Paolo D'Agostini
La Repubblica
Difficile rendere conto dell'imponente sfondo su cui si affaccia Heimat 3 del tedesco Edgar Reitz. Dei primi anni 80 erano gli 11 episodi del primo Heimat e dei primi 90 i 13 del secondo: i 6 di oggi completano una saga di oltre cinquanta ore che conferma al regista 73enne la patente di innovatore. Per due ragioni.
La prima di linguaggio: con questo atto di fiducia nel romanzo per immagini Reitz ha rivoluzionato i dogmi sulla durata e mischiato le carte tra prodotto (e destinatario) cinematografico e televisivo, come prima di lui Ingmar Bergman, come Fassbinder e Kieslowski, come Giordana di La meglio gioventù.
La seconda riguarda il tema e la storia tedesca. Heimat è la patria, il luogo di origine o di elezione, il sentimento che esso ispira. Reitz ha restituito dignità, un moderno significato e rinnovato valore, a un concetto che la storia nazionale del 900 aveva umiliato. Se la prima parte era una carrellata dal 1919 al 1982 e la seconda si concentrava sugli anni 60, questa investe il tempo dal 1989 della riunificazione al passaggio di millennio.
Hermann Simon che oggi è un cinquantenne affermato direttore d'orchestra si ritrova con il vecchio amore, la cantante Clarissa, e fa ritorno a Schabbach, il paese dell'Unsruck renano da cui era fuggito. Al centro l'incontro con i fratelli dell'Est, che rimette in discussione l'idea di patria. Per ora in sala il primo episodio, gli altri usciranno ogni due settimane. Edizione italiana ancora una volta affidata a Carlo Di Carlo.
Da La Repubblica, 11 marzo 2005
di Paolo D'Agostini, 11 marzo 2005