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Una serie tv che non è riuscita a sfruttare appieno il proprio potenziale. Un prodotto dal quale ci aspettavamo il classico "o bene bene o male male" e che invece, purtroppo, si è stabilizzato sulla media esatta di elementi sublimi e scelte agghiaccianti.
L'idea era ottima: un racconto di formazione che vede protagonista Rocco Siffredi, un uomo il cui nome fa sentire tutti in dovere di dire qualcosa ma del quale si sa di fatto ben poco.
Né osannato né demonizzato, semplicemente raccontato, con le proprie zone d'ombra e con i dubbi e i rimorsi che stridono con la facciata e con il mondo che ha scelto per sé.
La produzione Netflix garantisce a questa serie il non plus ultra relativamente a scenografie, costumi, troupe e interpreti: un Alessandro Borghi camaleontico, una Jasmine Trinca struggente e un Adriano Giannini che ci ricorda cosa vuol dire essere un fuoriclasse.
Ed è qui che entrano in campo le scelte sbagliate, quasi del tutto imputabili alla sceneggiatura e, solo in minima parte, alla regia. Scambi di battute da telenovela, spiegoni declamati dalla voce fuori campo, che passano dal didascalico al nonsense senza soluzione di continuità, e totale perdita della rotta.
Una storia che non riesce a farsi ascoltare perché è sommersa dal miele e dalla retorica e che quindi finisce per non emozionare.
Da vedere se, con le dovute tare, si è curiosi di saperne di più sulla vita di Rocco.
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