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Nel 1924 Leopold e Loeb compirono un efferato crimine, da cui Levin trasse spunto nel 1956 per il suo romanzo Compulsion ed ora nel 1959 Richard Fleiscer dirige "Frenesia del delitto" ritornando ancora sul medesimo caso. La tematica è particolarmente interessante e angosciante perché penetra la natura umana, sondandone le radici più inconsce che portano a commettere omicidi apparentemente immotivati. Due universitari seguaci delle dottrine sumeromistiche di una errata interpretazione delle opere di Nietzsche, sentendosi nettamente più intelligenti degli altri, se ne isolano e decidono di compiere azioni scevre da ogni moralità quali l'omicidio di un ragazzino di 14 anni. Il tutto per dimostrare che per loro la vita non deve avere limiti etici , come era accaduto anche in "Delitto e castigo" di Dostoevskij dove il delitto era stato compiuto per studiarne le scaturigini. Questo non è un film memorabile ma ha il grosso pregio di trattare questo argomento così spinoso con prove attoriali di rilievo come quelle di Dillman e Stockwell, che interpretano questi giovani a cui è precluso il pentimento e ogni possibile redenzione. Da ricordare la prova di Orson Welles che interpreta un avvocato che fa di tutto per evitare la pena di morte per i suoi assistiti, nonostante li consideri delle anime perse, perché gli ripugna la condanna a morte, perché ritenuta disumana ed inutile. Da evidenziare anche la bella fotografia con un bianco e nero particolarmente curati. Potrebbe valere tre stelle e mezzo, ma manca di quell'incisivita' che lo possa far arrivare a quattro stelle.
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