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E se Dio usasse il cellulare per chiamarci e proporci un patto? Proprio quello che avviene alla protagonista dell'ultimo film di Kim ki-duk, che sogna il suo incontro casuale con un uomo, con il quale nasce una bruciante e tempestosa passione, che porta entrambi a commettere azioni di cui dovranno pentirsi. Ma la passione prevale su tutto, anche sugli avvertimenti misteriosi e onniscienti che arrivano alla ragazza tramite il cellulare: questo è un sogno, dice la voce, ma se vuoi che tutto quello che sogni si avveri continua a dormire e continua il sogno. E la ragazza si riaddormenta e continua a sognare, continua a farsi avvolgere dalla passione e continua a commettere errori che la porteranno a un insopprimibile desiderio di espiazione. Il finale del film, unica parte a colori in un film tutto in bianco e nero, è una ripetizione della scena iniziale, a sottolineare che, malgrado tutto, l'uomo continuerà sempre ad amare e sbagliare, pur sapendo dove andrà a finire. Il film è uno stimolante apologo molto vicino al modo di fare cinema del regista coreano scomparso nel dicembre 2020, in piena pandemia di Covid-19. Per poterlo apprezzare completamente dovremmo sapere fin dove è tutta opera sua e quale è stato l'apporto di amici e collaboratori che hanno completato il film per lui. Invece sappiamo solo che la morte ha interrotto il lavoro di Kim ki-duk e questo, con i suoi pregi e difetti, è il testamento spirituale che ci ha lasciato.
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