I Tenenbaum |
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Un film di Wes Anderson.
Con Gene Hackman, Anjelica Huston, Ben Stiller, Gwyneth Paltrow, Luke Wilson.
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Titolo originale The Royal Tenenbaums.
Commedia,
durata 109 min.
- USA 2001.
MYMONETRO
I Tenenbaum
valutazione media:
3,82
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il complesso di Telemaco: aspettando il padredi Franco D.Feedback: 100 | altri commenti e recensioni di Franco D. |
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venerdì 13 giugno 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Lo psicologo Massimo Recalcati ha definito "complesso di Telemaco" un atteggiamento tipico d'inizio XXI secolo, la ricerca da parte di adolescenti e non di una figura paterna (che la società non offre più) a cui poter guardare come modello e ispirazione, così da poter crescere confrontandosi con essa. Già la storia di Max Fischer, il protagonista di "Rushmore", ne era una buona esemplificazione, ma questo film in pratica ne è l'esatta incarnazione. Da bambini, i tre fratelli Tenenbaum sono stati dei prodigi: Chas (Ben Stiller) un finanziere di successo, Margot (Gwyneth Paltrow) una scrittrice di talento e Richie (Luke Wilson) un campione di tennis. Ma adesso, da grandi, vivono tutti delle vite più o meno miserabili, Chas ossessionato dalla sicurezza dei figli dopo la morte della moglie, Margot in un matrimonio senza amore con lo psicologo Raleigh St. Clair (Bill Murray) e Richie a bordo di una nave, dopo essersi ritirato dallo sport. La ragione del loro fallimento sta nel rapporto con il padre, Royal (Gene Hackman), un avvocato egoista e infantile che, cacciato di casa dalla moglie Etheline (Anjelica Huston), non si è mai veramente curato di loro, preferendo vivere da scioperato in un ricco hotel. Quando però Royal apprende che Etheline sta per risposarsi e che lui stesso è in bancarotta, finge di stare morendo per un cancro allo stomaco e si reinstalla in casa, iniziando una sorta di esodo al contrario che coinvolgerà tutti i figli. E’ solo l’inizio di un confronto interfamiliare che avrà molte sorprese e che, forse, porterà a un chiarimento con i figli. Terzo (e ultimo) film scritto in coppia da Anderson e Owen Wilson (che vi recita pure), è il film della definitiva consacrazione del regista, che finalmente arriva alle "radici" del suo cinema, mostrandoci da dove si originano tutte le nevrosi e i drammi dei suoi personaggi: nel rapporto irrisolto con figure genitoriali assenti (la madre) o vittime della sindrome di Peter Pan (il padre), comunque insensibili, che hanno costretto i figli a crescere in pratica da soli. Il risultato è che questi ultimi poi alla fine non sanno cosa farsene del loro talento e restano dei bambini bisognosi di affetto, 'fissati' in una maschera innaturale e castrante (la tuta da ginnastica di Chas, la fascia e i capelli lunghi di Richie, il make-up di Margot). La genialità di Anderson, però, è di farci vedere tutta questa materia come se fossimo noi stessi dei bambini. In teoria, questo film è la lettura di un romanzo (a opera di Alec Baldwin) - quindi una finzione all'interno di una finzione - e i colori caldi della fotografia, l'esasperata fisicità dei personaggi, il montaggio che predilige il campo medio e l'inquadratura fissa, danno l'impressione di una serie di quadri viventi, illustrazioni da libro di Roald Dahl o striscia dei "Peanuts", evocando così un linguaggio visuale tipico della prima infanzia. I contenuti, però, sono di una commedia adulta e seria, a tratti persino tragica (il tentato suicidio di Richie), come in una seduta psicanalitica di gruppo dove tutti possiamo riconoscere, in un'atmosfera cordiale e comunitaria, il nostro bisogno ancora forte di una storia che sappia commuoverci e rappacificarci col mondo, in prima battuta forse proprio con i nostri fantasmi famigliari. Perché in fondo tutti noi siamo Telemaco, tutti noi almeno per una volta abbiamo desiderato essere riconosciuti come speciali e unici dalle persone più vicine, e come i tre fratelli Tenenbaum, abbiamo tutti affrontato l'esperienza della delusione di fronte a una realtà meschina e frustrante. Ed è per questo che abbiamo bisogno del cinema: perché abbiamo bisogno di confrontarci con quel padre di cui sentiamo la mancanza, ed è solo meglio se ha il ghigno e l'istrionismo del grandissimo Gene Hackman (il padre che nessuno di noi vorrebbe, ma che forse abbiamo tutti avuto, almeno una volta nella vita).
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