Natalia Aspesi
La Repubblica
Ispirato a uno dei rari racconti non di mare di Conrad, racconta gli orrori di una coppia perfetta. I signori Hervey, ricchi, sposati da dieci anni, famosi i loro giovedì proustiani, tra pettegolezzi, toilettes, cibi raffinati, argenti e arguzie,dividono la stessa camera da letto, però in due letti separati, «come saranno vicine le loro tombe». Ogni passione spenta, dimenticati i loro corpi, vivono l’apparente serenità dell’opulenza e della mondanità. Lui è felice, quindi è certo che lo sia anche lei. Una sera il marito, lo scostante Pascal Greggory, torna a casa dove lo aspetta una lettera: sua moglie lo ha lasciato, senza spiegazioni. Poco dopo, mentre ogni suo ordine e certezza si sgretolano, un’ombra sale le scale, sotto la fitta veletta di un grande cappello s’intravede il volto impassibile di lei: «Se avessi saputo che mi amavate, non sarei tornata». Gli dice Isabelle Huppert, come sempre inquietante, enigmatica, dolorosa, irraggiungibile.
Con la magnifica musica di Fabio Vacchi, Chéreau inscena un angoscioso scontro verbale tra il marito ferito più dall’incomprensibile ritorno che dalla fuga. e la moglie che non si è sentita pronta per la libertà e la passione: tutto avviene nell’andare e venire operoso e muto della servitù, affaccendata attorno ai corpi dei padroni che dipendono da loro, perché non conoscono i gesti per vestirsi, svestirsi, espropriati da ogni evento domestico, inutili. Massima trasgressione, almeno per noi signore: l’uomo che ha stordito la divina Gabrielle non vale nulla, è fisicamente irrilevante, «grasso, effeminato, tozzo, viscido»: eppure il lungo silenzio fisico di lei non chiedeva di più, se non quella fiamma inattesa che il marito, amandola, non riteneva più necessaria alla loro composta felicità.
Coppia 1912 o coppia di oggi? Coppia eterna, dice Chéreau, «la testimonianza di un inferno taciuto, quel vivere per convenienza insieme inventandosi una felicità, anche quando il matrimonio perde ogni luce di desiderio e diventa una prigione di cui si è gettata via la chiave».
Da La Repubblica 6 settembre 2005
di Natalia Aspesi,