A 30 secondi dalla fine |
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Un film di Andrey Konchalovskiy.
Con Jon Voight, Rebecca De Mornay, Eric Roberts, Kenneth McMillan, Stacey Pickren.
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Titolo originale Runaway Train.
Drammatico,
durata 111 min.
- USA 1985.
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Un capolavoro di rara intensità
di vic fontaineFeedback: 1145 | altri commenti e recensioni di vic fontaine |
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venerdì 20 dicembre 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
"A trenta secondi dalla fine" di Andrej Konchalovskij non è il solito film carcerario dai classici cliché hollywoodiani: in esso si parla di fuga, di dignità umana, del destino cinico e baro che fa scegliere all'evaso Manny (un titanico e stratosferico Jon Voight) proprio un treno il cui macchinista morirà di infarto al momento della partenza. Le inquadrature del treno in corsa in mezzo ai ghiacciai dell'Alaska sono splendide, piene di un rispetto tipicamente russo per il bianco della neve e dei ghiacci. Il rapporto tra i due è estremamente significativo: Buck vede in Manny una sorta di idolo e tenta di compiacerlo in ogni modo; Manny però non lo tratta da pari a pari, ma anzi lo rimprovera in modo quanto mai burbero impartendogli anche spicce lezioni di vita, fino a minare la sconfinata ammirazione che il giovane e un po' sbruffoncello compagno di evasione nutre per lui. Il film procede tra la speranza dei tre (a Manny-Jon Voight e Buck-Eric Roberts si aggiunge una intensa Rebecca De Mornay nel ruolo di una spaurita bigliettaia che dormiva sul treno) di poter fermare un terno ormai inarrestabile, e la caccia spietata a Manny - ormai diventata un'autentica guerra personale - da parte del malvagio direttore del carcere Ranken (un bravissimo John Ryan), fino alla bellissima conclusione in cui Manny - dopo aver catturato e ammanettato Ranken nella motrice - realizza che potrà essere davvero libero da quella caccia senza fine solo schiantandosi insieme al suo indomito predatore sul binario morto, dove la centrale aveva rassegnatamente deviato il treno. Il finale è bellissimo e commovente: l'animalesco Manny recupera un barlume di umanità e di pietà per Buck e per la ragazza, e stacca la motrice salvandoli (con Buck che gli urla disperatamente di saltare giù dal treno); l'ultimo sguardo di Ranken che si scioglie nella paura di morire che ogni essere umano, sia pure malvagio e arrogante come lui, non può non provare appena prima della fine; l'immagine stupenda di Manny che vuole morire in piedi "cavalcando" la locomotiva con il volto sferzato dal nevischio quasi a sfidare la fine ormai imminente, con il montaggio alternato dei compagni e amici lasciati nel carcere; le citazioni dal Riccardo III di Shakespeare ("Vincere, perdere ... che differenza c'è?"), specie quella conclusiva della belva e della pietà cucita su misura addosso a Manny. Un'esperienza cinematografica da non perdere.
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