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(Le stelle sarebbero 4,5 su 5).
THE RUNNING MAN.
Come si dice? Non c?? sette senza otto con Edgar Wrigth. Dopo quella piccola e sottovalutata perla di Ultima notte a Soho torna alla regia e alla scrittura di questo film tratto dal romanzo di Stephen King e come remake de L?implacabile con Arnold Schwarzenegger, anch?esso un adattamento, ma ne conservava solo il soggetto ed era pi? votato all?azione muscolare degli anni ?80. In questo caso il lavoro ? stato pi? fedele, se non altro.
In un prossimo futuro gli Stati Uniti sono diventati una nazione autoritaria e distopica dove i poveri sono diventati il 98%, vivono e lavorano specialmente nei bassifondi in condizioni precarie, arretrate e senza una sanit? decente mentre i ricchi vivono nella bambagia negli alti e lussuosi borghi. Il governo ? controllato dalle multinazionali insieme alla FreeVee, una grande emittente televisiva che manovra l?opinione pubblica con telegiornali pilotati e programmi spazzatura come giochi a premi che per? sono mortali per i concorrenti, come appunto The running man. Nella citt? di Co-Op City Ben Richards, operaio appena licenziato, sposato con la cameriera Sheila e con la figlia malata Cathy, decide a malincuore di partecipare a The Running Man per il montepremi da un miliardo di nuovi dollari cos? da poter curare Cathy e portare tutta la famiglia lontana dal ghetto. Dopo una selezione poco ortodossa e un colloquio bello accesso col capo della FreeVee, Dan Killian, inizier? la mortale fuga del nostro Ben tra sparatorie, esplosioni, bracconaggi, combattimenti, corse in auto, aiuti poco previsti e manovre socio-politiche.
Edgar Wrigth gira con la sua solita mano mettendo in chiaro l?azione, i dialoghi e il contesto usando dei bei primi piani, campi e controcampi precisi, movimenti di macchina decisi, piani sequenza e macchina a mano che seguono gli attori senza deragliare nelle scene schizzate. Una buonissima fotografia coi neon urbani accesi e i rossi sgargianti sia di notte che di giorno, come nel precedente Ultima notte a Soho. Un uso smodato di musica pop che accompagnano le scene senza invadere troppo. Ottimi gli attori con un Glenn Powell incazzatissimo nello sguardo e apparentemente pacato nella provvisorissima comfort zone, un Josh Brolin da perfetto cattivo maniaco del controllo, dei magnifici Colman Domingo e Michael Cera, un buon William Macy e un cast femminile non da poco. Il tutto con una sottile ironia tipica del regista con la quale narra senza prendersi troppo sul serio situazioni a tratti serissime.
Se George Orwell con 1984 non dava praticamente scampo col Grande Fratello e insieme a Stephen King erano stati avanguardistici nel contesto socio-politico distopico, quest?ultimo con Wrigth ? un po? pi? risolutivo e lo decostruiscono pezzo per pezzo. Sicuramente hanno azzeccato il potere dei media tanto influente da controllare le masse a indurle a guardare contenuti violenti, esacerbati e venalmente monetari cos? che loro vengono distratti da falso intrattenimento e chi sta? sopra fa? soldi con gli share. In pi? anche il modo in cui vengono modificati tali contenuti con censure e ritocchi digitali cos? da pilotare l?informazione e far vedere quello che vogliono.
E da buon inglese Wrigth non si risparmia nell?attacco al potere, al consumismo e alla lotta di classe tra una societ? ricca e tecnologicamente avanzata tra grattacieli, macchine e manganelli elettrici, droni volanti con telecamere e cassette della posta automatizzate e una societ? povera ancora ferma agli anni ?80 con quartieri industriali fatiscenti, automobili a benzina, videocassette e tv a tubo catodico. Divisi da convinzioni individualiste e che dall?altra parte sono solo dei poco di buono. Ben ha la possibilit? di vincere i soldi e pensare a se? e alla famiglia oppure di essere un detonatore pronto a buttare gi? il sistema insieme a molti altri speranzosi e che lo seguono assiduamente.
Un finale a dir poco rivoluzionario che scopre tutte le carte e i messaggi definitivi, ma che forse ? in alcune parti precipitoso dove si potevano esprimerli pi? fluidamente.
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