inesperto
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martedì 1 giugno 2021
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1. L'alcol come sperimentazione; sperimentazione al fine di trovare un miglioramento sociale e professionale: in sostanza, l'alcol come via per raggiungere la felicità. Quattro amici, uomini adulti, insegnanti, traendo spunto da uno studio psicologico sostenente che l'essere umano nasce con troppo poco spirito nel sangue, decidono di testare una brillante idea: mantenere un costante tasso alcolemico di 0,05 nell'arco della giornata lavorativa, per dimostrare gli effetti benefici su carriera e vita familiare. I risultati sono un trionfo.
2. L'alcol come fuga; fuga dalla tristezza e dal vuoto di una vita che non va come si fantasticava in gioventù. I quattro, ben presto, decidono di alzare il tiro, aumentando il tasso.
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1. L'alcol come sperimentazione; sperimentazione al fine di trovare un miglioramento sociale e professionale: in sostanza, l'alcol come via per raggiungere la felicità. Quattro amici, uomini adulti, insegnanti, traendo spunto da uno studio psicologico sostenente che l'essere umano nasce con troppo poco spirito nel sangue, decidono di testare una brillante idea: mantenere un costante tasso alcolemico di 0,05 nell'arco della giornata lavorativa, per dimostrare gli effetti benefici su carriera e vita familiare. I risultati sono un trionfo.
2. L'alcol come fuga; fuga dalla tristezza e dal vuoto di una vita che non va come si fantasticava in gioventù. I quattro, ben presto, decidono di alzare il tiro, aumentando il tasso. Come facilmente prevedibile, la cosa sfugge di mano e ciò che era diventato bello, in questo modo diventa più brutto di quanto prima non fosse. Così, decidono di comune accordo per lo stop all'esperimento. Purtroppo, per uno di loro, la facile tentazione di sottrarsi al brullo presente è diventata ormai troppo potente.
3. L'alcol come celebrazione; celebrazione di una vita ancora capace di regalare una seconda chance di felicità. La visione di una speranza che prima pareva persa nell'oscurità. Una danza liberatoria che riporta alla giovinezza.
Si tratta di un film più profondo di quanto non appaia, parte commedia e parte dramma, con un Mads Mikkelsen in grande spolvero. Il premio Oscar al miglior film straniero non è certo un'eresia, anzi. Consigliato.
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athos
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venerdì 28 maggio 2021
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il tedio della vita moderna
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La scena finale è la parte migliore, il momento di liberazione dal tedio della vita di tutti i giorni. Un film discreto che si trascina senza tanti scossoni ad eccezione dell'aumento del tasso alcolico, volto al tentativo di una migliore presenza sociale. L'aspetto psicologico, che avrebbe dovuto narrare i problemi sociali e di coppia che ardevano sotto la cenere,, a mio modo di veder non sono stati ben esplicitati e il film è risultato a tratti noioso.
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tiziana.pedrielli
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domenica 23 maggio 2021
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un inno alla vita
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Provocatorio ma allo stesso tempo intimo e delicato.
Il racconto esplora gli spazi piu' profondi del sentire umano, celebrando infine la vita nella giovinezza, nell' amicizia, nell' amore che si rigenera da se stesso.
Attori straordinari, mai noioso.
Assolutamente da vedere.
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tiziana.pedrielli
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domenica 23 maggio 2021
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un inno alla vita
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Provocatorio ma allo stesso tempo intimo e delicato.
Il racconto esplora gli spazi piu' profondi del sentire umano, celebrando infine la vita nella giovinezza, nell' amicizia, nell' amore che si rigenera da se stesso.
Attori straordinari, mai noioso.
Assolutamente da vedere.
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alessandro spata
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domenica 23 maggio 2021
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alcol, catarsi e andropausa
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“A questo giro”, si potrebbe dire che il film di Vinterberg è semplicemente “bello e terribile” e potremmo finirla qui.
Tuttavia, potremmo aggiungere pure che tutto quello che poteva succedere è successo nella vita di questi quattro amici un po' curiosi e un po' depressi. Ed è successo perché potessero - apprendere la lezione per andare avanti nella vita -, forse. Non so se certi scampoli di filosofia orientale si attaglino al film in questione. Tuttavia, la morte per alto tasso alcolemico (un suicidio?) dell’amico Tommy (Thomas Bo Larsen) mi ricorda che in linea di principio quando fai una scelta devi anche essere disposto a subirne le conseguenze.
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“A questo giro”, si potrebbe dire che il film di Vinterberg è semplicemente “bello e terribile” e potremmo finirla qui.
Tuttavia, potremmo aggiungere pure che tutto quello che poteva succedere è successo nella vita di questi quattro amici un po' curiosi e un po' depressi. Ed è successo perché potessero - apprendere la lezione per andare avanti nella vita -, forse. Non so se certi scampoli di filosofia orientale si attaglino al film in questione. Tuttavia, la morte per alto tasso alcolemico (un suicidio?) dell’amico Tommy (Thomas Bo Larsen) mi ricorda che in linea di principio quando fai una scelta devi anche essere disposto a subirne le conseguenze. In sostanza, prendersi la responsabilità di quanto ci accade tendenzialmente è il modo migliore di ridurre la sofferenza derivante potenzialmente dall’esito delle nostre azioni e omissioni. Alla fine, lo accetto perché l’ho voluto io.
Devo ammettere che diversi scorci del film hanno sfidato la mia capacità di “comprensione” intesa qui come tolleranza, pazienza, apertura mentale. E questo perché a tratti il film sembra davvero un peana dedicato al culto del Dio Bacco.
Rabbia, compassione, ilarità si alternano puntualmente nella mente dello spettatore (la mia, almeno). E il film ti serve proprio tutto per maturare alla fine l’unica spiegazione possibile. Quella cui hai assistito è una parodia, una caricatura della società (non solo di quella danese) ipocrita in cui viviamo costantemente. Insomma, sarà pure sociologismo a buon mercato, ma fa tanto piacere sentirsi dire certe cose ogni tanto. Assistiamo, a volte divertiti, a volte sinceramente indispettiti, alla storia di quattro personaggi che più che delusi dalla vita sembrano preda di inesorabile "climaterio virile". Ma Mads Mikkelsen con l’andropausa proprio non lo vogliamo vedere (non ancora, almeno) È evidente con il passare dei minuti che è il surreale, è il grottesco a prevalere nella narrazione. Perché chi davvero sano di mente e di corpo potrebbe mai pensare che l’alcol possa risolvere i problemi di autostima personale, le crisi coniugali, la sessualità della coppia, lo stress causato dai figli, la progressiva mancanza di entusiasmo sul lavoro e in famiglia, la crisi di mezza età, la malinconia dell'invecchiamento. E che sarà mai? Davvero si può pensare che l’alcol possa diventare un mezzo per recuperare l’ardore di una gioventù ormai evidentemente perduta? Potrebbe mai l’alcol permetterti di reagire all’apatia della routine quotidiana e farti recuperare l’importanza delle piccole cose – come apprezzare i bacini con la tua amata al cospetto di un bel tramonto infuocato? -.
Ma davvero si può pensare che è meglio vivere un giorno da "alcolizzato" piuttosto che 100 da persona anonima e apatica? E 50 giorni da orsacchiotto no? Direbbe la buon anima di Troisi. Secondo me se un difetto ha il film è quello di indulgere a volte a una serie di luoghi comuni e di banalità esistenziali che nemmeno il Woody Allen più scalcinato, persino, si sognerebbe di snocciolare. In questo senso non credo che sia un film nemmeno “controcorrente”, ma per le elevate dosi di “surrealtà” ivi contenute si potrebbe definire del genere “moral splatter” in quanto si serve di espedienti sinceramente orripilanti e raccapriccianti (come sottolineato più sopra) per fare strage di elementare buon senso e di basilare logica scientifica, ma al solo scopo di indurre una reazione nello spettatore, immagino.
Si dice poi da più parti che questo sia un film “catartico”. - Ma in che senso? -. Io non credo che ambisca a tanto l’autore. Perché non credo che l’intenzione del regista fosse quella di aiutare a frenare o annullare l’insana passione per l’alcol nella vita quotidiana dello spettatore medio, garantendogli uno spazio apposito come la sala cinematografica o lo schermo del televisore al plasma di casa sua al limite dove sublimare le proprie passioni etiliche.
Guardare questo film non sarà come stappare una bottiglia, e senza conseguenze per il fegato. Dopo la visione del film e la "degustazione" del suo contenuto non comincerà alcun tipo di purificazione. Ma semmai più banalmente l’intento era quello di perorare attraverso i vissuti dei protagonisti il risveglio dello spirito vitale dell’individuo indebolito da una società castrante sotto molti aspetti, eventualmente. Forse il film sarà stato catartico per il regista medesimo che aveva bisogno di metabolizzare il lutto della figlia deceduta in un incidente o per i giurati dei vari festival che lo hanno abbondantemente premiato che avevano necessità di “esternare”qualche conflitto personale poco elaborato.
Quindi, non credo nemmeno che la visione del film indurrà storici astemi a svuotare gli scaffali degli alcolici dei supermercati, né convincerà gli accaniti bevitori a smettere di strafarsi di alcol. Questo è un film che non mira a convincere qualcuno. Gli spettatori sbevazzatori e no che siano rimarranno fermi nelle proprie abitudini. Ovviamente, non si poteva nemmeno trattare la questione “Alcol” con la freddezza dell’entomologo. Anche se a tratti il film assume le sembianze di un “documentario” quando il regista si sforza di guardare alle vicende dei personaggi con adeguato distacco. Non “partecipa”, ma si limita a “descrivere” delle situazioni che non possono che accadere in quel modo. Quasi che non fosse necessaria neanche una sceneggiatura. Salvo poi in altre circostanze vedere l’irrinunciabile soggettività dell’autore maggiormente al servizio di una sua personale quanto discutibile per certi versi “visione sul tema”.
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ghisi
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sabato 22 maggio 2021
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alccol e repressione?
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“Un altro giro” del regista danese Thomas Vinterberg, ha debuttato virtualmente a Toronto e a San Sebastián, è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma, e poi ha ottenuto il Premio Oscar 2021 come Miglior Film Internazionale.
La storia si svolge attorno alla scuola di un piccolo paesino portuale della Danimarca, dove quattro colleghi docenti festeggiano il quarantesimo compleanno di uno di loro.
C’è Tommy (interpretato dal bravissimo Thomas Bo Larsen), il professore di educazione fisica, che vive da solo con un vecchissimo cane che non cammina più, deve quindi prenderlo in braccio per portarlo a fare i bisogni fuori. C’è anche Nikolaj (interpretato da Magnus Millang), il festeggiato professore di psicologia che vive con la giovane moglie e tre maschietti nati uno dopo l’altro, che ancora piccolissimi e gli fanno la pipì nel letto.
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“Un altro giro” del regista danese Thomas Vinterberg, ha debuttato virtualmente a Toronto e a San Sebastián, è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma, e poi ha ottenuto il Premio Oscar 2021 come Miglior Film Internazionale.
La storia si svolge attorno alla scuola di un piccolo paesino portuale della Danimarca, dove quattro colleghi docenti festeggiano il quarantesimo compleanno di uno di loro.
C’è Tommy (interpretato dal bravissimo Thomas Bo Larsen), il professore di educazione fisica, che vive da solo con un vecchissimo cane che non cammina più, deve quindi prenderlo in braccio per portarlo a fare i bisogni fuori. C’è anche Nikolaj (interpretato da Magnus Millang), il festeggiato professore di psicologia che vive con la giovane moglie e tre maschietti nati uno dopo l’altro, che ancora piccolissimi e gli fanno la pipì nel letto.
Poi c’è Peter (interpretato da Lars Ranthe), il professore di musica che vive anche lui da solo, ha varie avventure con le coriste, ma non è riuscito a costruirsi una famiglia. E abbiamo infine Martin (uno splendido Mads Mikkelsen), il professore di Storia, il personaggio messo meglio a fuoco dalla regia. Ha la moglie Maria (interpretata da Maria Bonnevie) che lavora facendo i turni di notte e due figli con i classici comportamenti dell’età adolescenziale, sempre appiccicati allo smartphone. L’insegnamento ripetuto uguale ogni anno e la mancanza di curiosità nell’apprendimento da parte dei giovani, anno dopo anno hanno spento qualsiasi entusiasmo nel lavoro. Una vita monotona dove ogni fine anno scolastico si ripetono gli sempre gli stessi scherzi degli studenti e l’euforia dei diplomati.
Il clima è quello nordico, il cielo quasi sempre grigio è basso, la terra piatta, non ci sono troppi svaghi per i giovani. Unico divertimento è il drinking race, una sfida a chi beve più birre facendo la gita attorno al lago, oppure andare al pub. Per gli adulti c’è un unico (e raffinato) ristorante con vini francesi e aperitivi a base di vodka danese.
Martin in questa routine si spegne ogni giorno di più, è diventato taciturno, noioso, non ha più una vita sociale. Ha difficoltà di incontro e di comunicazione anche con i membri della sua famiglia.
Ma ecco che alla cena dei quarant’anni Nikolaj spiega una teoria: lo psichiatra e filosofo norvegese Finn Skårderud sostiene che tutti nasciamo con una carenza di alcool nel sangue dello 0,5 e se la si compensa, con una moderata ubriachezza durante la giornata, aiuterebbe a migliorare la propria vita, la socialità, il lavoro, la creatività e i rapporti sociali. I tre amici decidono di metterla in pratica annotando tutti i risultati della sperimentazione e convincono anche Martin, che sembrava fosse astemio.
Come era prevedibile le cose vanno tutte molto meglio, l’umore cambia completamente e l’atteggiamento nei confronti degli altri diventa più disponibile. I tre docenti riprendono entusiasmo nell’insegnamento e Martin comincia a organizzare delle lezioni accattivanti basate più sui personaggi che sugli eventi. Configurando le personalità in modo divertente, quasi caricaturale, fa notare ai suoi alunni come esimi personaggi storici bevessero come spugne. Così domanda in classe: «Chi votereste fra questi tre? Il primo è un uomo in combutta coi politici corrotti, consulta gli astrologi, ha 2 amanti, fuma come un turco e beve 8/10 martini a sera. Il secondoun uomo rimosso ben due volte dal suo incarico, dorme fino alle 12, all’università si faceva di oppio e beve 1 litro di whisky al giorno. Il terzo è eroe di guerra, vegetariano, non fuma, beve pochissimo, non ha mai avuto amanti». Gli studenti optano tutti per il terzo personaggio ma i candidati sono, in ordine: Franklin Delano Roosevelt,Winston Churchill e Adolf Hitler.
Non voglio raccontare la trama più di tanto, ma è ovvio che il benessere non potrà durare. A mio avviso questa parte è eccessivamente lunga e si trascina un po' troppo, anche se è il film girato con una buona dose di humour.
Il regista Thomas Vinterberg resta uno dei più notevoli esponenti di “Dogma 95” anche se oggi lo si può considerare non più legato al movimento danese. Tutti gli attori sono bravissimi ma ciò che mi ha colpito molto è scoprire, nella scena finale del film,che Mads Mikkelsen è un ballerino eccezionale, infatti prima di fare l’attore aveva studiato danza.
Molti critici fanno notare che il film non è un inno all’alcool ma un inno alla vita e che propone alcuni spunti di riflessione su un tipo di società che conduce all’infelicità e alla frustrazione.
Vorrei chiudere con un mio ricordo di molti anni fa quando ero a Helsinki d’agosto per una decina di giorni. Lì stavano già accendendo già i termosifoni, ciononostante il giorno di ferragosto per le strade c’è stata un’esplosione di macchine, di clackson, di vitalità sfrenata. Il mio amico che viveva lì mi spiegava che c’erano solo due giorni l’anno che era permesso bere per le strade: a capodanno e a ferragosto. Non è un caso che nei freddi paesi nordici dove le persone sono generalmente represse la gente beva parecchio per sciogliersi e disinibirsi. Spesso si esagera un po'.
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kronos
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domenica 31 gennaio 2021
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hic !!
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Ci sarà una ragione se dagli albori della nostra civiltà si producono libagioni fermentate da qualunque arbusto offerto da madre natura.
E, d'altra parte, non ci stupiamo che ogni tanto emergano potenti movimenti proibizionistici.
"Druk" di Vinterberg si muove in calcolato equilibrio tra queste due pulsioni e chi s'aspettasse il solito drammone alcolico con discesa agli inferi "di rito" e successiva redenzione, sarà spiazzato.
In definitiva, alla fatidica domanda "libare o non libare dai lieti calici?" la risposta di Vinterberg sembra propendere per la prima (tanto di cappello al coraggio).
Intrigante tanto nella progressione narrativa quanto nelle interpretazioni, sublima in un liberatorio, poetico finale ad alto tasso alcolemico sulle note della suggestiva "What a life" del trio danese Scarlet Pleasure.
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Ci sarà una ragione se dagli albori della nostra civiltà si producono libagioni fermentate da qualunque arbusto offerto da madre natura.
E, d'altra parte, non ci stupiamo che ogni tanto emergano potenti movimenti proibizionistici.
"Druk" di Vinterberg si muove in calcolato equilibrio tra queste due pulsioni e chi s'aspettasse il solito drammone alcolico con discesa agli inferi "di rito" e successiva redenzione, sarà spiazzato.
In definitiva, alla fatidica domanda "libare o non libare dai lieti calici?" la risposta di Vinterberg sembra propendere per la prima (tanto di cappello al coraggio).
Intrigante tanto nella progressione narrativa quanto nelle interpretazioni, sublima in un liberatorio, poetico finale ad alto tasso alcolemico sulle note della suggestiva "What a life" del trio danese Scarlet Pleasure.
Forse non per tutti i gusti, ma da vedere.
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