luciano sibio
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domenica 21 agosto 2022
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nostalgia canaglia
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Mi sono permeeeo nella frase di lancio di fare un pò di sarcasmo non tanto per criticare Martone ma per riportare il film in un ambito di puro intrattenimento in cui i film di Martone sono spesso da ascrivere. Ma questo non è un demerito anzi tutt'altro perchè a Martone di raccontare storie riesce e molto bene.
Anche qui il film scorre bene anche se inizialmente alcuni tempi lunghi hanno fatto presagire,ma per poco,la presenza di un qualche tormentone esistenzialistico.
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ralphscott
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domenica 17 luglio 2022
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assoluzione o condanna ?
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Uscire dalla sala, o dall'arena estiva, senza certezze, dopo aver accolto i personaggi con pregiudizio, poi con indulgenza, infine con fatalismo e l'immaginazione che i finali in chiaroscuro fomentano: sono questi i film che più mi affascinano, quelli che ti fanno pensare e scomodare dalle tue posizioni di confort. Di Oreste si sa poco, forse vittima delle circostanze, forse della propria debolezza; di certo, i conti col passato non si chiudono con la polvere da sparo. Cos'ha mosso la mano del boss? L'immagine insopportabilmente serena di chi ce l'ha fatta - Felice - o semplicemente senso pratico ed abitudine?
Notevole il prete di Francesco Di Leva, attore sensibile ed empatico.
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Uscire dalla sala, o dall'arena estiva, senza certezze, dopo aver accolto i personaggi con pregiudizio, poi con indulgenza, infine con fatalismo e l'immaginazione che i finali in chiaroscuro fomentano: sono questi i film che più mi affascinano, quelli che ti fanno pensare e scomodare dalle tue posizioni di confort. Di Oreste si sa poco, forse vittima delle circostanze, forse della propria debolezza; di certo, i conti col passato non si chiudono con la polvere da sparo. Cos'ha mosso la mano del boss? L'immagine insopportabilmente serena di chi ce l'ha fatta - Felice - o semplicemente senso pratico ed abitudine?
Notevole il prete di Francesco Di Leva, attore sensibile ed empatico. Qualche clichè di troppo ruota attorno alla sua chiesa, tra birre e ragazzini estasiati. La regia annovera angoli suggestivi ripresi con maestria. Soundtrack vario, affatto banale.
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anita
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venerdì 1 luglio 2022
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intenso
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Emozionante, intenso, sempre ottimo livello per regia e cast, solo un po' lento.Ho preferito gli ultimi di Martone sempre in zona Napoli ...Qui rido io e Il Sindaco del Rione Sanità...
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frankmoovie
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domenica 26 giugno 2022
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nostalgia: turbine di ricordi e sentimenti
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Nostalgia è un film che "prende" sia l'attenzione del pubblico, sia il cuore e la mente di chi vive lontano dalla sua Città natale, molto più di quelli che restano e ci vivono distratti, senza rendersi conto del bene e del male che una Città può dare, presi dal tran tran quotidiano e ricordandosi della propria appartenenza solo quando qualcuno cerca di far notare le criticità, contrapponendo bellezze da cartolina.
Come si nota, ho scritto "Città" e non "Napoli" dove il film è ambientato perché la Nostalgia può "prenderti" per qualsiasi luogo dove hai vissuto e Napoli è protagonista nel film come avrebbe potuto essere la parte di ogni Città dove esistono quartieri sovraffollati, degradati, dove la gente si arrangia e la malavita comanda e dove solo l'impegno sociale può aiutare qualcuno a uscire da una spirale che acceca dalle brutture.
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Nostalgia è un film che "prende" sia l'attenzione del pubblico, sia il cuore e la mente di chi vive lontano dalla sua Città natale, molto più di quelli che restano e ci vivono distratti, senza rendersi conto del bene e del male che una Città può dare, presi dal tran tran quotidiano e ricordandosi della propria appartenenza solo quando qualcuno cerca di far notare le criticità, contrapponendo bellezze da cartolina.
Come si nota, ho scritto "Città" e non "Napoli" dove il film è ambientato perché la Nostalgia può "prenderti" per qualsiasi luogo dove hai vissuto e Napoli è protagonista nel film come avrebbe potuto essere la parte di ogni Città dove esistono quartieri sovraffollati, degradati, dove la gente si arrangia e la malavita comanda e dove solo l'impegno sociale può aiutare qualcuno a uscire da una spirale che acceca dalle brutture. Eppure chi è stato lontano e torna dopo anni, sente quel morso dei ricordi, degli affetti, dei posti che ha lasciato e non sempre sono ricordi, affetti e posti stupendi.
Il film è bello, tratto dal romanzo di Domenico Rea, diretto da Mario Martone che cresce professionalmente anno dopo anno, con una fotografia stupenda che si districa tra salite, discese, vicoli stretti, passaggi rumorosi e veloci di moto, catacombe che vivono pur essendo dei morti ... Ottima anche la colonna sonora che accompagna tutta la storia ed evidenzia momenti importanti. Ben scelto il cast di attori, veri professionisti che affermano le loro qualità più o meno note a livello nazionale e internazionale: magistrale Pierfrancesco Favino, coerente al personaggio Tommaso Ragno, in crescita continua Francesco Di Leva, i popolari Aurora Quattrocchi e Nello Mascia, i giovani promettenti ... La visione del film scorre creando curiosità e perplessità nell'attesa di una risposta alla domanda: "Conviene abbandonare quanto si è costruito nella Città adottiva (compagna, casa, lavoro, abitudini decennali ...) e tornare per cercare qualcosa o qualcuno che ormai è nei ricordi oppure conviene trattenere nella memoria il passato e pensare al futuro?
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mauridal
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venerdì 10 giugno 2022
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una coltellata al ritorno
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Mario Martone regista e sceneggiatore con Ippolita Di Majo ritorna nella Napoli contemporanea con il film Nostalgia, che insieme a Morte di un matematico.. e Amore molesto ricrea un clima di un vissuto della città attraverso gli occhi e le sensazioni dei personaggi che la animano , spesso uomini e donne che hanno una identità precisa, siano essi intellettuali oppure di estrazione popolare come pure in questo. caso. Una identità definita in maniera molto letteraria , personaggi descritti a penna e poi trasferiti in immagini.
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Mario Martone regista e sceneggiatore con Ippolita Di Majo ritorna nella Napoli contemporanea con il film Nostalgia, che insieme a Morte di un matematico.. e Amore molesto ricrea un clima di un vissuto della città attraverso gli occhi e le sensazioni dei personaggi che la animano , spesso uomini e donne che hanno una identità precisa, siano essi intellettuali oppure di estrazione popolare come pure in questo. caso. Una identità definita in maniera molto letteraria , personaggi descritti a penna e poi trasferiti in immagini.Tutto il film risente della impostazione romanzata tratta dall’originale di Domenico Rea, ma questo, è un valore aggiunto. il film realizza una propria autonomia nella impronta che il regista dà al personaggio di Felice Lasco con la bella interpretazione di Pier Francesco Favino. Felice viene ritratto in tutti i possibili stati emozioniali attraverso sguardi e atteggiamenti introversi, e con un linguaggio cinema che Martone possiede quando utilizza i primi piani, sui volti o i dettagli sulle cose e gli ambenti che descrive. Il film ci restituisce una Napoli forse ancora attuale , ma attraverso il ricordo e il rimpianto di un passato ormai lontano ma che ancora insegue Felice, con la sua nostalgia per ciò che non è più possibile avere . Indubbiamente la parte dell’animo del protagonista che ricerca una sua identità perduta , nel ritorno alle origini , possiamo rintracciarla in tanti personaggi del cinema e della letteratura, ma qui a far da sponda a Felice è la città di Napoli con la gente del popolo presente , e Martone sottolinea la sua posizione nei confronti dei lati oscuri e negativi che già Rea denunciava nel suo lavoro. Nel film vediamo Una città ancora bella e affascinante , seppure attraverso le immagini dei vicoli e dei labirinti di un quartiere simbolico per tanti napoletani , per la storia che ha avuto e per le vicende che ancora possiede .ottima la interpretazione degli attori tutti , dal protagonista Favino a al personaggio della vecchia madre di Aurora Quattrocchi all ‘anziano patrigno Nello Mascia, al Prete Impegnato nel sociale con Francesco Di Leva Infine il personaggio Oreste anti -Felice il vecchio amico nemico , Tommaso Ragno. Proprio il loro apporto ha consentito una impostazione anche teatrale , cara al regista che tutto il film possiede (mauridal)
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yarince
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venerdì 10 giugno 2022
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come ulisse, nessuno torna a ciò che ha perso.
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Il tema dell’emigrante, del ritorno, delle mancanze mi è sempre stato molto caro, per cui questo film è stato emotivamente difficile da sostenere, ho dovuto respirare con il diaframma per gestire l’emozione e poi, per un cancerino come me, la nostalgia è pane quotidiano!
La Nostalgia è il dolore dolce dell’emigrante che desidera tornare a casa, è il dolore del distacco dal luogo, la casa del padre, e dal tempo, l’infanzia e la gioventù.
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Il tema dell’emigrante, del ritorno, delle mancanze mi è sempre stato molto caro, per cui questo film è stato emotivamente difficile da sostenere, ho dovuto respirare con il diaframma per gestire l’emozione e poi, per un cancerino come me, la nostalgia è pane quotidiano!
La Nostalgia è il dolore dolce dell’emigrante che desidera tornare a casa, è il dolore del distacco dal luogo, la casa del padre, e dal tempo, l’infanzia e la gioventù. Ma è un ritorno impossibile, se non che nell'interiorità dei ricordi, è un dolore incolmabile.
Milan Kundera diceva che la felicità è desiderio di ripetizione, di circolarità, ma la nostra vita scorre il linea retta.
Una poesia molto bella di un poeta portoghese, Manuel Alegre, diceva così:
" Itaca è dentro, una luce, un viso, un odore...
Un posto, un luogo sacro da qualche parte nel tempo.
Come Ulisse, nessuno torna a ciò che ha perso, come Ulisse non sarai riconosciuto .
Cerchi Itaca, ma c’è solo questa ricerca, ovunque tu sia, è dentro di te, Itaca è la tua stessa erranza".
Felice torna a Napoli dopo 40 anni di assenza e di erranza, non ricorda bene neanche l'italiano e questo è già un indizio importante che ci fa comprendere lo spaesamento e la confusione in cui si trova, perchè la lingua madre è un'impronta identificativa profonda di appartenenza che lui, per poter vivere lontano, ha cercato di dimenticare. Andò via da Napoli a 15 anni, per sfuggire a un destino segnato, quello dei ragazzini del rione sanità. Torna in tempo per dare l’ultimo saluto alla madre anziana e inizia a ricordare, ripercorre la sua adolescenza in moto, l’amicizia, i luoghi, sente di dover rincontrare il suo migliore amico, che è ora diventato il boss del quartiere, Oreste O’ Malomm'. Benché tutti, l’amico della madre, Don Luigi, gli consigliano vivamente di desistere dal suo intento e di andarsene da Napoli, lui decide di restare e di incontrare l’amico fraterno verso cui nutre un senso di colpa; quello di averlo lasciato e di essersi salvato da solo. Nel secondo tempo, Felice riacquista padronanza della lingua, lo sentiamo esprimersi in napoletano e stringe amicizia con i ragazzi di Don Luigi, il prete che cerca di tenere i ragazzi lontano dai pericoli della strada e di avvicinarli alla musica e allo sport .
"Ma Come Ulisse , nessuno torna a ciò che ha perso", come Ulisse, Felice non sarà riconosciuto, perché non appartiene più a quel luogo.
Felice ed Oreste sono complementari; quando Don Luigi gli racconta chi è diventato Oreste O'Malomm', Felice gli risponde che loro due sono uguali, lui vede in Oreste la proiezione di se stesso e della sua vita se non fosse partito, Oreste è la sua parte in ombra con cui vuole riappacificarsi.
Nella scena finale, che non vorremo mai vedere, Caino uccide Abele a tradimento e noi ci restiamo malissimo perché vorremmo salvare sia Felice che Oreste.
Martone è sempre una garanzia di qualità, Favino bravissimo e Napoli è un teatro a cielo aperto: umana, complessa, pericolosa, labirintica, ci svela sempre uno scorcio nuovo e una nuova verità.
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chantal
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giovedì 9 giugno 2022
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indienticabie
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Un film splendido, una Napoli che è lei ma può essere anche altrove. Straordinaria interpretazione di Favino. E mostrare come sia possibile la convivenza tra italiani e non, è veritiero. Grazie Martone, non dimenticherò Nostalgia.
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pasquale
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venerdì 3 giugno 2022
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un film veramente brutto
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È difficile pensare che un napoletano come Martone abbia potuto scegliere di far parlare Favino in quel modo, passando dall’accento arabo, (il filo è sottile fra il caricaturale e il comico) a quello napoletano, veramente insopportabile e mai credibile, o far interpretare Oreste a Ragno, ancora più insopportabile e ancor meno credibile. La scena della madre e di Favino, dove poverina viene denudata gratuitamente, non solo non genera commozione ma ha creato, almeno in me, un senso di inadeguatezza. Il risultato è stucchevole e fastidioso. Insomma, il film è veramente brutto. Ultima nota: il montaggio e le musiche sono le cose peggiori.
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darkglobe
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giovedì 2 giugno 2022
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una storia di recupero del tempo perduto
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A guardare “Nostalgia” il pensiero ci riporta per alcune affinità d’ambientazione a Morte di un matematico napoletano, film dalla forma visiva assai grezza, caratterizzato oltretutto da un senso di devastante cupezza dell’ineluttabile, chiaramente voluto dalla co-sceneggiatura della Ramondino. Anche in quel caso il compianto Caccioppoli sembrava quasi perdersi tra i vicoli più oscuri di una parte della città partenopea per certi versi assuefatta al male e al dolore.
Martone oggi è un regista “maturo”. La sua cifra stilistica è più accessibile, oscillando tra il proprio mondo poetico e le ovvie necessità produttive.
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A guardare “Nostalgia” il pensiero ci riporta per alcune affinità d’ambientazione a Morte di un matematico napoletano, film dalla forma visiva assai grezza, caratterizzato oltretutto da un senso di devastante cupezza dell’ineluttabile, chiaramente voluto dalla co-sceneggiatura della Ramondino. Anche in quel caso il compianto Caccioppoli sembrava quasi perdersi tra i vicoli più oscuri di una parte della città partenopea per certi versi assuefatta al male e al dolore.
Martone oggi è un regista “maturo”. La sua cifra stilistica è più accessibile, oscillando tra il proprio mondo poetico e le ovvie necessità produttive. Così, attraverso le pagine di Ermanno Rea, ci racconta la storia di una vita spezzata, di un passato interrotto bruscamente; di un adolescente, Felice (Pierfrancesco Favino), figlio di una bella e nota sarta del quartiere Sanità, sottratto a seguito di un incidente alla propria città, spedito verso il Medio Oriente e poi migrato in Africa, dove diventerà negli anni imprenditore, sposandosi al Cairo e convertendosi all’islam, addirittura perdendo quasi aderenza con la propria lingua.
Il suo ritorno a Napoli dopo anni, per reincontrare l’anziana madre a cui ha a lungo inutilmente scritto senza sapere che fosse avviata alla cecità, è la storia di una ricerca, una sorta di accanito e quasi ingenuo recupero della memoria, condito da aspetti nostalgici e senso di vuoto interiore, visivamente sorretto da ripetuti flashback fatti di sfrenate e liberatorie corse in moto. Si tratta in altri termini di un percorso di riappropriazione che si sviluppa per anelli concentrici via via più a fuoco, quasi fosse un’indagine che si arricchisce di volta in volta di fatti dell’oggi per meglio comprendere quelli di allora; un viaggio in cui riaffiorano ricordi e affetti logorati dal tempo all’interno della Sanità, una sorta di città nella città. Il suo quartiere, prima solo immaginato nell’asettico albergo del Centro Direzionale, poi letteralmente riscoperto in ogni suo recondito vicolo, nei passaggi a piedi tra ponti, mura antiche, piccole attività commerciali, abitazioni fatiscenti o citofoni inesistenti, gente che ti osserva furtivamente e motorini che sfrecciano seguendo linee geometriche imprevedibili. La fotografia di Paola Carnera è un elemento di assoluto pregio e quasi necessario in questo film, tenuto conto di quanto possa essere difficile districarsi e dare il giusto valore estetico agli ambienti stretti e a volte claustrofobici del quartiere napoletano in cui è ambientata la storia: primi piani ricondotti allo stretto necessario, gran senso prospettico e bel gusto della composizione che danno al quartiere una visibilità per certi versi misteriosa.La ricostruzione narrativa di Martone è assai plausibile pur tra qualche incongruenza o qualche accelerata di troppo in un film dall’incedere globalmente assai lento: i luoghi e le persone sono verosimili e nulla dei comportamenti di queste ultime appare irrealisticamente amplificato o macchiettisticamente sguaiato, così come naturali sono le loro scelte di vita che simboleggiano il perenne conflitto tra il bene e il male, tra gli slanci di una generosità conviviale e la dolorosa consapevolezza di un ambiente che vive la quotidianità della sopraffazione e della dolorosa necessità del male per la sopravvivenza.
Il bene è rappresentato dalla figura quasi rabbiosa di Padre Luigi Rega, prete che si sforza di strappare i ragazzi dalla strada creando o mostrando loro opportunità di vita migliori, personaggio di cui è rimarcabile l’interpretazione di Francesco Di Leva che già ne Il buco in testa mostrava quanto fosse a suo agio in ruoli tanto viscerali. La figura di Rega racchiude in sé quella certa operosità ispirata a Don Antonio Loffredo ma anche l’indole di accoglienza e propensione allo sdegno di Padre Alex Zanotelli, dalle cui famose parole di condanna (“Dio non manderà nessuno a salvarci, toccherà a noi dire basta”) trae spunto l’orazione per la morte di un giovane abitante della zona (chiaro il riferimento alla vicenda di Genny). La frequentazione del prete di strada da parte di Felice, perfino la sua confessione, realizzano uno strano sincretismo di fedi che mostra in qualche modo una possibile via di convivenza tra diverse etnie e religioni.
Il male è viceversa Oreste Spasiano (Tommaso Ragno), temutissimo boss locale: il solo nominarlo fa serrare finestre ed ammutolire gli astanti. Il boss, o “malommo”, porta dietro di sé una scia maleodorante di bische, droga, prostituzione e violenze e vive isolato in una casa che si raggiunge percorrendo le vie che si inerpicano da largo Miracoli verso le pendici boschive e splendidamente panoramiche di Capodimonte. Eppure quella casa e quel “mestiere” non sono altro che una prigione, una condanna a dover essere sempre e comunque una maschera, una rinuncia ad ogni sorta di affetto residuo e ad ogni scambio sociale che abbia la parvenza dell’umano.
Spasiano è d’altra parte l’amicizia perduta che alimenta il forte legame di Felice con il suo quartiere. Eppure per il boss l’arrivo improvviso di Felice va ostacolato, perché vissuto come il ricordo del tradimento, dell’abbandono: si tratta infatti di un amico perso, che ha a suo dire salvato vigliaccamente la pelle e costruito così una vita di successo lasciandolo solo nel suo irreversibile destino di malavitoso. La frequentazione da parte di Felice di Padre Luigi non fa che alimentare ulteriormente quel rancore, anche se un incontro tra i due vecchi amici sembrerebbe aver ristabilito la verità dei fatti e ribilanciato sentimenti ed astio.
Stride il contrasto tra la casa nel Cairo di Felice, con la bella moglie, l’ordine quasi geometrico dei quadri sulle pareti bianche, le vetrate linde da un lato e una indecente bettola alla Sanità dall’altro, quella che ospita la ormai malandata e un tempo corteggiata povera madre del protagonista. Un modo per identificare il male di un quartiere in cui la velocità del cambiamento, del miglioramento sociale, nonostante gli immani sforzi del prete di strada, è frenata dalle resistenze di un mondo per il quale il cambiamento stesso ed il riscatto sociale costituiscono un pericolo di dissoluzione di un sistema fatto di illegalità e malaffare. La necessità del male, oltre che la sua terrificante banalità distruttiva, portano in qualche modo a risolvere il vecchio conflitto affettivo, ma le conseguenze, come suggerisce una foto, saranno inattese e presumibilmente più dolorose del previsto.
Pierfrancesco Favino offre un’interpretazione memorabile, rappresentando efficacemente l’indole atipica di un uomo che non comprende la paura e vive con incosciente intensità la riscoperta dei propri ricordi. Bellissima e tenera la messa in scena del rapporto con la madre, con la pudica e commovente inversione dei ruoli in termini di accudimento. La cadenza verbale di Favino ondeggia con grande efficacia tra l’inflessione arabeggiante innestata su un italiano claudicante ed il napoletano via via recuperato, quando le frequentazioni si intensificano.
Nella coinvolgente colonna sonora, che rimanda cronologicamente agli anni 70, spadroneggia tra gli altri il krautrock dei Tangerine Dreams.
Per certi versi Nostalgia è un film che ricostruisce un’atmosfera assaporabile su più livelli di comprensione e riflessione personale, di cui quelli più intimi paiono essere riservati solo ai profondi conoscitori della città, dei suoi quartieri e delle consuetudini sociali che li caratterizzano. Ma questo non ne impedisce a chiunque la godibilità della visione.
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loland10
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giovedì 2 giugno 2022
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silenzi e oscurità
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“Nostalgia” (2022) è l’undicesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore napoletanoMario Martone.
“Vattene!”, “Ma perché lei resta qua?”. Non c’è risposta.
Don Luigi va via e Felice rimane a pensare. Vedi Napoli e poi muori.
Un film di luoghi e posti da riguardare e rivedere. Da riconoscere.
Per riappropriarsi del suo passato adolescenziale Felice ritorna con fatica indietro, poi mano a mano il suo mondo riappare, si tocca nella memoria e dentro il suo corpo. I flash back sono amari e dolci come ogni cosa da fuga del passato e mai persa completamente
Notturni e notti.
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“Nostalgia” (2022) è l’undicesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore napoletanoMario Martone.
“Vattene!”, “Ma perché lei resta qua?”. Non c’è risposta.
Don Luigi va via e Felice rimane a pensare. Vedi Napoli e poi muori.
Un film di luoghi e posti da riguardare e rivedere. Da riconoscere.
Per riappropriarsi del suo passato adolescenziale Felice ritorna con fatica indietro, poi mano a mano il suo mondo riappare, si tocca nella memoria e dentro il suo corpo. I flash back sono amari e dolci come ogni cosa da fuga del passato e mai persa completamente
Notturni e notti. In una Napoli dove di rituale c’è poco si ode il rumore del buio. Nel Rione Sanità tra traffico di auto e suoni minimi, i volti s’affacciano da finestre e da balconi chiusi. Ma il volto del nero attutisce tutto e nasconde la camorra dentro ogni stanza. Il passo del ritorno è diverso. Accarezza e tocca i muri, come preme qualche campanello che ha già visto..
Oreste, amico da ragazzo fino a 15 anni, è l’altro se stesso da voler incontrare dopo 40 anni; un confronto per un omicidio lontano e un incontro per chiarire. Don Luigi dice sempre di stargli lontano, ma Felice è ‘capa tosta’ e vuole farlo e gli racconta a conti fatti. Ho detto che voglio restare a Napoli. “ E lui?...” chiede il parroco. Ma le risposte definitive non arrivavano mai.
Studiare di nuovo il territorio del Rione che ricorda a sprazzi. Ma ogni giorno in più quello che porta dentro si apre. E il destino dice di rimanere. Non andarsene. Sente la parola ‘vattene’ più volte. Da Don Luigi, da Oreste e dal suo conoscente artigiano. Vattene, tutti vogliono la stessa cosa. Ma l’uomo sposato aspetta la moglie e prende casa a Napoli. Contratto firmato, ristrutturazione iniziata l’indomani arriva lei da Il Cairo.
Tragedia e dramma. In un film dove il sorriso non si vede. Labbra strette e socchiuse, ambienti e vicoli schiacciati, corse e moto a schermo ridotto, anni passati sbiaditi, una spiaggia e nudi in mare, passeggiate e ritrovi, porte e vecchie scalinate; i rumori di fondo come fendenti;
Al piano terreno. Sua madre è lì chi aspetta. Dal terzo piano dove Felice pensa di trovarla. Li abitavano anni addietro. Il figlio suona. Una donna minuta apre. Con una ripresa fissa e laterale, l’incontro madre figlio è commovente ma trattenuto, dolce ma composto, di sguardo e di tenero abbraccio. Felice e le mani secche che ritrovano carne viva dopo tanto tempo. ‘Perché casa nostra e’ occupata da altri?”. La madre con voce flebile....”Qui non manca niente”.
Luigi, il parroco, prima vede il ragazzo cresciuto in strada, poi Felice si avvicina in chiesa e al funerale della mamma è tra i banchi con pochissime altre persone; senza un segno della croce; il commiato è uno sguardo verso ragazzi seduti di fronte, duro e deciso, mentre sale sull’auto con il feretro della madre;
Girovagare tutto quello che aveva calpestato è sotto i suoi piedi; il desiderio di ritrovare una vita sconosciuta e lontana; riappropriarsi di un quartiere per ricominciare con Napoli e le sue cose da toccare. Con una ‘nostalgia’ che si deposita, piano piano, con una goccia alla volta, in un animo perso, dubbioso, scosso, silente e pieno di coraggio.
Incontro e scontro. Fino a vicoli bui e tenebrosi. Un cappuccio, un volto coperto.
Orestechiama Felice a bassa voce. Il respiro si ferma. D’improvviso il corpo cade. Le mani aprono un portafoglio. Denaro e in mezzo una foto con una moto e due ragazzini. Ecco che Oreste si alza e con passo sicuro si ritira nel buio del vicolo. E lo schermo diventa nero con Nostalgia.
Arrivare a Napoli. Per conoscerla per sempre. E il ‘vattene’ è il rifugio di chi si accontenta. Felice non arriva per dormire ma per svegliarsi. E quando il suo modo di parlare s’accomuna al gioco di partecipare con altri, in quel momento il disegno e’ impietoso. Senza nessuno. Si resta solo aspettando qualcuno.
Pierfrancesco Favinoè ammirevole nella partecipazione emotiva ed evoluzione del personaggio. Postura, movenze ma sopratutto il linguaggio e l’accento sono encomiabili e lodevoli. A tutto tondo in ogni istante. Rimangono impresse tante situazioni, dall’incontro con la madre, al bagno nella vasca con piccoli gesti, al ritorno in spiaggia, al caffè in solitario, alla confessione a don Luigi. E ogni passo di oggi e di ieri.
Ma è tutto il cast che attornia benissimo il personaggio di Felice. Credibili e veritieri, con uno sguardo acre e implosivo. Tutti i ragazzi scelti danno la misura della storia. L’asciuttezza è pari alla bravura.
Ragia: ferma, rigida, snella e asciutta. In un’ora non propriamente legale.
Voto: 8/10 (****) -cinema d’attesa-
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