giovanna oliviero
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sabato 5 giugno 2021
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il coraggio in una visione
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Fortuna non è un film che digerisci.
Dopo averlo visto continui a domandarti, a pensarci, a ispezionarlo con la mente. La storia, l'orrore, la violenza quasi non esistono, non continui a ripensare a quello. Riguardi nella tua mente le impeccabili riprese di una stuprata periferia, ripensi alle fughe immaginifiche dell'infanzia inconsapevole, ricordi i volti indifferenti e quelli pietrificati dal male. Fortuna non scorre via, Fortuna resta con te, diventa parte di te. La fortissima sceneggiatura si accompagna ad una regia coraggiosa, visionaria e totalmente fuori schema.
Le citazioni, che il regista accentua nello scorrere dell'esecuzione, pur leggibili non disturbano, ma si collocano come piccole perle utili ad elevare la narrazione.
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Fortuna non è un film che digerisci.
Dopo averlo visto continui a domandarti, a pensarci, a ispezionarlo con la mente. La storia, l'orrore, la violenza quasi non esistono, non continui a ripensare a quello. Riguardi nella tua mente le impeccabili riprese di una stuprata periferia, ripensi alle fughe immaginifiche dell'infanzia inconsapevole, ricordi i volti indifferenti e quelli pietrificati dal male. Fortuna non scorre via, Fortuna resta con te, diventa parte di te. La fortissima sceneggiatura si accompagna ad una regia coraggiosa, visionaria e totalmente fuori schema.
Le citazioni, che il regista accentua nello scorrere dell'esecuzione, pur leggibili non disturbano, ma si collocano come piccole perle utili ad elevare la narrazione.
Ottime le interpretazioni dei bambini come quella dolce e rassicurante della Golino.
Un' ottima opera prima, curiosa ora di vedere la seconda.
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eugenio
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domenica 16 maggio 2021
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infanzia violata
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Ma quante scene alla David Lynch ci sono in Fortuna, opera prima di Nicolangelo Gelormini? Già assistente alla regia di Paolo Sorrentino, il cineasta al suo esordio, riprende una terribile storia di cronaca fatta di infanzia violata e la trasfigura in un surreale gioco (per così si può definire) onirico e soprattutto psiconalitico.
Nel barocco dramma di una bambina, Nancy/Fortuna che vive in un enorme palazzone alla periferia di Napoli, dalla mitica parvenza di un acquario, in realtà molto più ambiguo, Gelormini intesse un acuto labirinto tra i corridoi dell’anima infantile indagando il sentimento fiabesco entro cui si confondono i limiti della realtà, bilanciata da due complementary opposites: la psicologa, distratta e brusca, che ha in cura la ragazzina per capire le origini di un trauma che le impedisce di parlare una madre dolce e gentile (Valeria Golino) che pare accoglierla con dolcezza.
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Ma quante scene alla David Lynch ci sono in Fortuna, opera prima di Nicolangelo Gelormini? Già assistente alla regia di Paolo Sorrentino, il cineasta al suo esordio, riprende una terribile storia di cronaca fatta di infanzia violata e la trasfigura in un surreale gioco (per così si può definire) onirico e soprattutto psiconalitico.
Nel barocco dramma di una bambina, Nancy/Fortuna che vive in un enorme palazzone alla periferia di Napoli, dalla mitica parvenza di un acquario, in realtà molto più ambiguo, Gelormini intesse un acuto labirinto tra i corridoi dell’anima infantile indagando il sentimento fiabesco entro cui si confondono i limiti della realtà, bilanciata da due complementary opposites: la psicologa, distratta e brusca, che ha in cura la ragazzina per capire le origini di un trauma che le impedisce di parlare una madre dolce e gentile (Valeria Golino) che pare accoglierla con dolcezza. Ma è questa la realtà? E chi sono i giganti da cui nascondersi? E gli alieni sono veramente così lontani da recuperare la loro principessa abbandonata in questo angolo di Terra?
Gelormini, grazie alla bravura della sua giovane protagonista cerca di dare una risposta, ruotando attorno ahimè al cardine della morte, entro cui appunto, pure la Fortuna del titolo soccombe in un inquietante e avvilente blocco finale, un pugno allo stomaco dello spettatore.
Fortuna racconta il malessere e soprattutto il crollo della nostra società odierna, sempre più inquietante nei suoi episodi di infanzia violata. Analizzando a fondo il dramma sociale mediante il riuscito ventaglio dell’iperrealismo, abbandonandosi all’astrazione metafisica, al surrealismo grottesco e a molte suggestioni che trovano nella fotografia il proprio punto di forza, Gelormini affronta temi d’attualità come la crisi della famiglia, la corruzione della classe sociale, rappresentata da soli uomini, il desiderio di emancipazione delle donne, ridotte spesso a “oggetti”, giogo dei vili capricci maschili.
L'aridità dei rapporti e la brutalità degli istinti trova il suo tramite nella scenografia carica di simbolismo che in Fortuna tocca corde di misticismo e di dolore. Il tutto in un’ora e quaranta, con un palcoscenico spoglio e soprattutto con una grande intensità degli interpreti della tragedia: l’esordiente e bravissima Cristina Magnotti e l’affettuosa (?) madre Valeria Golino, appunto, “evocatori fisici” del tormento interiore dei due protagonisti.
Fortunaè un film denso di simboli, in cui le ultime tracce del naturalismo si diradano quasi fino a perdersi, mentre si avverte l’influenza del lavoro di grandi contemporanei come Cechov, Strindberg, Maeterlinck. Il complicato rapporto tra i sessi e gli effetti dell’abuso nella vita privata, rivestono un ruolo importante va dato merito alla alla capace regia del visionario Gelormini di essere riuscito a rendere quest’atmosfera quasi da dramma da camera così angosciante.
Come un artigiano che costruisce materialmente sulla base di una progettualità complessiva intima e raccolta, il cineasta, edificare una casa, “non luogo”, dall’aspetto apparentemente asettico e ordinario, nelle cui intercapedini si celano principesse dimenticate, demoni e assistenti magici al servizio del padrone.
Perché in fondo, Fortuna riflette, sul rapporto tra la facciata rispettabile e la vita interna. Pirandellianamente saltando di molti anni, il film analizza il rapporto tra recita e vita così come il finale in molti sensi descrive un dramma in cui noi spettatori in quel vuoto drammaturgico che è essenziale come la scena e i movimenti, assistiamo sgomenti seduti comodamente sulle nostre poltrone al tracollo e alla rovina.
E alla fine, che resta? La densità liquida, una realtà tremendamente immersiva allucinata ma bruscamente reale con una scenografia e un effetto “sipario” ribaltante, una salita su un’impalcatura che proietta nel proscenio culminante in un forte climax nella smorfia di dolore immersa nella vertigine del buio.
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