pietro maria giovanni avella
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domenica 10 dicembre 2023
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un film necessario
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su un tema del quale si è parlato, ma non abbastanza. La regia e l'interpretazione di Riondino, tra dramma e surrealismo, rendono con grande efficacia ogni controverso aspetto di questo capitolo di storia recente. La drammatica scelta tra il lavoro e la salute, tra il diritto e il ricatto.
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no_data
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venerdì 8 dicembre 2023
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finalmente un film sul lavoro
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Riondino debutta assai bene con un film sul grande assente del cinema italiano, il lavoro in fabbrica, tema che è praticamente scomparso dal cinemino italico post '80, ben attento a raccogliere la vulgata della scomparsa dell'operaio. Lo fa con un film con il tono caustico e sulfureo della migliore commedia anni '70, quella che mozzica, con echi evidenti di Elio Petri, utilizzando per la maschera attoriale del suo personaggio, il protagonista, un beffardo mix di richiami ai grandi mattatori dell'epoca, soprattutto al Giannini Werthmulleriano. Da vedere.
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jonnylogan
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martedì 5 dicembre 2023
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vogliamo lavorare
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Esordio dietro la macchina da presa estremamente impegnativo per il Giovane Montalbano Michele Riondino che decide di narrare la vita, o sarebbe meglio dire la morte civica, e cinica, della palazzina Laminatoio a Freddo salita ai disonori della cronaca per aver rappresentato il primo caso di Mobbing certificato in Italia e confino ove all’ILVA era consuetudine relegare i dipendenti più scomodi nel quadro di un'ipotetica ristrutturazione aziendale, ai quali fare pagare l’ostinazione nel non voler rinunciare a uno spostamento di reparto e a un demansionamento.
Riondino riserva per sé il ruolo, immaginario a Taranto ma reale in altri punti aziendali presenti nella penisola, del braccio armato della dirigenza aziendale.
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Esordio dietro la macchina da presa estremamente impegnativo per il Giovane Montalbano Michele Riondino che decide di narrare la vita, o sarebbe meglio dire la morte civica, e cinica, della palazzina Laminatoio a Freddo salita ai disonori della cronaca per aver rappresentato il primo caso di Mobbing certificato in Italia e confino ove all’ILVA era consuetudine relegare i dipendenti più scomodi nel quadro di un'ipotetica ristrutturazione aziendale, ai quali fare pagare l’ostinazione nel non voler rinunciare a uno spostamento di reparto e a un demansionamento.
Riondino riserva per sé il ruolo, immaginario a Taranto ma reale in altri punti aziendali presenti nella penisola, del braccio armato della dirigenza aziendale. Pronto a riferire chi siano i colleghi, in particolar modo sindacalisti, più combattivi e quindi più indicati per essere deportati alla palazzina del titolo. La descrizione di Caterino che ci sfila davanti allo sguardo, è quella di un uomo semplice ma deciso, che vive la vita di fabbrica come un mezzo economico con il quale affermarsi socialmente e che nelle relazioni sindacali non intravede nulla di buono se non un mare di parole inutili. A fargli da contraltare, ma sarebbe meglio dire da spalla e manovratore, l'untuoso Elio Germano calatosi come sempre alla perfezione nella parte di Giancarlo Basile, dirigente capace di avvicinare Caterino carpendone la buona fede con fare mefistofelico in cambio di auto aziendale e conseguente promozione immeritata. Il contorno è quello di una fabbrica che nel corso degli anni ha avvelenato non solo la città di Taranto ma ha rovinato la vita a numerose persone; vittime dei soprusi come quelli perpetrati sul finire degli anni '90.
Pellicola come dicevamo civica che il regista, Tarantino DOC, con un fratello ammalatosi per aver lavorato proprio all’ILVA, ha voluto girare sulla scia del cinema d’impegno sociale che fece la fortuna di Elio Petri e Gian Maria Volonté, difficile in Caterino non intravedere l'ombra di Ludovico "Lulù" Massa protagonista di La classe Operaia va in Paradiso (id.; 1971) ma senza quella presa di coscienza che, nella pellicola di Petri, ne contraddistinguevano la catarsi. Pellicola il cui contenuto funziona, per merito di tutto il cast, come un orologio di fattura pregiata e che non sembra assolutamente creato da un regista esordiente.
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paolo p
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lunedì 4 dicembre 2023
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abbiamo bisogno di questi film
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Un film di cui abbiamo bisogno. Un racconto del nostro presente senza sbavature.
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francesca meneghetti
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sabato 2 dicembre 2023
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quanti caterino ci sono tra di noi?
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Caterino è un operaio dell’Ilva di Taranto. Un crumiro, si sarebbe detto un tempo. Piuttosto ignorante, si crede furbo e, convinto di aver trovato una scorciatoia per affrancarsi dalla dura vita in produzione, diventa capo squadra, in cambio di informazioni sull’attività sindacale da passare a Basile, capo del personale. Un giorno Caterino, scorrazzando con una vecchia Panda di cui è stato dotato, scopre una palazzina, detta Laf, in cui stanno in purgatorio, ma sarebbe meglio dire all’inferno, decine di impiegati: costretti all’ozio, forse per qualche protesta o segno di insubordinazione.
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Caterino è un operaio dell’Ilva di Taranto. Un crumiro, si sarebbe detto un tempo. Piuttosto ignorante, si crede furbo e, convinto di aver trovato una scorciatoia per affrancarsi dalla dura vita in produzione, diventa capo squadra, in cambio di informazioni sull’attività sindacale da passare a Basile, capo del personale. Un giorno Caterino, scorrazzando con una vecchia Panda di cui è stato dotato, scopre una palazzina, detta Laf, in cui stanno in purgatorio, ma sarebbe meglio dire all’inferno, decine di impiegati: costretti all’ozio, forse per qualche protesta o segno di insubordinazione. Sono ingegneri, informatici, segretarie, segregati, sorvegliati, condannati all’alienazione se non alla follia a causa del vuoto, in quanto privati di ogni ruolo e impediti nella realizzazione professionale. Due sole alternative. il licenziamento o il demansionamento. Le scene della palazzina Laf ricordano i manicomi, e questa è la parte più efficace del film. Caterino chiede di essere destinato proprio là, dove potrà, lontano dalle fatiche, continuare la sua attività di spia, fino all’epilogo che si tace.
Caterino fa venire in mente Lulù (La classe operaia va in paradiso), ma il confronto non premia il film di Riondino (debuttante regista, oltre che eclettico artista). Gli va dato atto, è vero, di due scelte coraggiose: aver raccontato una delle prime storie di mobbing (fine anni ’90), in cui la dirigenza dell’Italsider fini sotto processo; poi, aver scelto di interpretare un personaggio sgradevole, che rischia di appannare la sua immagine di giovane Montalbano, bello e bravo. Ma il film manca di quell’incisività tragica del film di Petri (l’enfasi esagerata del sonoro non basta: o meglio sarebbe stata opportuna solo per rappresentare l’ambiente infernale dell’Ilva), come manca un’adeguata rappresentazione dell’ambiente familiare, della vita di C. fuori della fabbrica, per non parlare dei veleni prodotti dalla fabbrica, responsabili di morti e malattie.
Lo stesso protagonista appare piatto. Sembra che tutto gli scivoli addosso con la massima indifferenza, anche l’agonia di una pecora per effetto dell’inquinamento. Quel po’ di tenerezza che emerge verso la segretaria è ben poca cosa, niente che possa scalfire le sue ottuse convinzioni, ribadite al processo. È vero che il regista potrebbe aver scelto questo profilo rappresentativo di una tipologia umana (assumendosi un ruolo scomodo e antipatico) per suscitare indignazione negli spettatori, così come dovrebbe accadere di fronte al boss Basile, interpretato da un Elio Germano un po’ manieristico nella recitazione. Però forse c’erano altre strade.
Il film può vantare la presenza di un ottimo cast, inclusa Vanessa Scalera, in un ruolo marginale, però. Ma ci lascia addosso la nostalgia per Lulù-Volonté e per il giovane Salvo-Riondino.
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