Takashi Miike è un regista che negli anni si è guadagnato la fama del maggior autore dell'horror estremo, sadico e iperviolento. Anche in questo episodio della serie "Masters of Horror" non mancano sequenze cruente, per la gioia dei suoi fan che sembrano chiedergli di spingersi, ad ogni nuovo lavoro, sempre oltre. Il cinema di genere ha sempre avuto, giustamente, uno zoccolo duro di appassionati che ha salvaguardato registi come Miike, incapaci di ritagliarsi uno spazio di pubblico e di critica consistente. Se è lecito riconoscere al regista nipponico una buona capacità tecnica nella cruda rappresentazione dell'orrore, appare quantomeno discutibile andare a ricercare nei suoi lavori un'analisi stratificata e simbolica dei mali della società moderna (come condivisibilmente afferma Mereghetti nel suo dizionario dei film 2008).
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Takashi Miike è un regista che negli anni si è guadagnato la fama del maggior autore dell'horror estremo, sadico e iperviolento. Anche in questo episodio della serie "Masters of Horror" non mancano sequenze cruente, per la gioia dei suoi fan che sembrano chiedergli di spingersi, ad ogni nuovo lavoro, sempre oltre. Il cinema di genere ha sempre avuto, giustamente, uno zoccolo duro di appassionati che ha salvaguardato registi come Miike, incapaci di ritagliarsi uno spazio di pubblico e di critica consistente. Se è lecito riconoscere al regista nipponico una buona capacità tecnica nella cruda rappresentazione dell'orrore, appare quantomeno discutibile andare a ricercare nei suoi lavori un'analisi stratificata e simbolica dei mali della società moderna (come condivisibilmente afferma Mereghetti nel suo dizionario dei film 2008). Più che costruire un lavoro attorno ad un concetto a più ampio respire, pare viceversa che Miike costruisca i suoi film in modo da giustificare la scelta di certe efferatezze. Anche in questo "Imprint", dopo un discreto avvio, la regia si fa prendere la mano, dall'esigenza di dover mostrare compiaciuta qualcosa che sia sensazionale per forza, negando quindi la scelta più autoriale di far intuire l'orrore senza mostrarlo. E così l'immagine dei feti abbandonati sul fiume è meno impattante di quanto avrebbe potuto essere e soprattutto è disconnessa dal resto dal racconto. La narrazione finisce col degenerare ripetutamente in un finale confuso che cerca inutilmente di valorizzarsi riccorrendo all'onirico. Ancora una volta una conclusione infelice che vanifica il buon livello della prima mezzora.
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[+] il solito skiavo americano
(di gennaroweb)
[ - ] il solito skiavo americano
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