Mi chiamo Francesco Totti

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Dentro l' anima di un eroe omerico

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Totti secondo Totti. Ovvero come un regista diviso tra fiction e documentari (suo il notevole "S is for Stanley" sull' autista-factotum di Kubrick) è riuscito a trasformarsi in ventriloquo. Tracciando, più che un parziale ma fedele ritratto del campione, un suo paradossale "autoritratto". L' impresa era spericolata come i gol del bomber giallorosso, tanto più che il calcio, mitologia già solida e ramificata (eroi, leggende, immagini, riti, chiese, fedeli...), oppone da sempre resistenza al cinema. I rischi, numerosi. Da un lato si potevano scontentare gli adoratori, troppo legati alle liturgie calcistiche per sposare altri punti di vista. Dall' altro i profani, magari desiderosi di scelte più estreme (pensiamo allo Zidane di Gordon e Parreno ma anche, cambiando sport, al McEnroe di Faraut), o di più vasti orizzonti sociali e psicologici. Niente di simile nel film di Totti e Infascelli. Sullo schermo scorre incessante un montaggio di riprese d' archivio con poche incursioni nel privato, anche se compaiono preziosi filmini di famiglia e qualche ricostruzione d' autore (l' infanzia, l' adolescenza, il peso a sua volta mitico di Roma, paradiso e prigione, insomma Destino). Fuori campo invece risuona la voce del campione con le sue parole smozzicate, il suo lessico, il pudore che davanti a certe immagini gli abbassa la voce («Ero forte, eh...»). Intanto scorrono le pagine chiave di una vita da eroe. I gol e le amicizie, i derby e gli allenatori, le invasioni di campo e la dichiarazione in campo a Ilary («6 unica»). Poi Vito Scala, il fidato personal trainer («è sempre accanto a me ma non lo avete visto, eccolo...», dice Totti riavvolgendo il nastro con gesto da regista), l' incidente, l' operazione, la resurrezione, l' attrito con Spalletti, l' hybris che rischia di travolgerlo. Fino all' ultima partita, acme emotivo davvero irresistibile. Come se Achille rivedesse le sue gesta alla moviola e le commentasse spalleggiato da un Omero personale. Ma ci fosse stata la moviola, avremmo avuto Omero? Qui sta la scommessa di Infascelli: insinuarsi nello spazio infinitesimo che separa Francesco da Totti, il ragazzino di San Giovanni dal "Capitano", per catturare l' epos e l' eros di un' esistenza unica. Sempre restando miracolosamente "dentro" il suo eroe, con lui e con la sua gente. On demand su Miocinema e molte altre piattaforme.
Da L'Espresso, 15 novembre 2020


di Fabio Ferzetti, 15 novembre 2020

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