Perché anche la speranza è un vizio che nessuno riesce mai a togliersi completamente [Giorgio Scerbanenco]
Edoardo de Angelis torna a interessarsi della livida baia Domizia, alla foce di quel Volturno tossico e pieno di criminalità. Di degrado, prostitute nigeriane che battono sul viale, in particolare su quella strada della speranza, ve ne è a iosa e la protagonista di questo lungometraggio, Il vizio della speranza, è una ragazza, Maria, segnata da una violenza perpetratale da bambina, violata e poi gettata nel fiume come un animale.
Recuperata e poi costretta da una matrona ingioiellata pappone, zia Marì (Marina Confalone), a una schiavitù di traghettatrice di anime gravide, prostitute rimaste incinta costrette a vendere i “frutti” del loro amore tradito, a coloro che non posso averne, Maria, lentamente assume presto consapevolezza della sua disgraziata condizione.
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Perché anche la speranza è un vizio che nessuno riesce mai a togliersi completamente [Giorgio Scerbanenco]
Edoardo de Angelis torna a interessarsi della livida baia Domizia, alla foce di quel Volturno tossico e pieno di criminalità. Di degrado, prostitute nigeriane che battono sul viale, in particolare su quella strada della speranza, ve ne è a iosa e la protagonista di questo lungometraggio, Il vizio della speranza, è una ragazza, Maria, segnata da una violenza perpetratale da bambina, violata e poi gettata nel fiume come un animale.
Recuperata e poi costretta da una matrona ingioiellata pappone, zia Marì (Marina Confalone), a una schiavitù di traghettatrice di anime gravide, prostitute rimaste incinta costrette a vendere i “frutti” del loro amore tradito, a coloro che non posso averne, Maria, lentamente assume presto consapevolezza della sua disgraziata condizione. E, riflettendo sul concetto di libertà e il desiderio di maternità sofferta, prenderà una difficile decisione, ancorata a un vizio della speranza flebile ma perché no, ancora possibile nella notte buia.
Potete e drammatico, il film di De Angelis è un pugno allo stomaco, una fiaba nera quasi cristiana nel segno metaforico di un cammino di rinascita e liberazione della puerpera Maria (nome omen), in vista di un baluardo solingo che non risparmia nessuno dietro le quinte di cartapesta di una borghesia raggrinzita evanescente. Ma se De Angelis si limitasse a raffigurare l’uniforme e piatta negatività senza luce, sarebbe un cineasta mestierante unilaterale. Una negatività unidimensionale diventa falsa come una positività senza problemi, stucchevole e consolatoria perché elude il dissidio, la crisi, l’urto e lo stesso fallimento. Tuttavia, certo in una pellicola non priva di difetti (come le ricercate simbologie del cavallo liberato in riva al mare, le metafore cristiane), Il vizio della speranza è un capolavoro di negatività perché esiste la tenerezza e la generosità di Maria, la fanciulla che viene stritolata dal meccanismo dell’esistenza ma che rimane pur sempre, nella sua tragica sconfitta, una promessa e un miraggio di libertà e di amore, una luce di una promessa che è poesia e epiteto. E’ così bella la schiavitù con le regole, le imposizioni, ti è venuta quella stronzata della speranza, ti sei fatta contagiare, chiosa Zi’ Maria in una scena magistralmente interpretata.
Maria però non si lascia sottomettere. Maria vive integralmente nel fondo limaccioso di quel fiume, nel silenzio della sporcizia, vive nel non tempo di quella irrealtà. Vuole andarsene a vedere il mondo ma al tempo stesso vuole rimanere lì ad aiutare quelle donne così simili a lei. Maria vive nell’utopia, in ciò che non esiste o non esiste ancora, ma in quello spazio del cuore è l’unica che sente e soffre per tutti. La sua peripatetica umiliazione continua è un monumento poetico eretto alle vittime della vita e della storia senza quella declamazione o falsa pietà di uomini soli all’orizzonte che si muovono là, nel solco di immagini di una notte mai giorno e nella musica di Enzo Avitabile, intima e come in un lungo adagio, implacabile.
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