista, vende tutta la sua dote per pagare a Silvio gli studi universitari, in quanto è d’accordo con Amalia sul fatto che il marito si laurei in architettura, e in virtù di ciò, con alcune raccomandazioni della suocera, otterrebbe un posto in un’importante azienda in provincia di Como, non senza trasferirsi a Cantù-Carminate, paese d’origine di Elena e sua madre. Silvio rifiuta con ira sia l’idea di andarsene da Roma sia quella di fare un lavoro estraneo al giornalismo; inoltre non brilla abbastanza negli studi e all’esame viene bocciato. Le cose continuano a complicarsi quando Silvio tenta di far pubblicare il suo romanzo, intitolato Una vita difficile e intriso di insinuazioni politiche e antimilitariste, e specialmente quando, dopo la bocciatura, si ubriaca in un night-club appartenente ad un uomo conosciuto in prigione e confessa alla moglie che la loro unione ha finora funzionato perché basata solo sull’attrazione fisica. Amareggiata e sdegnata, la donna pianta il marito e se ne va a Viareggio col di loro figlio Paolo, dove apre un negozio per conto proprio. Licenziato ormai anche dal giornale dopo la scarcerazione per mancanza di finanziamenti dalle alte sfere, Silvio, sempre più disperato, tenta di proporre con scarsissima fortuna il suo romanzo per il cinema, ma se non altro incontra sul set di un film ambientato nell’antica Roma il marchese Capperoni (che vi fa da comparsa), il quale gli rivela dove vive attualmente Elena. Ancora innamorato della moglie, Silvio si reca a Viareggio e tenta un ultimo disperato tentativo di riconquistarla, ma la donna, che sembra essersi accasata con un altro uomo, non solo non lo perdona, ma dà l’aria di non voler mollare lo stile di vita agiato in cui si trova al momento. Vedendosela sfuggire, Silvio si sfoga sul viale marittimo di Viareggio sputando su macchine e passanti: pare che nell’Italia del boom economico nulla rimanga più per le sue convinzioni comuniste. Molto tempo dopo (nel 1961), muore Amalia Pavinato, e Silvio si reca a Cantù-Carminate a bordo d’una lussuosa decappottabile. Unendosi al corteo funebre, tiene per braccio Elena e le rivela di essersi trovato un nuovo lavoro, una volta accantonate le idee politiche e le velleità da scrittore per agguantare la sicurezza e stabilità economiche, come Amalia ed Elena avevano sempre voluto. Rivedendo pure il mulino in cui si conobbero anni prima, la donna scoppia a piangere e accetta di tornare col marito. Ora Silvio, che con un nuovo ruolo è tornato a lavorare con Simonini, è stato assunto come segretario tuttofare dall’affarista Bracci, e può permettere al suo nucleo famigliare ogni sorta di comfort. Peccato, tuttavia, che il commendatore non perda occasione per tiranneggiarlo e sfruttarlo a suo piacimento, fino a spruzzargli in faccia per la rabbia un intero sifone di seltz davanti ad un vescovo. Non potendo tollerare l’ennesima umiliazione, Silvio torna da Bracci, lo getta con uno schiaffone in piscina e scappa dalla villa del borioso affarista con la moglie. Ritratto di quasi un ventennio di storia italiana vista attraverso gli occhi di un individuo che s’è sempre battuto in prima linea per difendere ciò in cui credeva per poi convertirsi alle leggi del mercato e del materialismo spurio, salvo poi redimersi e ritornare sui propri vantaggiosi passi. Magnozzi, sebbene non del tutto positivo perché non esente da ruzzoloni, errori e vanterie, è uno dei personaggi migliori della galleria di Sordi, che ha saputo farlo suo infondendogli l’ardore politico e quello sentimentale in eguale misura, bilanciando i due amori e senza la pretesa, che per altro sarebbe apparsa poco credibile, di far prevalerne uno sull’altro: Magnozzi ama Elena quanto il comunismo, e si dichiara disposto a sacrificare tutto il resto per coltivarli fino in fondo entrambi. Massari gli fa da co-protagonista edificando un carattere femminile di tutto rispetto, una donna molto più emancipata e in linea coi tempi che corrono rispetto al consorte, che asseconda le di lui scelte non sempre oculate, ma non manca di castigarlo quando eccede il limite lecito. Fra i personaggi principali, formidabili prove anche per Fabrizi, giornalista la cui amicizia non viene mai realmente a mancare nei confronti del protagonista (malgrado l’asservimento al diktat della ricchezza facile e i tiremmolla che rischiano di far crollare un castello che a volte sembra di carte), per Volonghi, suocera tutt’altro che megera al di là delle ingannevoli apparenze e votata piuttosto ad una sistemazione logica e non estemporanea del genero, cui ha dato sua figlia in sposa in pratica senza il minimo consenso, e per Gora, businessman con mani in pasta ovunque (industria, giornali, riviste, cinema) che in un primo momento tenta di corrompere Magnozzi garantendogli uno sfrontato aumento di salario e comodità sfrenate a patto che lui cambi idea sul pubblicare un articolo sul suo giornale di sinistra in cui viene fatto il suo nome riguardo a uno scandalo sulla questione dei braccianti meridionali e poi lo blandisce con successo facendolo passare sotto la sua livrea. Ma è solo un fuoco di paglia, perché Silvio, in fondo, accetta di abbandonare il talento artistico che comunque possiede sebbene tutti glielo neghino insieme all’acceso interesse politico solo per riavere accanto a sé moglie e figlio (esemplare, a tal proposito, la scena sulla spiaggia di Viareggio in cui Sordi chiede al bambino come vadano i rapporti fra lui e la mamma e come lei lo dipinga agli occhi del pargolo), in un finale solo all’apparenza benevolo, perché è vero che trionfa l’onestà e prevarica l’amore sul denaro, ma Silvio ed Elena si allontanano da quel mondo che non gli appartiene senza tener conto delle conseguenze che ne deriveranno di sicuro. È senz’altro una delle migliori opere di Risi, e non soltanto con Sordi come interprete fondamentale: il regista, supportato dall’ottima impalcatura di Rodolfo Sonego, tratta una materia ancora calda e dunque non elementare e lo fa senza tema di invischiarsi in possibili fraintendimenti da parte di chi non è d’accordo politicamente parlando, ma sortendo comunque un esito eccellente perché riesce ad affiancare alla vicenda personale di un uomo e di una donna che s’uniscono e si dividono più volte la vicenda di un Paese in inaspettato e veloce mutamento che risorge dalle ceneri della guerra per avviarsi ad un futuro non troppo ben definito che (ed è in sostanza questa la morale conclusiva di questa intramontabile pellicola) premia spesso chi non merita di essere premiato e punisce invece coloro che da sempre non hanno lesinato tempo né fatica per ricostruire daccapo qualcosa che valeva decisamente la pena di resuscitare. Nella sequenza del film da girare sui legionari, appaiono per pochi istanti Gassman, Mangano e Blasetti nella parte di sé stessi.
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stefano bruzzone
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venerdì 11 luglio 2014
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memorabile
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Capolavoro assoluto del maestro Dino Risi con un Alberto Sordi da Oscar in una delle sue interpretazioni più intense e complesse. il film è un affresco sul ventennio italiano che va dai periodi duri della guerra e dell'invasione dei tedeschi passando per il boom del dopoguerra sino a sfiorare i mitici anni 60. Tutto questo è vissuto da Silvio ex partigiano e giornalista squattrinato che si innamora di Elena, la bellissima Lea Massari, che per salvargli la vita uccide un soldato tedesco. Elena segue Silvio a Roma illusa da tante belle parole ma la realtà sarà dura, durissima. Sordi sfodera una prova da Oscar passando dal tragico al comico senza alzare un sopracciglio interpretando una parte difficile ed intensa, forse una delle migliori se non la migliore.
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Capolavoro assoluto del maestro Dino Risi con un Alberto Sordi da Oscar in una delle sue interpretazioni più intense e complesse. il film è un affresco sul ventennio italiano che va dai periodi duri della guerra e dell'invasione dei tedeschi passando per il boom del dopoguerra sino a sfiorare i mitici anni 60. Tutto questo è vissuto da Silvio ex partigiano e giornalista squattrinato che si innamora di Elena, la bellissima Lea Massari, che per salvargli la vita uccide un soldato tedesco. Elena segue Silvio a Roma illusa da tante belle parole ma la realtà sarà dura, durissima. Sordi sfodera una prova da Oscar passando dal tragico al comico senza alzare un sopracciglio interpretando una parte difficile ed intensa, forse una delle migliori se non la migliore. Nel finale Silvio, talmente orgoglioso dei suoi ideali da rifiutare ogni compromesso e scegliere di vivere in miseria, cederà ai padroni e al consumismo...almeno apparentemente. Finale da non perdere, come tutto il film del resto. Tutta la pellicola è memorabile ma volendo citare due momenti cult direi la cena a casa dei monarchici e Sordi ubriaco all'alba per le vie di Viareggio.
Voto: 10 e lode.
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fabio57
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mercoledì 9 dicembre 2015
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opera indimenticabile
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Dino Risi firma uno dei suoi capolavori con questo film che da l'occasione a Sordi di esprimere al meglio le sue qualità artistiche,in modo particolare la grande capacità di compenetrarsi in personaggi veri ,credibilii e dotati di una vena umoristica caustica e maligna.Alcune scene sono memorabili e il regista ci regala una piccola perla di cinema a metà tra il neorealismo e la commedia all'italiana.
Non si può perdere
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stefanocapasso
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martedì 6 febbraio 2018
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le scelte difficile che costruiscono la società
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Silvio Magnozzi partigiano che opera nei dintorni del Lago di Como viene salvato dalla fucilazione da una donna, Elena, che uccide il soldato nazista con un ferro da stiro. Inizia una storia d’amore che tra alti e bassi si sviluppa negli anni passando attraverso le varie fasi della storia d’Italia.
Film di Dino Risi che è quasi un documentario sulle vicende italiane dall’armistizio agli anni del boom economico. Sono anni di grandi trasformazioni dove tutti sono chiamati a scelte binarie e assolute. Resistenza o Fascismo, Monarchia o Repubblica. Il tutto nella difficile costruzione di un’esistenza che risponda alle esigenze di poter vivere serenamente dal punto di vista materiale mantenendo intatti i propri valori.
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Silvio Magnozzi partigiano che opera nei dintorni del Lago di Como viene salvato dalla fucilazione da una donna, Elena, che uccide il soldato nazista con un ferro da stiro. Inizia una storia d’amore che tra alti e bassi si sviluppa negli anni passando attraverso le varie fasi della storia d’Italia.
Film di Dino Risi che è quasi un documentario sulle vicende italiane dall’armistizio agli anni del boom economico. Sono anni di grandi trasformazioni dove tutti sono chiamati a scelte binarie e assolute. Resistenza o Fascismo, Monarchia o Repubblica. Il tutto nella difficile costruzione di un’esistenza che risponda alle esigenze di poter vivere serenamente dal punto di vista materiale mantenendo intatti i propri valori. Perché proprio in quel percorso di costruzione della vita personale, sociale e dell’Italia, la possibilità di arricchirsi sembra necessariamente legata alla corruzione o alla svendita dei propri principi. E i nostri protagonisti non sono degli eroi, cercano da umani fragili di trovare per tentativi quale possa essere la posizione più comoda per loro
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giomo891
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giovedì 22 settembre 2022
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seguire un ideale politico/etico costa caro. giomo
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Il personaggio di Silvio Magnozzi, tra i più celebrati nel culto del "sordismo" ed anche fra i maggiormente atipici del catalogo suo: qui l'attore romano, invece di proporre l'ennesima variazione sul tema della vigliaccheria o dell'ignavia comportamentale, compone da par suo il ritratto d'una persona integerrima e ricca di idealità, un uomo di sinistra già partigiano e speranzoso d'un futuro non corrotto da iniquità.
Il suo percorso, dagli anni della Resistenza a quelli del boom, è narrato esemplarmente per merito pure dell'eccelso lavoro di scrittura di Sonego: rivisto a quattro decenni dal suo concepimento, il film risulta ancora teso, graffiante, vigoroso.
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Il personaggio di Silvio Magnozzi, tra i più celebrati nel culto del "sordismo" ed anche fra i maggiormente atipici del catalogo suo: qui l'attore romano, invece di proporre l'ennesima variazione sul tema della vigliaccheria o dell'ignavia comportamentale, compone da par suo il ritratto d'una persona integerrima e ricca di idealità, un uomo di sinistra già partigiano e speranzoso d'un futuro non corrotto da iniquità.
Il suo percorso, dagli anni della Resistenza a quelli del boom, è narrato esemplarmente per merito pure dell'eccelso lavoro di scrittura di Sonego: rivisto a quattro decenni dal suo concepimento, il film risulta ancora teso, graffiante, vigoroso. Certamente descrive un ventennio (dal 44 al 1960) in cui molti ideali e speranze di chi aveva subito la guerra e lottato per la libertà, furono solo un sogno
Se si nutrissero dubbi sul fatto che Sordi sia stato il maggior interprete espresso dalla nostra cinematografia nel dopoguerra, c'è qui modo d'uscirne irrevocabilmente: si rivedano, per favore, sequenze come quella della cena in casa monarchica, dell'esame universitario, segnatamente dell'ubriachezza molesta al night. In quest'ultima, che doveva concludersi dopo il diverbio con la moglie ed il suo nuovo compagno, Sordi improvvisa uno straordinario assolo fuori copione: nell'alba davanti a "Oliviero", inveisce contro gli automobilisti di passaggio, sputa sulle loro vetture, dopo il litigio/separazione dalla bella Lea Massari, si appella ad un villico locale, con l'indimenticabile "Dimmi, pastore, tu sei felice?".
Una pellicola attuale, anche se datata (61), che i nostri figli nell'opaca realtà odierna "dovrebbero" vedere, per capire i veri valori della vita, condendola con qualche sana risata, anchee, se un po' ...amara.
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giomo891
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domenica 25 settembre 2022
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una vita e ideale politico/etico difficile giomo89
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Il personaggio di Silvio Magnozzi, tra i più celebrati nel culto del "sordismo" ed anche fra i maggiormente atipici del catalogo suo: qui l'attore romano, invece di proporre l'ennesima variazione sul tema della vigliaccheria o dell'ignavia comportamentale, compone da par suo il ritratto d'una persona integerrima e ricca di idealità, un uomo di sinistra già partigiano e speranzoso d'un futuro non corrotto da iniquità.
Il suo percorso, dagli anni della Resistenza a quelli del boom, è narrato esemplarmente per merito pure dell'eccelso lavoro di scrittura di Sonego: rivisto a quattro decenni dal suo concepimento, il film risulta ancora teso, graffiante, vigoroso.
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Il personaggio di Silvio Magnozzi, tra i più celebrati nel culto del "sordismo" ed anche fra i maggiormente atipici del catalogo suo: qui l'attore romano, invece di proporre l'ennesima variazione sul tema della vigliaccheria o dell'ignavia comportamentale, compone da par suo il ritratto d'una persona integerrima e ricca di idealità, un uomo di sinistra già partigiano e speranzoso d'un futuro non corrotto da iniquità.
Il suo percorso, dagli anni della Resistenza a quelli del boom, è narrato esemplarmente per merito pure dell'eccelso lavoro di scrittura di Sonego: rivisto a quattro decenni dal suo concepimento, il film risulta ancora teso, graffiante, vigoroso.
Se si nutrissero dubbi sul fatto che Sordi sia stato il maggior interprete espresso dalla nostra cinematografia nel dopoguerra, c'è qui modo d'uscirne irrevocabilmente: si rivedano sequenze come quella della cena in casa monarchica, dell'esame universitario, o quelle dell'ubriachezza molesta al night. In quest'ultima, che doveva concludersi dopo il diverbio con la moglie ed il suo nuovo compagno, Sordi improvvisa uno straordinario assolo fuori copione: nell'alba devanti a "Oliviero", inveisce contro gli automobilisti di passaggio, sputa sulle loro vetture,dopo il litigio con separazione dalla moglie (Lea Massari) appella un villico locale con l'indimenticabile "Dimmi, pastore, tu sei felice?".
Una pellicola attuale, anche se datata (61), che i nostri figli nell'opaca realtà odierna "dovrebbero" vedere, per capire i veri valori della vita, condendola con qualche sana risata, anchee, se un po' ...amara.
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