Premetto che il mio voto sarebbe stato un ***, ma le quattro stelle erano d'obbligo per garantirgli una buona media nel mymonetro (brrr...).Detto questo, Lisztomania (titolo spiritoso e accattivante che ricalca il termine beatlemania) è un film folle, delirante, barocco, anche squilibrato, imperfetto e a tratti opaco, ma assolutamente originale e ricco di inventiva. Russell, regista dimenticato ma di grande interesse, mette in scena una fanta-biografia di Franz Liszt raccontandolo nei termini di una moderna pop-star gaudente ed edonista e proiettandolo in un ottocento assurdo e astorico. A questo punto è opportuno fare la tara ai giudizi della critica più accademica (a cominciare dal nostro stagionato Farinotti, in assoluto il critico più senile e bigotto di cui abbia mai letto qualcosa): il Liszt erotomane e il Wagner proto-nazista di Russell sono sì macchiette, ma il film non vuole (almeno secondo la mia interpretazione) avere uno spessore critico-teorico, non ha la pretesa di offrire delle proprie chiavi di interpretazione della poetica dei due compositori, e neppure (il che rende forzato parlare di bio-pic) di ricostruire con serietà psicologica la vita del nostro Franz.
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Premetto che il mio voto sarebbe stato un ***, ma le quattro stelle erano d'obbligo per garantirgli una buona media nel mymonetro (brrr...).Detto questo, Lisztomania (titolo spiritoso e accattivante che ricalca il termine beatlemania) è un film folle, delirante, barocco, anche squilibrato, imperfetto e a tratti opaco, ma assolutamente originale e ricco di inventiva. Russell, regista dimenticato ma di grande interesse, mette in scena una fanta-biografia di Franz Liszt raccontandolo nei termini di una moderna pop-star gaudente ed edonista e proiettandolo in un ottocento assurdo e astorico. A questo punto è opportuno fare la tara ai giudizi della critica più accademica (a cominciare dal nostro stagionato Farinotti, in assoluto il critico più senile e bigotto di cui abbia mai letto qualcosa): il Liszt erotomane e il Wagner proto-nazista di Russell sono sì macchiette, ma il film non vuole (almeno secondo la mia interpretazione) avere uno spessore critico-teorico, non ha la pretesa di offrire delle proprie chiavi di interpretazione della poetica dei due compositori, e neppure (il che rende forzato parlare di bio-pic) di ricostruire con serietà psicologica la vita del nostro Franz. La folle pellicola di Russell va gustata per quello che è: un divertissement, e presa così offre momenti di folle genialità che faranno la gioia di chiunque ami il grottesco e lo stravagante nel cinema. Il film ha innanzitutto un apparato plastico ricco di golosità: a livello strettamente tecnico la messa in scena di Russell, regista formalista e visionario, è qui molto meno barocca ed virtuosistica che in altri film, ma il suo genio immaginifico esplode nell'esuberanza kitsch dell'impianto scenografico (gli ambienti glam e volutamente pacchiani della villa del nostro, gli arredi da casa delle bambole della vita ideale vagheggiata da Liszt, le architetture falliche, le reminescenze espressionistiche delil castello di Wagner), in certe invenzioni visive stravaganti e assurde (fallo gigante docet...), nel raffinatissimo uso delle luci, governate dal grande direttore della fotografia Peter Suschitzky, lo stesso del mitico Rocky Horror, che ammanta il film di colori sgargianti e nella parte finale elabora anche qui un'affascinante commistione di toni cupi di gusto gotico (caricato fino al grottesco, s'intende) e di cromatismi pop. L'opera purtroppo non riesce ad essere anarchica fino in fondo e rimane solo frammentaria, ma lo stravagante divertissement di Ken Russel è denso di un umorismo grottesco esorbitante e folle e offre diversi motivi di spasso: il rocambolesco incipit onirico, le caricature dei compositori dell'epoca (gustosissima quella di un Rossini rubicondo e crapulone), il delizioso sogno chapliniano, Liszt che se la spassa col suo pisellone, il buffo cammeo di Ringo Starr nei panni del Papa, e soprattutto due momenti di un kitsch che raggiunge vette di genialità inarrivabili: la scena in cui Wagner crea il suo superuomo, un mostro di Frankenstein nibelungico con tanto di elmo con le alette, e quella in cui lo stesso Wagner, moribondo, risorge sotto forma di un mostro di Frankenstein dalle sembianza di un Hitler ante litteram armato di una chitarra elettrica-fucile mitragliatore: superbo!. Notevole la colonna sonora che rivisita brani di Liszt e Wagner, anche se a tratti cartoonesca fino al naif più infantile. Bella la canzone dei titoli di coda. Roger Daltrey è meglio come cantante, ma il personaggio machiettistico non richiedeva gran cosa.
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