Babadook |
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Un film di Jennifer Kent.
Con Essie Davis, Noah Wiseman, Daniel Henshall, Hayley McElhinney.
continua»
Horror,
durata 95 min.
- Australia 2014.
- Koch Media
uscita mercoledì 15 luglio 2015.
- VM 14 -
MYMONETRO
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Babadook: Cinema Horror d'alto livello.
di ClaudioFedele93Feedback: 9200 | altri commenti e recensioni di ClaudioFedele93 |
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domenica 19 luglio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Quando Stephen King, una leggenda della letteratura del genere horror, descrive il tuo lavoro come “profondamente disturbante” e un maestro del cinema quale William Friedkin, a cui dobbiamo il cult L’Esorcista, lo annovera su Twitter come uno dei film più paurosi di sempre, significa che sei riuscita a portare alla luce un qualcosa di oscuro, carico di tensione, ma sopratutto intriso di quella inquietante bellezza che solo il cinema può regalare.
Dopo settimane di trepidante attesa è arrivato da noi, finalmente, Babadook, con quasi un anno di ritardo per le nostre sale al contrario di gran parte del resto del mondo, tanto che, per fare un esempio, in Francia l’edizione Home-video è uscita già da un po' di giorni, per non parlare poi degli U.S.A. che hanno avuto il piacere di gustarselo in pieno 2014 e inserirlo tra i migliori della scorsa annata.
Fin dal primo momento, partendo proprio dalla scena d’apertura, che fonde un angosciante sogno della protagonista con la realtà, ed al contempo ci mostra non solo su cosa verterà la storia in gran parte, ma anche quelli che saranno le tematiche principali ed i toni scelti dalla regista australiana, si comprende che la pellicola, tanta amata all’estero e nel resto del mondo, non ponga il quesito, allo spettatore, mirato solo ed esclusivamente alla qualità insita in se stesso, allontanandosi così con orgoglio dallo scarso valore artistico dei film dell’orrore di oggi a cui fa concorrenza, ma come, piuttosto, si metta fin da subito in luce per far chiarezza su quanto, quel che stiamo per osservare, abbia un peso nel panorama del genere horror internazionale. Ci si approccia, or dunque, a Babadook per scoprire se questi sia davvero il film di genere tanto atteso e per comprendere se davvero meriti un posto tra i migliori film thriller e dell’orrore dell’ultimo decennio (o di sempre, persino).
Tutto è incentrato sulla figura di Amelia Vanek, vedova ormai da sette anni, che deve prendersi cura di Samuel, un bambino particolarmente vivace, iperattivo, il cui comportamento non fa altro che accrescere gli esaurimenti nervosi della madre, ormai in trappola tra il ricordo dell’amato marito, deceduto in un incidente stradale proprio il giorno in cui il loro figlio veniva alla luce, e la prospettiva di una vita costantemente in crisi, sia economica che emotiva, ed in piena solitudine.
Quello che maggiormente affascina in Babadook sono i continui rimandi ad un cinema ormai passato, antico, primordiale, ma continuamente originale nella sua messa in scena ed una voglia di voler offrire un soggetto che si presta ad essere analizzato su più piani di lettura. Altri, infatti, non è, il Mr. Babadook, che il famoso Bau-Bau, l’uomo nero dei bambini, qui però osservato ed analizzato in più momenti non solo come una presenza fisicamente demoniaca, un poltergeist, che terrorizza i protagonisti, ma un riflesso delle paure, delle angosce, e della depressione di Amelia, che, dopo quasi un decennio, non ha ancora trovato il modo di superare il lutto del marito.
Babadook opera sapientemente su più livelli di interpretazione, aprendo scenari sotto certi aspetti inediti, rivelandosi essere una complessa ed orchestrata matrioska di paure e atteggiamenti umani intrisi a loro volta da particolari e sfumature capaci di attingere alla psicologia, al thriller ed in fine all’horror, mescolando, in questo modo, molti degli elementi che hanno caratterizzato Shining di Stanley Kubrick, quando non a caso le presenze demoniache dell’hotel sprigionavano il male che a sua volta albergava nello spietato protagonista interpretato magistralmente da Jack Nicholson, e ricercando, al suo interno, più volte una messa in scena basata unicamente sul riflesso delle angosce della protagonista che richiama, nella sua dicotomia tra l’essere reale ed irreale, prepotentemente il capolavoro di Roman Polansky: “Rosemary’s Baby”.
Cos’è, perciò, l'entità malefica che perseguita i due protagonisti, una madre vedova ed il suo bambino di sei anni? L'uomo nero delle fiabe, l'orco nascosto dentro l'armadio, il respiro innaturalmente profondo che abbiamo creduto di udire sotto al nostro letto negli anni dell'infanzia? Il diverso che si manifesta ai nostri occhi, che noi consideriamo malvagio solo in quanto estraneo alla nostra realtà; oppure è un riflesso di noi stessi, dei nostri timori e della nostra mente? (tanto per citare una frase di S. King). Una creazione pseudo onirica che l'animo debole dell'uomo rende reale, un'allucinazione glaciale, ma tanto concreta che ci porta a dubitare della ragione, la quale se lasciata a se stessa non fa che generare mostri, quelli con cui conviviamo ogni mattina, razionali o meno, che ci portiamo nei sogni, i quali a loro volta diventano orrendi incubi.
Così Babadook si prende il coraggio di narrare una storia semplice, ma perfetta, il cui unico difetto sta proprio nel voler agire su un piano talmente collaudato di archetipi del genere, ormai noti, da non aver la prepotenza di rivoluzionare molti elementi grazie ai quali riesce a brillare di luce propria.
Jennifer Kent è riuscita nell’impresa di creare un qualcosa di terribilmente affascinante; una delle vette più alte del cinema horror degli ultimi anni, ma non solo, è racchiuso nel set casalingo in questione, gestito e rappresentato con estrema eleganza tecnica, che inneggia all'arte di rendere al massimo un qualcosa utilizzando il minimo indispensabile sulla scena, componendo un mosaico che sfrutta ogni elemento nel modo giusto, dagli attori ai giochi d’ombre e ai ritagli di luce che fanno, della casa, quasi un palco teatrale, nel quale si concentra la vicenda, oscura e viscerale, psicologica ed introspettiva, dove l'entità del sovrannaturale prendono vita da un oggetto comune quale può essere un "libro" (maledetto)”, rivelando proprio tra le pagine di questi, nella rappresentazione cartonata dell’entità malvagia, una forte influenza del cinema di Tim Burton.
Si dica quel che si vuole, magari se ne parli pure male o con toni pacati, purché ci si ricordi di Babadook, al quale va il grande onore di voler attingere ai maestri del genere, riuscendo, in alcuni frangenti, di arrivare ad una cura e ad una maestria artistica riscontrabile nei grandi del passato quali Kubrick (di Shining) e Carpenter, Friedkin, Polansky o Bava.
Oltre a questo, il film della Kent, rimane un attestato di puro cinema, quello vero, che ti entra fin dentro le ossa e non ti molla più, persino quando i titoli di coda e le luci riempiono la sala, e a volte, come in questo caso, incredibilmente, resti ancora lì, al tuo posto, muto, a fissare uno schermo di cinque metri, perso in un altro mondo; il sogno di Méliès, la magia ed il trionfo dell’immaginazione, l’apoteosi della settima arte e Babadook, questo, a suo modo, lo sa fare veramente bene.
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