|
lunedì 11 ottobre 2021
|
vale più di tre stelle
|
|
|
|
Ritengo che tre stelle ritraggano un giudizio molto ingeneroso. Il mio di giudizio si trova molto più d'accordo con chi ha ritenuto di candidare questo bellissimo film, nel 2019, a due oscar e nello specifico, sia nella categoria miglior film in lingua straniera che in quella di miglior fotografia. Fortunatamente la Signora Marzia Gandolfi non faceva parte di quella giuria o forse non è un caso che non vi facesse parte.
|
|
[+] lascia un commento a »
[ - ] lascia un commento a »
|
|
d'accordo? |
|
rikitikitawi
|
domenica 25 luglio 2021
|
il labile confine tra la poesia e la tragedia
|
|
|
|
Film di spessore nel quale tutto è ai massimi lvelli : emozionante , poetico , tragico . Da rivedere se si vuole apprezzarlo veramente .
|
|
[+] lascia un commento a rikitikitawi »
[ - ] lascia un commento a rikitikitawi »
|
|
d'accordo? |
|
frenky 90
|
mercoledì 26 agosto 2020
|
opera d''autore
|
|
|
|
Kurt non parla quasi mai. E’ l’esemplificazione più pura del concetto che è la sua arte a parlare per sé. E’ sempre la sua arte la sua migliore arma contro i suoi nemici, la migliore cura per le sue ferite e quella che alla fine lo porterà alla vittoria. Per Henckel von Donnersmarck il “secondo album” è stato quello più difficile. Dopo l’esordio con botto e con Oscar de Le vite degli altri era arrivato il flop hollywoodiano di The Tourist che, come disse Ricky Gervais in uno dei suoi primi famosi “roast” ai Golden Globe, tutti, me compreso, prendono in giro senza averlo visto.
[+]
Kurt non parla quasi mai. E’ l’esemplificazione più pura del concetto che è la sua arte a parlare per sé. E’ sempre la sua arte la sua migliore arma contro i suoi nemici, la migliore cura per le sue ferite e quella che alla fine lo porterà alla vittoria. Per Henckel von Donnersmarck il “secondo album” è stato quello più difficile. Dopo l’esordio con botto e con Oscar de Le vite degli altri era arrivato il flop hollywoodiano di The Tourist che, come disse Ricky Gervais in uno dei suoi primi famosi “roast” ai Golden Globe, tutti, me compreso, prendono in giro senza averlo visto. Alla terza fatica arriva, però, un centro al bersaglio clamoroso. Il ritorno alle origini della madrepatria con temi mai banali cui fa sfondo la storia contemporanea della sua Germania ispira una vera opera d’autore. Pur ispirandosi a eventi reali la sceneggiatura del cineasta tedesco resta inattaccabile, scevra da sentimentalismi e auto-compiacimento, arricchita altresì di un mix sapientemente dosato di tutti i generi, dallo storico al drammatico, dal thriller al romantico, financo alla commedia in un batter d’occhio, all’interno di 188 minuti in cui non ve n’è uno di troppo. Se la storia cattura fin dalla scena uno, non minor merito va dato alla perfezione estetica e mai manieristica di regia e fotografia, che onorano al meglio un’epopea che ha per protagonista un grande artista. Splendide infatti le scelte di Donnersmarck che in combutta con l’esperto Caleb Deschanel “dipingono” davanti ai nostri occhi inquadrature da manuale che ci lasciano senza fiato. Provando ad andare in ordine ma a memoria: il bambino Kurt che guarda dritto negli occhi della statua dell’”arte degenerata”, il carrello sul tavolo che ci introduce il gran consiglio dei medici “assassini di malati” del Reich, i corpi nudi di Kurt ed Ellie posizionati come l’Uomo Vitruviano ma perfettamente sovrapposti in un abbraccio che ne fa un corpo solo e li unisce all’infinito, fino ad arrivare alla palla di cannone che colpisce e affonda Herr Professor Carl del quadro capolavoro dell’artista che assomma i suoi ricordi in una sola immagine su tela, in bianco e nero come la sua anima, finalmente libera dal mero uno o altro colore. Usando la sola parola necessaria da usare per completare il discorso generale su ad esempio cast e colonna sonora (perfetti) non rimane altro da dire se non che l’Opera ci lascia come insegnamento che il talento e la preparazione vera non li dimentichi, come andare in bici senza rotelle. Puoi perdere la rotta per qualche miglio per le più svariate contingenze ma un bravo comandante riporta sempre la nave in porto, o muore con essa. Siamo contenti che Florian Henckel von Donnersmarck abbia riattraccato sano e salvo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a frenky 90 »
[ - ] lascia un commento a frenky 90 »
|
|
d'accordo? |
|
kosir
|
martedì 11 agosto 2020
|
una storia robusta
|
|
|
|
Un ambizioso racconto che attraversa gli anni bui del periodo nazista... e non solo. Racconto lineare ma ben strutturato, in cui le vicissitudini del talentuoso Barnert, che cerca di farsi strada con la sua pittura, ci trascinano, senza stancare, per ben 3 ore di visione. La tranquillità del giovane artista ha catturato da subito la mia favorevole attenzione. Tutti bravi (Koch, Schilling e Beer). Da vedere.
|
|
[+] lascia un commento a kosir »
[ - ] lascia un commento a kosir »
|
|
d'accordo? |
|
ghisi grütter
|
domenica 7 giugno 2020
|
il ruolo della pittura
|
|
|
|
Ho visto, su Amazon Prime Video, questo film di Florian Henckel von Donnersmarck - “Never look again” è il titolo internazionale - che mi era sfuggito quando era stato proiettato nelle sale cinematografiche e che aveva ottenuto due candidature agli Oscar 2019: come miglior film straniero e come migliore fotografia.
Sembra che le tematiche che affascinano il del regista tedesco siano quelle dell’individuo “invisibile”, di un uomo introverso con i suoi sentimenti interiori anche contrastanti, che vive in un periodo storico violento e avverso.
Florian Henckel von Donnersmarck, infatti è diventato celebre nel 2006 con “La vita degli altri” dove descriveva i sentimenti dell’agente della Stasi Gerd Wiesler, che aveva il compito di spiare le vite di persone politicamente sospette, intellettuali o artisti, nella DDR degli anni ’80 prima del crollo del muro di Berlino.
[+]
Ho visto, su Amazon Prime Video, questo film di Florian Henckel von Donnersmarck - “Never look again” è il titolo internazionale - che mi era sfuggito quando era stato proiettato nelle sale cinematografiche e che aveva ottenuto due candidature agli Oscar 2019: come miglior film straniero e come migliore fotografia.
Sembra che le tematiche che affascinano il del regista tedesco siano quelle dell’individuo “invisibile”, di un uomo introverso con i suoi sentimenti interiori anche contrastanti, che vive in un periodo storico violento e avverso.
Florian Henckel von Donnersmarck, infatti è diventato celebre nel 2006 con “La vita degli altri” dove descriveva i sentimenti dell’agente della Stasi Gerd Wiesler, che aveva il compito di spiare le vite di persone politicamente sospette, intellettuali o artisti, nella DDR degli anni ’80 prima del crollo del muro di Berlino.
Nell’”Opera senza autore” i periodi storici rappresentati sono gli anni che vanno dal nazismo alla costruzione della DDR subito dopo, a Dresda e nell’Alta Lusazia, fino ad arrivare negli anni Sessanta nella occidentale Düsserdolf.
Gli occhi attraverso i quali si dispiegano i venticinque anni di storia tedesca sono quelli del pittore Kurt Barnert (interpretato da Tom Schilling) che incontriamo bambino frequentare le mostre di pittura, accompagnato dalla bella e stravagante zia Elisabeth (Saskia Rosenthal). Il film si è ispirato a fatti reali, in particolare a quelli della vita del pittore Gerhard Richter.
Attraverso le vicende del protagonista si raccontano le difficoltà dell'arte pittorica di passare dal conservatorismo nazista, feroce nemico e osteggiatore delle avanguardie, al realismo della propaganda socialista, per poi sfociare, tra denuncia e testimonianza, nell’astrattismo.
Molto intensa è la prima parte del film che tratta la soppressione dei “diversi”, la sterilizzazione e l’eutanasia di cinquantamila persone, considerate soggetti “difettosi” nel corpo o nella mente, inclusi diverse migliaia di bambini.
Così fu per la zia Elisabeth - alla quale il piccolo Kurt era affezionato - visitata dal professor Carl Seeband (interpretato dall’immancabile Sebastian Koch), capo dell'ospedale femminile di Dresda, Obersturmbannführer delle SS, che ne decise la sterilizzazione forzata e, successivamente, l’eliminazione, come dal programma di eugenetica nazista.
Il caso vuole che anni dopo Kurt si innamora di Elli (Paula Beer), un’altra Elisabeth ma figlia di Seeband, con la quale poi si sposerà nonostante i vari ostacoli congeniati dal padre. Carl Seeband era infatti scampato ai controlli anti-nazisti perché, in qualità di ginecologo, aveva fatto nascere la figlia di un comandante sovietico del KGB di cui godeva protezione.
Qualche mese prima della costruzione del muro di Berlino (1961) Kurt ed Elli fuggono all’Ovest a Düsseldorf dove lui scoprirà le nuove tendenze artistiche dell'Avanguardia e dell’Espressionismo astratto. Stretta amicizia con altri giovani artisti comincerà a usare le fotografie di ritratti come base per i suoi dipinti, con l'idea di far interagire l'astrazione fotografica con la fisicità pittorica. Utilizzerà (consapevolmente o no?) un repertorio che annovera immagini tratte dalla sua infanzia, di nazisti, del suocero, della zia Elisabeth.
Senza entrare nei racconti in dettaglio della trama, posso affermare che il soggetto della pittura di Kurt è il campo delle relazioni tra l'illusione e la realtà creata dai suoi dipinti, tanto che alla sua prima personale i critici, per sottolineare l’oggettività dei suoi quadri diranno che sono “opere senza autore”. La tematica della pellicola è avvincente, ma il film è un po' troppo lungo (un po' più di 3 ore) e non tutto il tempo ha quella tensione che rendeva vibrante “Le vite degli altri”. Alcuni personaggi poi sono molto poco sfaccettati e perfino lo stesso Sebastian Koch, attore feticcio del regista, risulta un po' penalizzato in questa parte del freddo e cattivissimo nazista.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a ghisi grütter »
[ - ] lascia un commento a ghisi grütter »
|
|
d'accordo? |
|
lindo
|
giovedì 23 maggio 2019
|
spaccato di vita
|
|
|
|
Buon film anche se penso che siano davvero tanti e troppi i temi trattati dal cinema sull olocausto, tanto che a volte evito di vedere film sul generis proprio perché ormai sappiamo tutti cos e successo ma questo film devo dire che prende molti momenti di quel periodo e il dopo guerra. Unico pecca la lunghezza..3 ore e 8 minuti.. interminabili a volte noioso ma da vedere almeno 1 volta. Bellissime le attrici giovani, ottima scelta.
|
|
[+] lascia un commento a lindo »
[ - ] lascia un commento a lindo »
|
|
d'accordo? |
|
giulio60
|
martedì 30 aprile 2019
|
colpisce molto, ben diretto e ben recitato
|
|
|
|
Mi ha veramente sorpreso, un film dove l'arte e l'amore e l'amicizia riescono a vincere la sofferenza e i traumi dell'odio del potere.
|
|
[+] lascia un commento a giulio60 »
[ - ] lascia un commento a giulio60 »
|
|
d'accordo? |
|
sergio dal maso
|
venerdì 8 febbraio 2019
|
opera senza autore
|
|
|
|
“L'arte è la forma più alta della speranza” Gerhard Richter
Dodici anni dopo l’indimenticabile Le vite degli altri, splendido esordio che impose Florian Henckel von Donnersmarck nell’olimpo dei cineasti contemporanei, il regista tedesco torna a confrontarsi con la travagliata storia del suo popolo e con i traumi collettivi rimossi senza alcuna espiazione.
Anche questa volta la grande Storia è raccontata attraverso la vita del protagonista, allora era l’agente della Stasi Gerd Wiesler, questa volta il giovane pittore Kurt Barnert. E anche in questo caso si tratta di una storia vera, seppur romanzata.
[+]
“L'arte è la forma più alta della speranza” Gerhard Richter
Dodici anni dopo l’indimenticabile Le vite degli altri, splendido esordio che impose Florian Henckel von Donnersmarck nell’olimpo dei cineasti contemporanei, il regista tedesco torna a confrontarsi con la travagliata storia del suo popolo e con i traumi collettivi rimossi senza alcuna espiazione.
Anche questa volta la grande Storia è raccontata attraverso la vita del protagonista, allora era l’agente della Stasi Gerd Wiesler, questa volta il giovane pittore Kurt Barnert. E anche in questo caso si tratta di una storia vera, seppur romanzata. Il personaggio principale è infatti ispirato alla vita di Gerhard Richter, forse il maggiore artista contemporaneo tedesco.
La storia di Kurt Barnert ha sullo sfondo le vicende cruciali del “secolo breve” europeo, quel trentennio che va dalla fine degli anni trenta alla fine dei sessanta, passando dalla Germania nazista a quella comunista post-bellica, per finire nella Repubblica Federale Tedesca negli anni della guerra fredda.
L’infanzia del piccolo Kurt è segnata dall’internamento dell’amata zia Elizabeth in un ospedale psichiatrico, trauma che lo accompagnerà per tutta la vita, come del resto il legame con il dottor Seeband, zelante esecutore delle follie eugenetiche naziste, responsabile del ricovero coatto della sorella e suo futuro suocero.
Finita la guerra Kurt crescerà a Dresda, nel blocco filo-sovietico, studiando arte all’accademia, dove conoscerà Ellie, la ragazza che, tra molti ostacoli, diventerà sua moglie. L’impossibilità di realizzarsi come artista nella Germania comunista, che osteggiava la creatività individuale in nome del realismo dell’arte tanto quanto il nazismo, porterà il protagonista a fuggire a Dusseldorf, nella Germania Ovest, dove finalmente troverà nella creazione artistica quella verità da sempre cercata. Sfumando le immagini del suo passato potrà ritrovarne il senso autentico, riuscendo in questo modo a focalizzarle dentro di sè.
L’epopea a tratti melodrammatica e il forte coinvolgimento emotivo che cattura lo spettatore dall’inizio alla fine possono non far cogliere la profondità e i diversi livelli narrativi di Opera senza nome, la cui apparente linearità nasconde una costruzione su più livelli, ricca di spunti.
Sullo sfondo, si diceva, c’è la tragedia della seconda guerra mondiale, delle ferite mai rimarginate del nazismo e della guerra fredda. C’è la rimozione collettiva dell’orrore dell’olocausto, attuato non solo nei confronti degli ebrei ma anche delle minoranze etniche e delle persone ritenute “socialmente inutili”.
La rimozione delle responsabilità e delle colpe della barbarie nazista è ben simbolizzata dalla malvagità del dottor Seband, cinico e spregiudicato quanto abile nel riciclarsi, prima nel regime comunista, in seguito nella Germania occidentale. Contrapposta all’“angelo del male” c’è l’innocenza della storia d’amore tra Kurt e Ellie. Il loro sentimento, assoluto e puro, accompagnerà Kurt per tutta la vita nella tormentata ricerca di una identità artistica. L’atto di creazione delle sue opere gli consentirà di cogliere la verità nascosta nelle ferite del passato e trasformare in bellezza il dolore rimosso.
Per Florian Henckel von Donnersmarck la potenza dell’arte è proprio questa: la possibilità di trovare la bellezza anche se nascosta e offuscata dal male subito. Perché la creatività degli artisti è inseparabile dal loro vissuto. “Il talento dei geni è la crosta sulle ferite ricevute nella loro infanzia. Ciò significa che gli esseri umani hanno una capacità quasi alchemica di trasformare un trauma in qualcosa di positivo, il mio film è il tentativo di osservare questa alchimia, attraverso il prisma dei traumi storici del mio paese.”
Nonostante la durata inconsueta il film di von Donnersmarck coinvolge ed emoziona. Le diverse epoche storiche sono amalgamate in modo armonico, senza cali di tensione. La sceneggiatura è lineare ma efficace, con i personaggi principali ben caratterizzati dal punto di vista psicologico, anche grazie alle ottime interpretazioni degli attori. Su tutti Sebastian Koch, magistralmente algido e anaffettivo, oramai l’archetipo perfetto del nazista.
Opera senza nome è un film che ti resta dentro, molte scene hanno un impatto emotivo e visivo molto forte. La storia di Kurt insegna che tutti i traumi si possono superare, l’importante, come gli diceva la zia, è “non distogliere mai lo sguardo, tutto quello che è vero, alla fine è bello.”
[-]
|
|
[+] lascia un commento a sergio dal maso »
[ - ] lascia un commento a sergio dal maso »
|
|
d'accordo? |
|
|
giovedì 13 dicembre 2018
|
da vedere ma si perde nel finale..
|
|
|
|
Consigliato “Opera senza autore”, un film che racconta e cerca di capire la Germania pre e post-bellica; Da dittatura nata nel grembo e poi ostaggio dell’ideologia hegeliana, a nazione che riesce dopo la rovina, a rialzarsi, rinascere e tornare competitiva e ricca senza sopravvivere però ad una profonda infelicità. Ci insegna che ricchezza ed efficienza non permettono di saldare le fratture di una nazione convalescente al proprio passato, la cui storia resta il più alto scotto impossibile da saldare. Restano dei tedeschi ancora orfani e frastornati, desiderosi di dimenticare. A me rimanda un brivido sapere come è facile rotolare in una soffocante società, in cui essere diverso significa diventare un increscioso problema da annientare.
|
|
[+] lascia un commento a »
[ - ] lascia un commento a »
|
|
d'accordo? |
|
emanuele 1968
|
mercoledì 5 dicembre 2018
|
188 minuti volati
|
|
|
|
Romanzo. Personalmente quando 188 minuti volano, credo sia un buon film. Sicuramente la storia insegna che alcune vicende saranno tratte da fatti simili.
La cosa che mi a più colpito era Kurt davanti alla tela bianca, seduto e senza idee, non sa che fare, quasi una metafora della vita
|
|
[+] lascia un commento a emanuele 1968 »
[ - ] lascia un commento a emanuele 1968 »
|
|
d'accordo? |
|
|