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Kim Hee Jin dirige "My name is Loh Kiwan", traendolo dal romanzo "I met Loh Kiwan" di Cho Hae Jin. E' la storia della fuga di un ragazzo dalla Corea del Nord, perche' perseguitato dalla polizia, per aver partecipato ad una manifestazione di protesta antigovernativa. Il suo sogno, all'apparenza irrealizzabile, e' di andare sino in Belgio. Il ragazzo e' interpretato da quel Joong-ki Song che, nonostante la giovane eta', e' molto popolare in patria. In questo film mette in evidenza le sue capacita' espressive, sapendo alternare molto bene la manifestazione dello sconforto, ma anche la felicita' dell'innamoramento. Il ragazzo, in questo lungo peregrinare, va incontro a difficolta' e disgrazie, tanto che si puo' parlare di un vero e proprio film di formazione, perche' alla fine vi sara' un processo di maturazione, dovuto proprio a tutte le peripezie affrontate. Con lui parte anche la madre che pero' morira' quasi subito, a causa di un incidente. Il ragazzo conosce quasi subito il dolore per tale perdita, seguito dalla solitudine e da quella lotta per la sopravvivenza che gli faranno avere sempre maggiore sicurezza. Tutta la prima parte e' fatta di silenzi e sguardi e la fotografia e' costituita da luci artificiali, colori foschi, paesaggi notturni. La linea di demarcazione con la seconda parte e' rappresentata dalla forza dell'amore, quando Kiwan conosce Marie, una ragazza tossicodipendente da quando ha scoperto che il padre ha fatto morire la madre tramite l'eutanasia. Da qui in poi i colori si faranno piu' vivaci con abiti colorati e atmosfere estive, che preparano un lieto finale per tutti e due i ragazzi. Non e' certamente un capolavoro e neanche ci va vicino, ma ne e' consigliabile la visione per la sua delicatezza nell'affrontare una tematica cosi' attuale.
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