elgatoloco
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domenica 14 giugno 2020
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sordi amaro
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Questo"UN Italiano in America"(ALberto Sordi, anche autore della sceneggiautra, con Rodolfo Sonego, 1967)prosegue il confronto di Sordi autore, oltre che protagonista come inteprete, con il mondo anglosassone, dato che l'anno prima aveva rrealizzato"Fimo di Londra", altro film-chiave nella sua filmografia-ma, se vogliamo - il confronto era ben precedente, in"UN Americano a Roma"(Steno, 1954, dove sia indicata o meno, la collaborazione di Sordi alla sceneggiatura è riconoscibile senza alcun problema-oggi per fotruna la sua opera di scrittura insieme a Ettore Scola, Steno, Lucio Fulci e Sandro Continenza viene riconosciuta da tutti o quasi). Certo la storia di questo benzinaio romano che, dopo trent'anni ritrova il padre che credeva morto e che ritrova negli States come puro "ricco", che in realtà ha il vizio del gioco e vari "Problemini"con la legge.
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Questo"UN Italiano in America"(ALberto Sordi, anche autore della sceneggiautra, con Rodolfo Sonego, 1967)prosegue il confronto di Sordi autore, oltre che protagonista come inteprete, con il mondo anglosassone, dato che l'anno prima aveva rrealizzato"Fimo di Londra", altro film-chiave nella sua filmografia-ma, se vogliamo - il confronto era ben precedente, in"UN Americano a Roma"(Steno, 1954, dove sia indicata o meno, la collaborazione di Sordi alla sceneggiatura è riconoscibile senza alcun problema-oggi per fotruna la sua opera di scrittura insieme a Ettore Scola, Steno, Lucio Fulci e Sandro Continenza viene riconosciuta da tutti o quasi). Certo la storia di questo benzinaio romano che, dopo trent'anni ritrova il padre che credeva morto e che ritrova negli States come puro "ricco", che in realtà ha il vizio del gioco e vari "Problemini"con la legge... C'è il divertissement sordiano, ma prevale una nora decisamente amara, nella rappresentazione del contrasto tra le grandi ricchezze(dove però una sua sorellastra, per esempio, si trova a fare decisamente una sorta di entraineuse nella casa da gioco, introducendo gli ospiti.clienti "posando"nuda)e la miseria di gruppi di persone, in genere della comunità afroamericana e comunque di emarginati nel passaggio in autobus(Greyhound). Da regista-autore -protagonista, Sordi era già in piena forma, dimostrando la sua capacità di mostrare in maniera completa che cosa siano gli States anche per un Europeo , segnatamente un Italiano che abbia goduto del"boom"econiomico-/sviluppo, perà, per dirla con Pasolini, non necessariamente= a progresso e dunque del piano Marshalll-fondamentale aiuto, certo per nulla disinteressato ma totalmente nella logica di Yalta, all'Europa da parte degli States vincitori, anche ai paesi ex.nemici, appunto, come Germania e Italia)è un fatto molto signiticativo. Lo mostra evidenziando quel"crash of civilisations"interno agli States, che, da sempre "comrpesso"spesso però esplode come anche nel momento nel quale scrivo questa nota. Sordi amaro.ironico(più amaro, però, anche nella sua rappresentazione di uno stupore estremo, spinto quasi all'eccesso)che si confronta con un suo"maestro"(lo considerva tale, in effetti(come un curioso Vittorio De Sica nel ruolo, ça va de soi, del padre. Per il resto, non siamo certo alla denuncia "dall'interno"dk"Midnight Cowboy"(Schlesinger, 1969), ma il fatto che una rappresentazione critica degli States provenga, appunto, da un artista considerato, opportunaemtne, vicino al centro cattolico e dunque non a un"sovversivo"è ancora una volta un fatto oltremodo signficativo. La preseze femminili e comunque di altri"comprimari"è presente ma non certo"determinante", limitandosi alla caratterizzazione di "tipi", in una visione decisamente fenomenologica. Le musiche di Piero Piccioni, abituale collaboratore di Sordi autore-regista per le musiche è ormai pienamente realizzata e compiuta, anche con la creazione di canzoni ad hoc, come qui con"Walk Song"cantata da Lydia Mac Donald. UN Sordi , volendo, di "transizione", ma molto, molto significativo per intenderlo anche nel suo"work in progress": El Gato
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gmigliori
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sabato 23 maggio 2020
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da americano a roma a romano in america
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Un americano a Roma è diventato un romano in America
Il mito dell’America, spesso riproposto da Sordi, trova una sua definitiva consacrazione in questo film del 1967. La specularità del titolo rispetto a Un americano a Roma del 1954 ci offre una prima (e abbastanza scontata) chiave di lettura. Nando Meniconi, reincarnatosi nel benzinaio Giuseppe Marozzi, ha finalmente trovato il modo di realizzare il suo sogno americano. Un funzionario dell’Ambasciata americana si materializza nel suo distributore di benzina [spottoni per la Gulf à gogo] per annunciargli che suo padre, che tutti credevano morto, è in realtà vivo e vegeto e lo sta attendendo in America per riabbracciarlo.
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Un americano a Roma è diventato un romano in America
Il mito dell’America, spesso riproposto da Sordi, trova una sua definitiva consacrazione in questo film del 1967. La specularità del titolo rispetto a Un americano a Roma del 1954 ci offre una prima (e abbastanza scontata) chiave di lettura. Nando Meniconi, reincarnatosi nel benzinaio Giuseppe Marozzi, ha finalmente trovato il modo di realizzare il suo sogno americano. Un funzionario dell’Ambasciata americana si materializza nel suo distributore di benzina [spottoni per la Gulf à gogo] per annunciargli che suo padre, che tutti credevano morto, è in realtà vivo e vegeto e lo sta attendendo in America per riabbracciarlo. La proposta è quella di incontralo nel corso di uno show televisivo, il tutto a spese dell’organizzazione: l’occasione è unica e irripetibile e il tono del funzionario (rappresentante locale dell’onnipotente zio Sam) decisamente perentorio : Giuseppe non può che accettare.
Lo spaesato e ingenuo Giuseppe viene così catapultato sulla ribalta di una surreale Carramba che sorpresa! ante litteram e subito fagocitato dallo smagliante e colorato showbiz americano (impietosamente ritratto nella sua ipocrisia): mascherato da gondoliere, trasformato in pagliaccio per il grasso divertimento degli americani, può riabbracciare in diretta l’anziano padre Lando “Mandolino” Marozzi redivivo, fuggito in America da molti anni, decisamente più a suo agio con il mondo dello spettacolo e subito pronto a recitare con grande scrupolo il suo ruolo nella sceneggiata grondante stereotipi sugli italiani (sancita da uno stacco pubblicitario dedicato agli spaghetti Buitoni) . Molto amara e umiliante a mio avviso la percezione proposta da questo film dell’Italiano nell’America trionfante del dopoguerra: indissolubilmente associato ai più vieti luoghi comuni (gondoliere, mangia spaghetti compulsivo, buffone, melodrammatico, mafioso, ecc.) e ridotto a tragicomica macchietta, a maggior ragione dopo l’esito, catastrofico per l’Italia, dell’ultimo conflitto mondiale.
Fagocitato e prontamente espulso dopo aver ottenuto il suo canonico quarto d’ora di celebrità, Giuseppe (ma il suo nome è stato immediatamente storpiato da tutti in “Giuseppi” … per caso vi ricorda qualcosa?) al suo risveglio il giorno dopo, alla luce del sole comincia a venire a contatto con una realtà molto diversa da quella che gli era stata fatta apparire dal rutilante baluginio dello spettacolo notturno. Questo padre redivivo appare sempre più insofferente nei suoi confronti e costantemente implicato in usa serie di loschi affari (legati alla sua smodata passione per il gioco) che faranno emergere il suo bieco cinismo, la sua indole da basso truffatore da quattro soldi, vile e incapace di assumersi responsabilità, per la quale non esita a sfruttare economicamente il figlio, truffandolo ripetutamente. Giuseppe vede ma non vuole vedere, si aggrappa alla sua illusione di un sogno americano che gli si sgretola davanti trascinandolo in una serie di disavventure itineranti (si innesca puntualmente il meccanismo del road movie) sulle quali non mi soffermo per lasciarvi il piacere della visione, ma anche perché a mio modesto avviso la sequenza più interessante e originale è quella iniziale dello show. Per quanto riguarda il finale, sottolineo soltanto un interessante parallelismo con la scena iniziale, una chiusura della storia ad anello, non priva di malinconia ma anche di fiducia verso un possibile nuovo avvenire: per chi ha voglia di rimboccarsi le maniche adattandosi a un lavoro umile ma onesto, un posto si trova sempre negli States. Paradossalmente, dopo il rapido crollo delle illusioni di ricchezza generate dal padre millantatore, nessuna delle grandi promesse dell’America viene mantenuta ma al tempo stesso, in maniera imprevedibile, si realizza il personale sogno americano di ”Giuseppi”.
Terza protagonista sicuramente l’America, gli States raccontati nel loro splendore urbano ma anche nel degrado e nello squallore delle periferie, attraverso cartoline di viaggio, vedute panoramiche coast to coast (New York, il New Jersey, Holliwood, Las Vegas, Arizona, New Mexico, Texas, Memphis gli stati e le città attraversati dalla coppia) che secondo me possiedono una valenza documentaria e sociologica molto interessante (impostazione già proposta nel precedente Fumo di Londra).
Una parola finale sulla coppia Sordi – De Sica, già rodata in Mio figlio Nerone (1956) e Il conte Max (1957), poi riproposta con inversione di ruoli (Sordi farà il padre scapestrato, Verdone il figlio ingenuo e idealista) in Viaggio con papà, (1982). Vittorio De Sica, che con il personaggio di Mandolino condivide la smodata passione per il tavolo verde, recita il ruolo del comprimario con grande nonchalance ma anche con una punta di rassegnazione, per la serie “chessedevefapecampà”.
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rob8
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giovedì 2 agosto 2018
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il fatuo fulgore del sogno americano
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Non sempre i film diretti da Alberto Sordi, soprattutto quelli dell’ultimo periodo della sua carriera, hanno colto nel segno. Troppo debordante la sua maschera, troppo presente il sentimento fatalista da uomo medio, che ben altro spessore ebbero negli anni d’oro della commedia all’italiana.
Purtuttavia la felice vena creativa del sodale di una vita, Rodolfo Sonego, gli ha spesso fornito soggetti interessanti e non privi di spunti critici e acuti sulla società contemporanea. È il caso di questo film atipico, girato negli Stati Uniti, dove il fulgore del sogno americano, partito da uno show in TV e proseguito tra le luci di Manhattan, finisce progressivamente per rivelarsi fatuo.
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Non sempre i film diretti da Alberto Sordi, soprattutto quelli dell’ultimo periodo della sua carriera, hanno colto nel segno. Troppo debordante la sua maschera, troppo presente il sentimento fatalista da uomo medio, che ben altro spessore ebbero negli anni d’oro della commedia all’italiana.
Purtuttavia la felice vena creativa del sodale di una vita, Rodolfo Sonego, gli ha spesso fornito soggetti interessanti e non privi di spunti critici e acuti sulla società contemporanea. È il caso di questo film atipico, girato negli Stati Uniti, dove il fulgore del sogno americano, partito da uno show in TV e proseguito tra le luci di Manhattan, finisce progressivamente per rivelarsi fatuo.
Un’America vista dai finestrini di grandi automobili o di un Greyhound, in un panoramico viaggio on the road che da New York approda al Mississipi, passando per Hollywood e Las Vegas: dove un magistrale De Sica può emulare sé stesso e il suo vizio del gioco.
Un tragitto che rende omaggio al cinema classico americano (anche nella voluta scelta di non dare conto dei fermenti sociali di quegli anni Sessanta), ma che nel contempo ne prende le distanze: conducendo questo italiano spaesato – un Sordi dei migliori tempi – ad una meta finale familiare che sa tanto di casa propria.
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david, genova
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sabato 24 luglio 2010
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america: ennesima delusione di un italiano
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Nando Moriconi non sarebbe mai andato in America, ma circa quindici anni dopo un suo sosia sì. Per scoprire cosa? Che il sogno americamo è un pò un bluff. Gli stessi problemi lì come in Italia e un padre che non è poi così ricco come sembra.
Io di "Un italiano" ricordo bene la scena principe del riincontro tra il figlio e il padre (e la pubblicità della Buitoni - pensate che nessuno se la ricordava?) e quando il buon uomo si fa imboccare dall'amante ("obesa" - non tanto) hawaiana.
Finita con questo film una specie di trilogia: l'italiano che tenta d'essere qualcun altro per poi scoprire che "c'è più gusto ad essere italiani" (ora la pubblicità l'ho fatta io!).
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david, genova
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venerdì 23 luglio 2010
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di "un italiano in america" cosa ricordo
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Nando Moriconi aspetta quasi quindici anni prima di andare in America, dopo che aveva tentato di gettarsi dal Colosseo. Nando Moriconi in realtà è invecchiato e c'è un altro romano ad andare in America e tornare deluso: il grande sogno americano non è un bluff, ma di certo non una favola.
Di questo film ricordo solo: la scena principe, il riincontro tra il benzinaio e il padre in televisione e la scena della fasulla vita da favola del padre, con un' amante "hawaiana" (non ricordo bene) che lo sta imboccando.
Non so che dire d'altro.
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riccardo pellegrini
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mercoledì 13 gennaio 2010
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strepitoso duetto
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Una delle prove registiche di Alberto Sordi più convincenti...strepitoso duetto attoriale Sordi-De Sica...non perfetto ma ancora assai godibile...
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santucci
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sabato 20 giugno 2009
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maestri a confronto
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Potrebbe essere il vecchio che lascia il posto all'erede ma vecchio è una parola brutta, specialmente se parliamo di Vittorio De Sica, meglio dire allora che i due maestri si mettono a confronto in un film sufficiente ma che non fa impazzire i cinefili
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mancio83
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martedì 9 giugno 2009
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coppia d'assi
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Sordi e De Sica più che mai affiatati nella terza regia del primo che si trasferisce nella sua amata America.
Uno dei migliori di Sordi regista !
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manfredi 4ever
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lunedì 18 maggio 2009
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terza regia
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Il miglior film di Sordi come regista, il quale riesce a realizzare il sogno di girare in America !!
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