goldy
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giovedì 11 ottobre 2018
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le stranezze del cinema
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Incredibile i percorsi del gusto creati dal cinema. Film superpremiati e osannati dalla critica lasciano il tempo che trovano quando scendono nell'arena delle sale mentre altri che indignano palati più raffinati sono capaci di lasciare poi dietro di sè spunti di interesse e motivi di riflessione. Il regista è più idoneo per film politici. Qui rappresenta eventi storici realmente accaduti che fanno da sfondo al privato di due giovani con le stesse modalità di una soap opera; una colonna sonora ridondante e mai adeguata, un montaggio che andrebbe asciugato e ridotto di una buona mezz'ora, uno schematismo elementare dei personaggi sia buoni che cattivi.
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Incredibile i percorsi del gusto creati dal cinema. Film superpremiati e osannati dalla critica lasciano il tempo che trovano quando scendono nell'arena delle sale mentre altri che indignano palati più raffinati sono capaci di lasciare poi dietro di sè spunti di interesse e motivi di riflessione. Il regista è più idoneo per film politici. Qui rappresenta eventi storici realmente accaduti che fanno da sfondo al privato di due giovani con le stesse modalità di una soap opera; una colonna sonora ridondante e mai adeguata, un montaggio che andrebbe asciugato e ridotto di una buona mezz'ora, uno schematismo elementare dei personaggi sia buoni che cattivi. ma... non annoia e tiene desto l'intetresse nello spettatore. I discorsi sull'arte contemporanea lasciano il segno e forniscono spunti degni di essere approfonditi.
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michelecamero
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giovedì 11 ottobre 2018
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bello e potente: correte a vederlo.
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Auguro a questo bel film lo stesso destino de “Le Vite degli Altri” opera non a caso del medesimo regista, il cui successo, almeno da noi, venne decretato dal passa parola degli spettatori che ne imposero in pratica il ritorno nelle sale proprio quando la distribuzione ne aveva decretato il fine corsa. Faccio appello ai cinefili perché lo vedano e soprattutto ne facciano promozione sottolineando con calore di non farsi spaventare dalla durata di tre ore perché queste trascorrono senza che lo spettatore quasi se ne renda conto. E’ un merito certamente della storia, ma anche di come questo OLIMPICO pool di cineasti (regista tra i migliori nell’attuale panorama europeo, attori magnifici e giganteschi per la loro bravura, sceneggiatore alla cui scuola iscrivere un po’ dei nostri così a corto di argomenti e di forme dialettiche) ha reso sullo schermo un’altra feroce prova di autoanalisi cui è stato capace di sottoporsi il popolo tedesco.
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Auguro a questo bel film lo stesso destino de “Le Vite degli Altri” opera non a caso del medesimo regista, il cui successo, almeno da noi, venne decretato dal passa parola degli spettatori che ne imposero in pratica il ritorno nelle sale proprio quando la distribuzione ne aveva decretato il fine corsa. Faccio appello ai cinefili perché lo vedano e soprattutto ne facciano promozione sottolineando con calore di non farsi spaventare dalla durata di tre ore perché queste trascorrono senza che lo spettatore quasi se ne renda conto. E’ un merito certamente della storia, ma anche di come questo OLIMPICO pool di cineasti (regista tra i migliori nell’attuale panorama europeo, attori magnifici e giganteschi per la loro bravura, sceneggiatore alla cui scuola iscrivere un po’ dei nostri così a corto di argomenti e di forme dialettiche) ha reso sullo schermo un’altra feroce prova di autoanalisi cui è stato capace di sottoporsi il popolo tedesco. Protagonista è il Paese uscito dal nazismo del Fuhrer e dal comunismo della DDR per abbandonarsi forse nelle braccia della dittatura del capitalismo, meno visibile ed in apparenza meno condizionante come forse in questi nostri tempi odierni ci insegnano le cronache finanziarie e di una politica probabilmente schiava dell'economia. Il film abbraccia un tempo che va dalla fine degli anni ’30 alla metà degli anni ’60, mescolando la vita di una famiglia a quella di una Nazione. La famiglia è quella di un bambino educato all’arte da una zia bella, sensibile e delicata che conoscerà gli orrori della ideologia nazista (si salvino solo i sani perché sulla terra non c’è spazio a sufficienza per tutti), transiterà dall’ideologia non meno opprimente del comunismo che non saprà o non vorrà distinguere tra i nazisti autentici e quelli costretti ma che inquinerà se stesso per l’interesse del singolo (il bisogno di far nascere il proprio figlio) ed approderà all’Occidente ipocrita ed ambiguo, ma anche col suo respiro di libertà. Proprio questa parola, libertà, è il senso più marcato del racconto cinematografico. La libertà degli uomini e delle donne, la libertà dell’amore che salta le differenze di classe, la libertà delle nuove vite. La libertà del protagonista trasformatosi da talentuoso bambino a bravo pittore insoddisfatto però della manifestazione della propria arte impostagli dal regime al punto da barattare una vita comoda con la necessità di cercare altrove la propria libertà artistica. La libertà dell’arte in generale che alla fine di ogni vicenda storica è sempre emersa perché nessuna ideologia e nessun Mecenate è riuscita mai ad imbrigliarla. Per questo abbiamo avuto Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, Picasso, Kandinskij, Van Gogh e tanti altri. Tutto il resto lo scopra ogni singolo spettatore guardando il film.
michelecamero
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flyanto
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mercoledì 10 ottobre 2018
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la nascita e lo sviluppo di un artista
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Del regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck esce in questi giorni nelle sale cinematografiche la sua ultima pellicola intitolata “Opera senza Autore”, una lunga rappresentazione sulla nascita e lo sviluppo di un artista nella Germania immediatamente precedente al 1945 sino agli anni ’60.
La storia riguarda, appunto, il protagonista che viene presentato sin da quando è un bambino e trascorre gran parte del proprio tempo con la giovane zia, appassionata di arte, ma instabile psicologicamente. Già precoce e talentuoso nel disegno, il piccolo negli anni sviluppa sempre di più la propria passione per questa forma artistica, nonché per la pittura, e a questo proposito, una volta cresciuto e terminata la guerra, incomincia a frequentare l’Accademia delle Belle Arti nella città di Dresda.
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Del regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck esce in questi giorni nelle sale cinematografiche la sua ultima pellicola intitolata “Opera senza Autore”, una lunga rappresentazione sulla nascita e lo sviluppo di un artista nella Germania immediatamente precedente al 1945 sino agli anni ’60.
La storia riguarda, appunto, il protagonista che viene presentato sin da quando è un bambino e trascorre gran parte del proprio tempo con la giovane zia, appassionata di arte, ma instabile psicologicamente. Già precoce e talentuoso nel disegno, il piccolo negli anni sviluppa sempre di più la propria passione per questa forma artistica, nonché per la pittura, e a questo proposito, una volta cresciuto e terminata la guerra, incomincia a frequentare l’Accademia delle Belle Arti nella città di Dresda. Nel contempo la propria esistenza è segnata da due importanti lutti: quello della giovane zia che, rinchiusa in una clinica psichiatrica, verrà soppressa seguendo il programma stabilito da Hitler di eliminare le persone ritenute non avere i requisiti di salute conformi al fine di appartenere alla pura razza ariana, e quello del padre, morto suicida. Nel corso delle giornate di studio il ragazzo conosce e si innamora perdutamente, ricambiato, di una giovane e bella ragazza che studia come stilista di abiti. Quando la coppia aspetta un bambino la famiglia di lei non approva affatto questa futura nascita in quanto non ritenuta dal padre, un noto medico a favore del programma di eugenetica hitleriano, rispondente ai requisiti necessari ai fini di una razza pura cosicchè con uno stratagemma viene fatta interrompere la gravidanza. Ma l’amore tra i due giovani è così forte che, malgrado l’accaduto e l’ostilità manifesta dei genitori di lei, essi giungono a contrarre il proprio matrimonio ed a fuggire in seguito clandestinamente dalla Germania dell’Est a quella divisa dell’Ovest dove il protagonista frequenterà l’Accademia artistica di Dusseldorf e dove, nel corso dei faticosi anni di studio e di risorse economiche precarie, riuscirà finalmente ad affermarsi come artista.
Una storia, come si può evincere, molto lunga (forse il film avrebbe potuto essere accorciato, tempisticamente parlando, di circa di 15/20 minuti) e complessa ma molto interessante da seguire che si ispira alla lontana alla biografia dell’artista tedesco Gerhard Richter. Essa è un affresco preciso testimoniante la condizione della Germania in un lungo periodo di tempo che si estende, ripeto, dagli anni iimediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, sino ai primi anni’60 dopo la divisione del Paese in due con l’innalzamento del muro a Berlino. Già con il suo precedente e pluri-premiato “Le Vite degli Altri” Florian Henckel von Donnersmarck si era dimostrato un ottimo ed attento regista, anche in questa sua ultima opera cinematografica egli si riconferma un grande autore che ben conosce la situazione del proprio Paese ai tempi del conflitto bellico e, soprattutto, degli anni a venire quando per gli artisti era difficile esporsi e conseguentemente affermarsi, se residenti nella parte est della Germania. In entrambe le sue pellicole von Donnersmarck condanna la divisione del paese in due parti distinte e le conseguenti differenti condizioni di esistenza presenti in esse: attraverso le storie narrate egli ne deplora l’assurdità perchè, per ciò che concerne il mondo dell’arte nella parte est del Paese, ma il discorso è estendibile a tutti i campi, vi è la difficoltà, quando non addirittura l’impossibilità, di esprimersi e di affermarsi a causa della censura e dei severi controlli. Un artista, come viene ben evidenziato in questa pellicola, è colui che per creare, oltre ovviamente al talento naturale e allo studio appreso, necessita soprattutto di un vissuto, preferibilmente drammatico, che lo formi e lo porti a guardare la realtà in maniera più profonda ed originale, inducendolo a rappresentare la propria visione ed interpretazione del mondo nella sua produzione artistica, ovviamente liberamente espressa. Il protagonista di “Opera senza Autore” riuscirà, infatti, finalmente ad affermarsi dopo parecchio tempo e solo quando egli verrà a contatto, trasferendovisi, con l’ambiente più libero ed aperto della Germania dell’Ovest. Le opere senza autore a cui si riferisce il titolo del film sono infatti delle comuni ed anonime fotografie riportate come dipinti sulla tela dove esse acquistano un’anima del tutto particolare e suggestiva, fungendo da testimonianza di determinate epoche e momenti.
La regia di von Donnersmarck è, come sempre, impeccabile, precisa, lineare e complessivamente equilibrata nel presentare, attraverso una vicenda realistica ed avvincente, un contenuto profondo e di denuncia ed il film si configura come un vero e proprio gioiello.
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chiara.ciancia
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domenica 7 ottobre 2018
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lo consiglio
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cardclau
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domenica 7 ottobre 2018
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l'elaborazione non è semplice
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Il regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck nel suo film Opera senza autore cerca giustamente di elaborare una atrocità perpetrata dalla Germania nazista, l’eliminazione dei diversi. Ma non è francese, e si vede perché, è fondamentalmente cupo. Come ricorda lo storico Martin Gilbert sulla sua storia della seconda guerra mondiale [traduco dall’inglese] “ … questa “inutile protesta” fu in grado immediatamente di forzare Hitler nell’abbandonare il suo programma di eutanasia, sebbene non prima di aver mandato a morte 50000 soggetti “difettosi”, anche diverse migliaia di bambini. Ma Himmler e i suoi uomini delle SS avrebbero ricevuto un altro “lavoro” da compiere prima che fossero passati altri 6 mesi ,,,”.
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Il regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck nel suo film Opera senza autore cerca giustamente di elaborare una atrocità perpetrata dalla Germania nazista, l’eliminazione dei diversi. Ma non è francese, e si vede perché, è fondamentalmente cupo. Come ricorda lo storico Martin Gilbert sulla sua storia della seconda guerra mondiale [traduco dall’inglese] “ … questa “inutile protesta” fu in grado immediatamente di forzare Hitler nell’abbandonare il suo programma di eutanasia, sebbene non prima di aver mandato a morte 50000 soggetti “difettosi”, anche diverse migliaia di bambini. Ma Himmler e i suoi uomini delle SS avrebbero ricevuto un altro “lavoro” da compiere prima che fossero passati altri 6 mesi ,,,”. Siamo alla fine dell’anno 1940. Quindi è verissimo che i tedeschi non sono i nazisti e che la protesta in Germania fu in grado di calmierare certi eccessi della Germania nazista. Ma resta da spiegare, con coraggio e a voce alta, e il regista non ci prova nemmeno, come e perché Hitler avesse un così largo seguito e chi avesse attivamente cooperato a questa infamante impresa. Ci troviamo come nel libro di Helga Schneider, Lasciami andare madre, dove Helga ha l’ingrato compito di "separarsi" da una madre che viveva solo per il partito nazista, anch’essa criminale. Scuso Sebastian Koch di cui ho visto Le vite degli altri (2007). Riesce a farci vivere l’astio siderale per il professor Carl Seeband. Un criminale completamente anaffettivo, pur medico, e ginecologo, che seguace delle SS, antepone la morte alla vita, per la sua ambizione. Manda a morte, imperturbabile, la prima Elisabeth, deliziosa nel suo comportamento anacronistico. Cerca per sempre di danneggiare la figlia Elli. Deve essere stato un paranoico. Ma non basta. Chi sono quelli che cooperano alle nefandezze, e attivamente vi contribuiscono? Chi sono i fiancheggiatori? Sua moglie nel film è incommensurabilmente peggio di una prostituta, perché per i suoi effimeri vantaggi terreni sacrifica tutto e tutti. Non vede, non sente, non parla, mai. Carl Seeband è inarrestabile (anche dal punto di vista del significato etimologico). La lunghissima sequela sull’arte contemporanea, e la storia veramente sconclusionata di Kurt Barnert, non fa che annacquare un film che era partito coraggiosamente. Forse il regista doveva rilleggersi Archipelago Gulag, di Aleksandr Solženicyn.
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francescoizzo
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domenica 7 ottobre 2018
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quasi un capolavoro (con pochi difetti)
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Il film è bello, ben strutturato, e la storia è coinvolgente emotivamente e razionalmente. Ambientato dagli anni 30 ai 60 del secolo scorso,propone una storia personale appassionante e molto interessante, che si intreccia con eventi, misfatti, tragedie e dittature incontrandone un'altra e concludendosi con la procreazione a lungo desiderata di un bimbo, simbolo di vita e speranza che continuano.Sono poche le banalità - a mio avviso- che quindi non riescono a rovinare il complesso dell'opera, che rimane ben fatta (una per tutte, la frase ripetuta:"la realtà è sempre bella", che a me non piace - anche se capisco che abbia un valore prettamente artistico).
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Il film è bello, ben strutturato, e la storia è coinvolgente emotivamente e razionalmente. Ambientato dagli anni 30 ai 60 del secolo scorso,propone una storia personale appassionante e molto interessante, che si intreccia con eventi, misfatti, tragedie e dittature incontrandone un'altra e concludendosi con la procreazione a lungo desiderata di un bimbo, simbolo di vita e speranza che continuano.Sono poche le banalità - a mio avviso- che quindi non riescono a rovinare il complesso dell'opera, che rimane ben fatta (una per tutte, la frase ripetuta:"la realtà è sempre bella", che a me non piace - anche se capisco che abbia un valore prettamente artistico).
Il bimbo- dicevo- è preso più volte come simbolo di vita e di speranza (opp. c'è il suo contrario) : nella sterilizzazione forzata della bellissima zia, nella nascita riuscita del figlio del gen. russo, nell'aborto (forzato) del primo figlio della coppia, nella nascita felice finale del loro bimbo.In mezzo, c'è tutta l'odissea del giovane artista dresdano, innamoratosi per caso proprio della figlia dell'aguzzino della zia, che cerca la sua strada e la troverà solo quando- messi a fuoco bene o male i fantasmi della sua infanzia - li "sfuocherà" in dipinti-riproduzione di foto che serbava nel cuore. Quadri che saranno di successo perché avranno in sé tutta la dirompente forza comunicativa della verità e della sofferenza personale, del dolore e dell'amore di una vita.
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[+] dentro il cuore ferito di una nazione
(di antoniomontefalcone)
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tonimais
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venerdì 5 ottobre 2018
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opera senza autore
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Dopo appena dieci minuti di proiezione, il film dura 188 minuti, lo spettatore intuisce, anzi ha ben chiara , quella che sarà in età avanzata la musa ispiratrice di Kurt Barnert. A lui occorreranno trent'anni per diventare un mediocre artista. Del resto per chi è vissuto sotto due regimi totalitari, prima quello nazista, poi in quello del realismo comunista è praticamente impossibile diventare un creatore. "Lo faccio perché sono capace di farlo " è terribile" e viene detta indistintamente dal medico per cui uccidere o salvare una vita era pur sempre frutto del suo sapere, sia da un artista senza talento. La rappresentazione della scuola d'arte contemporanea di Dusseldorf è una pura parodia dissacrante di ciò che lontanamente richiama un concetto così nobile: sprovveduti apprendisti stregoni in attesa di essere folgorati come Paolo di Tarso sulla strada di Damasco da un'ispirazione.
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Dopo appena dieci minuti di proiezione, il film dura 188 minuti, lo spettatore intuisce, anzi ha ben chiara , quella che sarà in età avanzata la musa ispiratrice di Kurt Barnert. A lui occorreranno trent'anni per diventare un mediocre artista. Del resto per chi è vissuto sotto due regimi totalitari, prima quello nazista, poi in quello del realismo comunista è praticamente impossibile diventare un creatore. "Lo faccio perché sono capace di farlo " è terribile" e viene detta indistintamente dal medico per cui uccidere o salvare una vita era pur sempre frutto del suo sapere, sia da un artista senza talento. La rappresentazione della scuola d'arte contemporanea di Dusseldorf è una pura parodia dissacrante di ciò che lontanamente richiama un concetto così nobile: sprovveduti apprendisti stregoni in attesa di essere folgorati come Paolo di Tarso sulla strada di Damasco da un'ispirazione. Archiviato il concetto "arte" la storia diventa più intrigante ma non meno impapocchiata : il cattivo che fa carriera, il buono che muore suicida, il generale del kgb dal cuore di mammola , un artista che finalmente si ricorda che da bimbo filtrava le immagini più crude attraverso le dita del palmo della mano. Molto bella la fotografia, ottima la colonna sonora, migliore la prima mezz'ora. La frase più vicina al concetto d'arte è : " Il muro di Berlino è un'opera d'arte " ma per spiegarla ci vorrebbero anni.
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carloalberto
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venerdì 5 ottobre 2018
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riflessioni sull'arte
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Guardando Opera senza autore ci immergiamo pian piano nel mondo magico di Henckel von Donnersmarck, entriamo gradualmente nella realtà del protagonista, come lui la vede da bambino, mano nella mano con l’amatissima zia a passeggio in una bellissima Dresda prima dei bombardamenti americani, da adolescente, nell’immediato dopoguerra, tra le macerie materiali e spirituali che distruggeranno l’animo sensibile del padre, da giovane artista, alla scuola d’arte di Dusseldorf. La realtà del protagonista, ovvero come la vede e la ricrea sotto i nostri occhi lo stesso regista, è una realtà in cui l’entanglement non è una caratteristica esclusiva delle particelle elementari, come ha scoperto la fisica quantistica agli inizi dello secolo scorso, ma coinvolge tutti noi e producendo un legame fortissimo tra le persone che si amano, in questo caso tra il protagonista bambino e la giovane zia, crea una magia che stravolge la consuetudinaria visione del mondo, lasciandoci percepire l’invisibile filo che collega tutte le cose.
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Guardando Opera senza autore ci immergiamo pian piano nel mondo magico di Henckel von Donnersmarck, entriamo gradualmente nella realtà del protagonista, come lui la vede da bambino, mano nella mano con l’amatissima zia a passeggio in una bellissima Dresda prima dei bombardamenti americani, da adolescente, nell’immediato dopoguerra, tra le macerie materiali e spirituali che distruggeranno l’animo sensibile del padre, da giovane artista, alla scuola d’arte di Dusseldorf. La realtà del protagonista, ovvero come la vede e la ricrea sotto i nostri occhi lo stesso regista, è una realtà in cui l’entanglement non è una caratteristica esclusiva delle particelle elementari, come ha scoperto la fisica quantistica agli inizi dello secolo scorso, ma coinvolge tutti noi e producendo un legame fortissimo tra le persone che si amano, in questo caso tra il protagonista bambino e la giovane zia, crea una magia che stravolge la consuetudinaria visione del mondo, lasciandoci percepire l’invisibile filo che collega tutte le cose. La realtà è trasfigurata o meglio reinventata sempre da una visione soggettiva, ma soltanto nell’artista, tuttavia, prende forma e assume il carattere di opera d’arte fruibile empaticamente dagli altri, soltanto nell’artista assume la forza icastica della bellezza e della verità aprendo il mondo a nuove ed altrimenti impenetrabili dimensioni come tentano gli squarci sulla tela di Lucio Fontana. Per il protagonista tutto il reale è “bello” in quanto già trasfigurato nell’opera d’arte o potenzialmente trasformabile e così una qualsiasi fotografia, che è una duplicazione asettica del reale, se viene proiettata sulla tela può essere reinventata divenendo opera d’arte. In questo senso anche il male assoluto, rappresentato dallo sterminio dei “degenerati” e dei diversi, pianificato nella Germania nazista, trasfigurato nell’opera d’arte diviene “bello”. Ovviamente qui il concetto di “bello” deve essere inteso nel senso aristotelico di corrispondente ed equivalente del concetto di “vero”. In alcune scene di Opera senza autore, metaforicamente, i corpi degli amanti, dell’artista e della sua compagna, si sovrappongono fino a combaciare e a formare un’entità unica, a significare che la realtà e la visione della realtà, la bellezza e la verità sono indistinguibili esclusivamente nel vissuto autentico, in questo caso nella visione dell’artista, ed, in senso lato, di ogni uomo che crede, come Parmenide, che l’essere ed il coglimento dell’essere siano la stessa cosa. Tra il male assoluto, rappresentato dal medico delle SS, interpretato da Sebastian Koch, e, agli antipodi, il bene assoluto, impersonato dalla giovane e folle zia, Paula Beer, e dalla moglie del protagonista, Saskia Rosendahl, c’è una scala di grigi in cui si collocano una moltitudine di personaggi ambigui o scialbi, che l’artista rappresenta nelle sue opere in bianco e nero. Tutti i personaggi dipinti appaiono sfocati, privi di contorni netti e definiti, come nelle opere di Gerhard Richter, artista tedesco contemporaneo, alla cui figura si è ispirato von Donnersmarck per il personaggio principale, interpretato da Tom Schilling. Il film è una riflessione sull’arte in generale ed in particolare su quella moderna, così ostica per il grande pubblico e apparentemente incomprensibile, che è ermetica in quanto nasconde le profonde motivazioni psicologiche degli autori, le ferite del vissuto di anime trafitte dal dolore, come le tavole di legno su cui l’amico del protagonista, anch’egli artista, continua a conficcare chiodi, come il cranio bruciato dal fuoco che il direttore della scuola nasconde sotto il cappello. E’ una riflessione sull’arte negata e oppressa nei regimi totalitari, nella Germania nazista come in quella comunista della DDR, perché espressione autentica dell’io individuale, non funzionale agli scopi del potere, che ha come obiettivo la creazione di società paragonabili a quelle degli insetti prosociali, di formicai o alveari nei quali l’io individuale deve essere sacrificato in nome del bene supremo della collettività e nelle quali l’arte e la bellezza che l’arte esprime sono temute quanto la verità. La pellicola è un’opera d’arte sull’opera d’arte, una visione artistica dell’arte che, come in un gioco di specchi, moltiplica le immagini del reale o meglio delle visioni del reale all’infinito. Come in un caleidoscopio, le sensazioni e le emozioni dei personaggi come immaginati dal regista si riflettono nel vissuto filmico degli attori e da questi attraverso le immagini e la musica ritornano in sala colpendo lo spettatore che viene coinvolto, anche suo malgrado, nella visione poetica del mondo di von Donnersmarck. Il film implicitamente rinvia a “Persona” di Ingmar Bergman, in quanto invita a riflettere sulla essenza della settima arte e, nello specifico, sulla mediazione del linguaggio cinematografico tra il mondo reale, la storia dell’io protagonista, la “voce” narrante del regista e l’io individuale di ciascuno di noi in quanto spettatore.
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roberteroica
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martedì 4 settembre 2018
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never look away
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#Venezia75 - WERK OHNE AUTOR - Concorso - Il regista del pluripremiato e bellissimo "Le vite degli altri" torna con un melodrammone di oltre tre ore che mescola orrori nazisti, aspirazione artistica, madeleine individuali, comunismo e Rdt. Un po' troppa carne al fuoco e un'ambizione che meriterebbe maggior profondita' e una sintassi meno televisiva. Alla fine i conti tornano, pero'. E la critica, di ogni tipo e grado, non ci fa una gran figura...Voto: 6
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