Nosferatu il principe della notte

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Un film di Werner Herzog. Con Klaus Kinski, Bruno Ganz, Isabelle Adjani, Jacques Dufilho, Clemens Scheitz.
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Titolo originale Nosferatu, Phantom der Nacht. Drammatico, durata 107 min. - Francia, Germania 1978. - 20th Century Fox Italia uscita giovedì 15 febbraio 1979. - VM 14 - MYMONETRO Nosferatu il principe della notte * * * * - valutazione media: 4,25 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un "pò" di trucco e il mostro è servito! Valutazione 5 stelle su cinque

di Flegiàs TN


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martedì 1 aprile 2008

Il mito del vampiro è suggestivo perché è estremamente ambiguo. Né corpo vivente né cadavere, il vampiro è, fin dalla sua prima apparizione nel libro di Stoker, un “undead”, un non-morto, qualcosa di inafferrabile alla ragione - e perciò qualcosa di inquietante. Del resto Nosferatu significa proprio, questo: non finito, non consumato. Più che terrificante il vampiro è una minaccia angosciosa che viola le leggi naturali. La sua particolare “mostruosità”, infatti, non è mai brutale o soltanto orrorifica: il succhiar sangue (in particolare da esseri dell'altro sesso) implica un'idea di estenuazione analoga a quella della libidine - e, come questa, è una spinta che non si esaurisce mai, ma che si rinnova di volta in volta. C'è, nel vampiro letterario e cinematografico (non dimentichiamo il Dracula di Terence Fisher 1956 e il Dracula di Tod Browning 1930) una certa “delicatezza”, o quanto meno un'educazione: non per niente Dracula, sotto qualsiasi pseudonimo si celi, rimane sempre un conte. Infatti è capace di innamorarsi e questo lo rovina. Dracula vive di notte, tempo dell'incertezza e della confusione, quando le cose perdono i loro contorni definiti e tutto sfuma nel buio, quando l’ordine sociale subisce un temporaneo annullamento. Eppure, almeno nel suo “debutto” (il libro di Stoker), (…) egli non è un portatore di distruzione, ma un metafora del capitale monopolistico. Anche qui il vampiro partecipa di una doppia e incerta natura: essere l'incarnazione di forze assolute e primordiali ma esprimere anche una qualche istanza sociale - essere, ad esempio, un nobile. E ci fu chi sovrappose nel film di Murnau - peraltro a torto - la figura di Hitler a quella del Nosferatu. Dracula è (letteralmente) con un piede nella tomba, ma contemporaneamente il mito ce lo mostra fare in continuazione progetti per conquistare il mondo, pur essendone escluso. Il vampiro è, sostanzialmente, un grande irregolare. Non c'è da stupirsi se la sua figura ha affascinato Werner Herzog che degli irregolari e dei “diversi” in generale ha fatto l'elemento centrale della sua poetica; da Aguirre a Stroszek a Kaspar Hauser l’ispirazione del regista tedesco è fedele a se stessa. L'impostazione che dà al personaggio di Dracula tende infatti a caratterizzarlo in questo senso: non a caso Herzog, autonomamente, istituisce tra il vampiro e il mondo di Jonathan Harker il misterioso tramite degli zingari, razza irregolare e nomade per eccellenza (anche se, meno originalmente, la raffigurazione che ne dà ricorda molto gli zingari del Manoscritto trovato a Saragozza di Wojciech Has). Dracula, secondo Herzog, vive il terribile dramma di non poter morire: e questa anomalia lo costringe a trascinare nei secoli una stanca e infelice coscienza dell'eternità. Egli è mosso a commettere il male non dalla perversità, ma da una necessità ineluttabile. Pare che non sia eccessivamente interessato nemmeno aIla spedizione di conquista che ha organizzato assieme al suo agente Renfield (un bravissimo Roland Topor); solo la scoperta dell'esistenza di Lucy lo spinge a partire. Dai discorsi che fa a Harker fin dalla prima sera traspare l'immagine di una sorta di esteta marginale la cui principale occupazione è fare scorrere il tempo, sapendo purtroppo che non finirà mai di scorrere. lI tono del personaggio dovrebbe di conseguenza essere drammatico; invece, nonostante la grande interpretazione di Klaus Kinski, è clamorosamente banale fino alla noia. Non par vero di sentire recitate battute scontatissime sull'immortalità e problemi annessi; evitando, è vero, il grottesco involontario, ma non inventando mai un barlume di nuovo che illumini il personaggio togliendolo dalle maglie del già visto e del già sentito. Sembra quasi che il Dracula hollywoodiano si sia insinuato nella sceneggiatura di Herzog. Ma non è l'errore di una scena o di un episodio. Il Nosferatu herzoghiano è una sequenza di fraintendimenti. Nel corso del film, l'ambiguità del mito diventa disordine e arbitraria scoordinatezza. A un certo punto Dracula diventa il simbolo del ma-le puro, della peste e della dissoluzione; pensiamo che segua un lucido disegno (Herzog sottolinea nettamente e pesantemente il crollo della società provocato dal vampiro). Ma poi torna a essere il personaggio dell'inizio proponendo a Lucy una fuga che significhi per lui abbandono della sua (non) esi-stenza di orrori. Questo passaggio del tutto inspiegabile è una sovrapposizione indebita dell'archetipo della bella e della bestia alla storia di Dracula. Alla fine la tradizione segue il suo corso: il vampiro è attratto nella trappola (finalmente) mortale della donna. Non vi sono passaggi intermedi tra il rifiuto di Lucy e il suo olocausto che indichino - dalla parte di Dracula - lo sviluppo della sua consapevolezza. Questi momenti sono semplicemente giustapposti: pare che Herzog ricada nel-l'impianto narrativo del film di Murnau proprio quando sta per avviare un discorso originale. Il risultato è una frammentazione molto spesso negativa. Quello di Herzog è un film con molti centri senza equilibrio tra di loro. All'inizio il centro della storia è Harker; egli intraprende un metaforico viaggio verso l'esperienza della notte ma quando sta per consumarla e giungere alla conoscenza il personaggio viene abbandonato e l'attenzione spostata su Dracula. Harker sopravviverà come un relitto cadendo vittima della sua stessa esperienza che non si trasforma in qualcosa di maturato, come in Murnau, ma si stabilizza in qualcosa di subito: la malattia”. Harker è tenuto - anche fisicamente - in un angolo in disparte fino alla fine del film, preparandosi per il finale ad effetto. Poi, dopo che ha seguito Dracula e ne ha disegnato la figura di freddo disperato, Herzog muta di nuovo prospettiva e a Wismar il centro dell'azione diviene Lucy, vista come colei che si oppone al male (e alle sue lusinghe). Dracula torna a essere, anche per il pubblico, l’“altro” da eliminare e distruggere; non più il marginale da seguire nel suo dramma. Senza un disegno complessivo che ne restituisca un senso unitario (ma non unico) Nosferatu si compone lungo l'asse di occasionali opposizioni elementari: luce/ombra, solido/liquido, cielo/terra, bianco/nero, bene/male, notte/giorno, ordine/disordine. Queste opposizioni vengono risolte soltanto a livello visivo: evidentemente l'interesse di Herzog è creare un'allucinata emozione visuale (in questo aiutato dalla perfetta fotografia pastello di Jorg Schmidt-Reitweiù) senza preoccuparsi di fornire un corrispondente e adeguato momento riflessivo. O meglio, Herzog tende a inserire una serie di tematiche, ma a puro livello di suggestione mediante l'immagine e il sonoro, specialmente musica. Il regista tedesco esprime, in Nosteratu, una concezione del cinema principalmente come strumento di fascinazione ottico-auditiva. Lo si nota particolarmente bene nella dilatazione dei momenti “vuoti” delle sequenze di raccordo: l'ascesa di Harker al castello di Dracula, il viaggio per mare del Contaman, la peste a Wismar. Queste sequenze sono le migliori di tutto il film (forse con l'eccezione dell'ultima) proprio perché hanno un quoziente informativo minimo e contribuiscono a creare una sensazione senza contenuti. Particolarmente riuscita è la sequenza della nave (ripresa con un movimento circolare della macchina citato pari pari da Aguirre) dove viene creato un protratto e ansioso senso di minaccia che non si può dire a parole. Da questo punto di vista anche la scena finale, pur al limite dell'effettismo, ha la sua validità. Accostando il film del 1922 a questo si nota che Murnau ha reso dialettico il mito del vampiro attraverso il riferimento al vampirismo della natura nella splendida scena in cui Knock (che equivale a Renfield) dopo aver fatto l'apologia del ragno che succhia la mosca imprigionata nella tela lo inghiotte a sua volta. Herzog elimina questa sequenza e inserisce invece l'immagine del vampiro-pipistrello filmato al rallentatore e virato in blu-azzurro mentre cala verso terra. La esasperata lentezza e l'elegante ferocia del volo del pipistrello riassumono bene l'atmosfera del Nosferatu herzoghiano: scorrere di emozioni visive nella sospensione di una attesa. Un cinema che, grazie alla bellezza della sua superficie, vampirizza discretamente lo spettatore. Una delle cose che più colpisce nel film è la quasi esclusiva attenzione dedicata ai tre personaggi principali, mentre quelli secondari - come individui - vengono confinati e appiattiti sullo sfondo, ridotti a indicatori del contesto sociale. Lo schema base di Nosferatu è, come nella più classica delle commedie, il triangolo tra Harker, Lucy e Dracula. Un personaggio come il dottor Van Helsing (quello che diventerà a Hollywood un infaticabile cacciatore di vampiri), che pure riveste un ruolo essenziale non solo nel romanzo, ma anche nel film di Murnau è ridotto a un imbelle vegliardo che acquista un po' di importanza solo nel goffo e concitato finale, uno degli episodi meno riusciti del film. La situazione di partenza è un idillio perturbato. La felicità coniugale dei due sposi è scossa dagli incubi di Lucy (e, cine-matograficamente, dai minacciosi titoli di testa). Qual è la molla che spinge Harker a lasciare la moglie in simili circo-stanze e ad avventurarsi in un lungo e faticoso viaggio? Il mi-raggio di una forte commissione sulla vendita della casa - in altre parole, l'interesse economico. Jonathan Harker è l'espressione quintessenziale del borghese ambizioso. Il suo orizzonte non si discosta molto dall’ideale della “casa, dolce casa”. Del resto la città in cui vive, Wismar (Delft), è lo spazio tipico della laboriosa borghesia commerciale. Il suo viaggio, come detto, è un metaforico viaggio esistenziale che, attra-verso il contatto con gli ambienti meno ortodossi (gli zingari), lo conduce a conoscere ciò che è diverso, sotto ogni rispetto, da lui. Il Nosferatu, il non-compiuto, non solo è un irregolare che si contrappone alla razionalità borghese di Harker, ma è anche (e non si insisterà abbastanza su questo punto) un nobile. Non per niente quella di Harker verso il castello del conte Dracula è un'ascesa. Giunto a contatto con una classe sociale differente dalla sua Harker verifica l'impossibilità di una comunicazione nei termini a lui abituali: la firma del contratto (lo scopo dei viaggio di Harker) non interessa al conte più che tanto. Lo schema mentale di Harker si infrange contro quello di una classe che, sconfitta dalla storia, sopravvive a se stesso - come un fantasma, come, appunto, un non-morto. Dracula continua a ripetere a Harker: “Voi non potete capire”. Preso in ostaggio in territorio nemico, Harker subisce un trauma ideologico e psichico: la notte diventa il luogo di pratica della “differenza”, del ritorno del rimosso conscio (la nobiltà come fase storica soggettivamente superata) e inconscio (Herzog sottolinea la forte carica di libidine portata dal vampiro). Dopo la scoperta dell'esistenza di Lucy da parte di Dracula il contrasto tra i due si pone a due livelli: da una parte il perturbamento compiuto dal vampiro nella società dei borghesi di cui Harker è esponente, in secondo luogo la guerra privata per la conquista della donna. Sia Dracula che Harker intraprendono un viaggio alla volta di Wismar: Dracula viaggia sull'acqua, per fiume e per mare, lontano dalla civiltà e isolato, Harker attraversa a rovescio, via terra di ritorno, la stessa società da cui era provenuto: le strade non sono desolate come all'andata, ci sono mulini a vento, c'è gente sullo sfondo. Ma é troppo tardi: la sua antica ideologia e la sua antica fede sono rose e consunte. Arriverà incosciente, quasi in catalessi, senza riconoscere più nulla dei vecchio ordine a cui apparteneva; in questo stato di latenza psichica non riconosce neppure la moglie. Egli è la prima vittima della malattia; perché l'attacco del vampiro non va al di là del contagio, non rappresenta un mutamento, ma una involuzione apparentemente irrazionale dell'autorità borghese: la democrazia. Contratto il morbo della nobiltà la società borghese si sfalda secondo nemesi. Non per niente il contatto con il vampiro avviene attraverso l'aspirazione della linfa vitale dal corpo dei borghesi di Wismar. Svuotati del loro significato storico i commercianti della città svelano dentro di sé una insospettabile pazzia e una atroce irrazionalità. Diventano tutti come Renfield, non a caso anche lui agente immobiliare. Ma quando sembra che nulla possa più arrestarlo, Dracula è tradito dalla sua natura: il passato non può tornare tale e quale. Lo scatenamento degli istinti di cui lui stesso è causa si rivela fatale: durante l'amplesso con la marmorea bellezza di Lucy viene trascinato oltre la soglia della sua potenza. Quando finalmente - oltre alle necessità “biologiche” - può appagare il suo desiderio erotico, il piacere si trasforma in morte - l'“innocenza” della donna borghese distrugge la sotterranea libidine del conte. La fredda attrazione sessuale della femmina succhia - per metaforico contrappasso - l'esistenza fuori dal vampiro-maschio e lo annichila. Del resto, fin dal primo momento il perfetto volto di Lucy faceva trasparire un pallore da cadavere. Notiamo, comunque, che la scossa erotica è abbastanza forte da travolgere nel suo esaurirsi anche la gelida Lucy, che muore con un sorriso di piacere sul volto. Morto (finalmente) il conte Dracula, morta la signora Harker, si ristabilisce uno strano ordine. Chi è sopravvissuto dei triangolo iniziale? Jonathan Harker il borghese in cui si trasferisce lo spirito del Nosferatu. Trasformato a sua volta in vampiro il borghese che ha avuto esperienza dell'agonia aristocratica ne riprende il ruolo storico. Cavalca terribile verso l'orizzonte lasciandosi dietro i cadaveri del passato: è un vampiro senza illusioni, ben più pericoloso perché dotato di una lucida ambizione. “C'è molto da fare” è la sua ultima battuta. Adesso sembrano assurde anche le aristocratiche ossessioni del conte Dracula. E' la borghesia il vampiro del mondo. Questa è la storia che si legge tra le pieghe del Nosferatu di Herzog, ma la metafora risulta costantemente squilibrata sul versante dell'avventura individuale del protagonisti. I due livelli del racconto, quello interno a triangolo e quello esterno, corale, rimangono paralleli e combaciano assai raramente. Si ha una continua impressione di disarmonia, anche se neutralizzata dall'alta resa della messa in scena. Dirottata verso una dimensione visionaria, la regia di Herzog non padroneggia la complessità delle relazioni istituentesi tra i segni che essa produce. Così la crisi conseguente all'avvento del vampiro viene risolta solo al livello di visione apocalittica dell'epidemia di peste che scioglie le norme morali degli abitanti di Wismar. Svincolati da ogni rapporto di consistenza con il mondo (e col resto dell'azione) essi si muovono in uno spazio onirico, slegati l'uno dall'altro, in preda a una malattia interiore più che fisica (gli indizi materiali della peste non si vedono mai); vengono dispersi in una piazza, allontanata e raggelata da una inquadratura frontale dall'alto, quasi fossero delle apparizioni evocate dalla mente turbata di Lucy. (…)

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