francesco2
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domenica 7 luglio 2019
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lee torna al grande cinema
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Facciamoci caso : sin dall’inizio, l’accoglienza ricevuta dal film ha avuto qualcosa di controverso. Al Festival di Cannes 2O18, dove è stato presentato –credo- in prima mondiale, ed insignito con il Gran Premio dell Giuria, non sono mancaticommenti relativamente perplessi, in Italia come qui in Belgio. Senza citare nomi, più di un recensore nel dare tre stelle ha espresso vari dubbi , tra cui quell’eccessiv a commercilalizzazione che da tempo si rimprovera a Lee.
Tuttavia, è probabilmente la costruzione drammaturgica stessa il primo emblem del “Lee autore”, almeno a giudizio di chi scrive. Il ritmo da thriller frequentemente privilegiato, ad esempio, non esula dalla denuncia sociale nei confronti del razzismo che ancora pervadeva, senza pudori, il mondo di quell’epoca: la suspense, intesa come ricerca di tensione per noi spettatori, assume, per i poliziotti che indagano, la valenza di un’altra ricerca,: l’estirpazione del rzzismo, raggiungibile non senza qualche mezzo discutibile che giustifichi “il Fine” e “la Fine” di quella dimensione razzista ancora tollerata, quando non addirittura perseguita.
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Facciamoci caso : sin dall’inizio, l’accoglienza ricevuta dal film ha avuto qualcosa di controverso. Al Festival di Cannes 2O18, dove è stato presentato –credo- in prima mondiale, ed insignito con il Gran Premio dell Giuria, non sono mancaticommenti relativamente perplessi, in Italia come qui in Belgio. Senza citare nomi, più di un recensore nel dare tre stelle ha espresso vari dubbi , tra cui quell’eccessiv a commercilalizzazione che da tempo si rimprovera a Lee.
Tuttavia, è probabilmente la costruzione drammaturgica stessa il primo emblem del “Lee autore”, almeno a giudizio di chi scrive. Il ritmo da thriller frequentemente privilegiato, ad esempio, non esula dalla denuncia sociale nei confronti del razzismo che ancora pervadeva, senza pudori, il mondo di quell’epoca: la suspense, intesa come ricerca di tensione per noi spettatori, assume, per i poliziotti che indagano, la valenza di un’altra ricerca,: l’estirpazione del rzzismo, raggiungibile non senza qualche mezzo discutibile che giustifichi “il Fine” e “la Fine” di quella dimensione razzista ancora tollerata, quando non addirittura perseguita.
Proprio questo termine, dimensione, nel suo significato collettivo ed insieme individuale, potrebbe essere una chiave di lettura, (almeno) in questo caso. In un’opera che abbraccia il “sistema, o quantomeno la sua razza meno tutelata- non manca un’attenzione per le vicende del singolo, si tratti della relazione sentimentale che coinvolge il poliziotto –Romanzata dal regista, sembra-, come anche dei rapporti –solo?- professionli tra colleghi. In più talune situazioni nel ritrarre dei tentativi di portare a compimento certe zioni repellenti, abbandonano la dimensione globle del racconto per concentrarsi sul singolo, (potenziale) artefice, esso stesso, della sorte di una nzione. .Tale dimensione, capillare ed al contempo individuale, viene ripresa nel finale: senza svelarne troppo, mi limito sottolinere come i due protagonisti siano, al contempo, avversari del Male come Demone che attanaglia gli USA, e coinvolti essi stessi nel Grande Racconto, collettivo e personale, sviluppato dal film.
A questo punto, ha poco senso interrogrsi sulla retorica che emergerebbe, per esempio, durante il discorso di Belafonte. Tali momenti fungono da tasselli di questo Racconto Collettivo, dipanandosi sulle vicende dei singoli che, come fiumi, ritornano all’Oceano di partenza. Un Oceano non di Silenzio –citando un brano- m di tensione storica e sociale, g (in)seguia in passato, t con esiti desolanti, in “Summer of Sam” o Miracolo Snt’nna”.
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elgatoloco
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lunedì 20 maggio 2019
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spike lee colpisce di brutto....
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Finalmente un film veramente"politico": Spike Lee, con intelligenza e humor graffiante, prende spunto dalla vicenda di Ron Stallworth(detective nero che si era fatto passare per un adepto del Klan KKK, ben noto, per infilitrarsi nel movimento ma, non potendolo fare de visu et de corpore, diciamo così, si fa sostituire da Flip Zimmerman, detecetive ebreo(che deve fare quindi salti mortali per farsi passare per ariano, non amando i"Brothers"del KU Klux Klan neppure chi ha la stella di David... Straordinaria demisficazione del razzismo europeo e WASP di sempre(da allora, anni SettantaIad oggi, con pericolose"estrapolazioni"da documentari reali. Un vero collage filmico straordinario, con scnee sovrapposte, sequenze"sghembe"e altro, dove Lee si conferma uno dei grandi autori di cinema di questi anni , anzi meglio decenni, dato che non è che realizzi film da due anni.
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Finalmente un film veramente"politico": Spike Lee, con intelligenza e humor graffiante, prende spunto dalla vicenda di Ron Stallworth(detective nero che si era fatto passare per un adepto del Klan KKK, ben noto, per infilitrarsi nel movimento ma, non potendolo fare de visu et de corpore, diciamo così, si fa sostituire da Flip Zimmerman, detecetive ebreo(che deve fare quindi salti mortali per farsi passare per ariano, non amando i"Brothers"del KU Klux Klan neppure chi ha la stella di David... Straordinaria demisficazione del razzismo europeo e WASP di sempre(da allora, anni SettantaIad oggi, con pericolose"estrapolazioni"da documentari reali. Un vero collage filmico straordinario, con scnee sovrapposte, sequenze"sghembe"e altro, dove Lee si conferma uno dei grandi autori di cinema di questi anni , anzi meglio decenni, dato che non è che realizzi film da due anni... Anche la riproposizione di Harry Beladonte ha un suo pregio e un suo significativo perché, in un fim che è da un lato storico, dall'altro anche un film critico-di demistificazione dei messaggi(se il compianto massmediologo Pio Baldelli avesse conosciuto Spike Lee avrebbe avuto vari motivi per gioire, ma temo il fatto non si sia realizzato), ripercorrere il passato non è certo privo di senso(penso anche all'attrice, di cui mi sfugge il nome, che sembra proprio un clone d Angela Davis, storica leader al femminile dei"Black Panthers"). Un film da vedere e apprezzare più volte, per vari motivi, sempre cogliendo aspetti prima magari trascurati, dove ogni citazione e ogni riferimento hanno un senso ben preciso. John David Washington e Adam Driver, fra gli/le intepreti del film, sono le figure emergenti ma, come sempre nei film di Lee, è veramente un'opera corale, quella che si vede qui nel film. El Gato
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rmarci 05
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sabato 4 maggio 2019
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satirico, attuale e ironicamente provocatorio
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Dopo un periodo di insuccessi di pubblico e critica, Spike Lee è, questa volta, determinato a raccontare una storia tanto assurda quanto vera in cui traspare tutto lo stile del regista nella sua forma di denuncia socio-politica più esplicita: nonostante nella prima parte l'opera abbia un tono di commedia satirica e beffarda, costellata da dialoghi geniali nella loro ironia e scene di grande efficacia, nell'ultima parte essa assume un carattere volutamente documentaristico, per niente disposto ad offrire divertimento, svolgendo in primis un ruolo di tragica testimonianza dell'odio razziale all'interno della società USA antecedente e contemporanea, con lo scopo di dimostrare che ciò che è avvenuto in passato si sta ripetendo ai giorni nostri.
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Dopo un periodo di insuccessi di pubblico e critica, Spike Lee è, questa volta, determinato a raccontare una storia tanto assurda quanto vera in cui traspare tutto lo stile del regista nella sua forma di denuncia socio-politica più esplicita: nonostante nella prima parte l'opera abbia un tono di commedia satirica e beffarda, costellata da dialoghi geniali nella loro ironia e scene di grande efficacia, nell'ultima parte essa assume un carattere volutamente documentaristico, per niente disposto ad offrire divertimento, svolgendo in primis un ruolo di tragica testimonianza dell'odio razziale all'interno della società USA antecedente e contemporanea, con lo scopo di dimostrare che ciò che è avvenuto in passato si sta ripetendo ai giorni nostri. Nella prima parte inoltre prevalgono la descrizione dei due potenti gruppi politici dalle ideologie opposte: da un lato le Black Panther, raffigurato come una folla di persone (giustamente) inferocita e disperata che promuove l'uguaglianza dei diritti; dall'altro lato invece c'è il Ku klux Klan, oggetto di scherno e di ridicolizzazione da parte del regista, che tenta di dare una vena satirica a questo aspetto senza riuscirci completamente, in quanto il versante "commedia", solo in questo caso, è portato troppo all'estremo perdendo una parte della sua efficacia. Alcuni tra i limiti del film, come l'orgoglio nero che pervade alcune scene, sono parzialmente compensati dall'ottimo montaggio, caratterizzato da un ritmo sostenuto grazie alla buona dose di intrattenimento e alla soddisfacente recitazione di tutti gli attori, in particolare J. D. Washington e T. Grace (David Duke). Un ottimo rilancio della carriera di Spike Lee, giustamente insignito del Premio Oscar alla sceneggiatura, ed un film che, pur con i suoi limiti ed i suoi difetti, risulta efficace, lucido, ironicamente provocatorio e, soprattutto, molto attuale. Quest'ultimo è un grande nonché coraggioso merito. 3 stelle e mezzo su 5.
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jl
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giovedì 2 maggio 2019
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attenzione all'uomo nero... e non solo a lui
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Nel 1978 a Colorado Springs, nel commissariato di polizia locale, è presente un solo agente di colore: Ron Stallworth. Ron viene spostato quasi immediatamente dall’archivio al lavoro sotto copertura e da una sua intuizione nasce un’indagine che farà infiltrare il suo collega Philippe all’interno del Ku Klux Klan. Ron è la voce telefonica che contatta gli associati del Klan, mentre Philippe colui che fisicamente si espone perché di pelle bianca. L’indagine, fra rischi e pericoli, procede fino a quando David Duke, gran maestro del Klan e in ascesa nel mondo della politica, non arriva in città per il rito d’iniziazione dei nuovi iscritti.
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Nel 1978 a Colorado Springs, nel commissariato di polizia locale, è presente un solo agente di colore: Ron Stallworth. Ron viene spostato quasi immediatamente dall’archivio al lavoro sotto copertura e da una sua intuizione nasce un’indagine che farà infiltrare il suo collega Philippe all’interno del Ku Klux Klan. Ron è la voce telefonica che contatta gli associati del Klan, mentre Philippe colui che fisicamente si espone perché di pelle bianca. L’indagine, fra rischi e pericoli, procede fino a quando David Duke, gran maestro del Klan e in ascesa nel mondo della politica, non arriva in città per il rito d’iniziazione dei nuovi iscritti.
L’ultima pellicola di Spike Lee saccheggia a piene mani dalla biografia dell’ex poliziotto Ron Stalleworth, e dalla sua avventura come infiltrato telefonico fra le pieghe del movimento suprematista della razza bianca ovvero il Klan, questo prima dello scioglimento ufficiale a causa della bancarotta che lo colpì nei primi anni ‘80. Il lavoro politico che è alle spalle di questo inno al cinema e alla cultura di colore, ma che prende il via dallo stesso odio che può colpire anche altre minoranze, è un opera certosina fondata sullo humour creatosi da situazioni che di comico non avrebbero nulla, come le continue conversazioni telefoniche che coinvolgono Ron e il gran maestro del Klan: David Duke, certo di riuscire a capire se la persona con cui parla è di pura razza ariana solamente grazie all’inflessione della voce dell’interlocutore. Dall’altro lato Lee riesce a mostrarci come non vi siano poi grandi differenze fra persone di origine etnica diversa, basta infatti analizzare i legami di cameratismo che progressivamente Ron genera con parte dei suoi colleghi e con il movimento studentesco di colore, o l’odio che scorre indifferentemente alle riunioni del KKK o agli incontri dei leader politici afroamericani.
John David Washington aggiunge, a una pellicola dal ritmo incalzante nonostante le oltre due ore di durata, un agente Stallworth senza particolari apici interpretativi ed è forse questa l’unica sbavatura in un film che invece riesce a trovare in Adam Driver un protagonista vincente: un infiltrato credibile e un uomo di origine ebraica che improvvisamente si trova catapultato in un mondo che lo odia esattamente come il suo collega Ron. Un’altra piacevole scoperta è il David Duke impersonato da Topher Grace, ovvero un politicamente moderato dietro al quale si nasconde un iscritto al partito nazista americano e che fra le mura solide e bianche di una villa di periferia e di fronte ad un pubblico debitamente selezionato, non nega mai la legittimità delle sue convinzioni suprematiste.
Una pellicola che narra una storia tanto assurda quanto vera, un calcio ben assestato, senza nemmeno troppi giri di parole, all’America di oggi: il film si conclude difatti con le riprese degli scontri di Charlottesville e con i commenti a caldo sia del presidente Trump ma anche del redivivo David Duke.
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felicity
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martedì 26 febbraio 2019
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un nero e un ebreo a capo del kkk locale
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Film estremamente politico in cui il regista disegna un parallelismo spietato tra il passato ed il presente dei neri d'America, preannunciando indirettamente l'avvento di Trump.
Le parole che durante il film vengono messe in bocca a bizzarre caricature di ignoranti white trash di provincia infatti vengono ora pronunciate tali e quali dal Presidente degli Stati Uniti.
Blackkklansman bilancia in modo quasi miracoloso la rappresentazione d'epoca, narrata attraverso il filtro visivo del tempo, e la drammatica serietà del presente, senza dimenticare la maestosità del cinema.
Le parole della commedia non sono la caricatura del reale, non servono ad alleggerire quello che di insopportabile c’è nella politica reazionaria degli Stati Uniti di oggi, ma sono semmai uno strumento (forse l’unico in questo momento e senz’altro il più efficace) per riuscire a prenderle seriamente, laddove la parodia, il dramma e la denuncia si sono ormai dimostrate armi spuntate.
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Film estremamente politico in cui il regista disegna un parallelismo spietato tra il passato ed il presente dei neri d'America, preannunciando indirettamente l'avvento di Trump.
Le parole che durante il film vengono messe in bocca a bizzarre caricature di ignoranti white trash di provincia infatti vengono ora pronunciate tali e quali dal Presidente degli Stati Uniti.
Blackkklansman bilancia in modo quasi miracoloso la rappresentazione d'epoca, narrata attraverso il filtro visivo del tempo, e la drammatica serietà del presente, senza dimenticare la maestosità del cinema.
Le parole della commedia non sono la caricatura del reale, non servono ad alleggerire quello che di insopportabile c’è nella politica reazionaria degli Stati Uniti di oggi, ma sono semmai uno strumento (forse l’unico in questo momento e senz’altro il più efficace) per riuscire a prenderle seriamente, laddove la parodia, il dramma e la denuncia si sono ormai dimostrate armi spuntate.
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lucio di loreto
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mercoledì 13 febbraio 2019
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spike lee come piace a noi: duro ma poetico!!
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Spike Lee scende di nuovo in campo con quello che sa fare meglio, protestando in maniera vigorosa ma poetica il suo grido predicatorio e arrabbiato, schierandosi palesemente ma in modo mai banale contro il sistema e a favore delle pari opportunità. Ad aiutarlo a raggiungere l’obiettivo due sensazionali e piacevoli performance di John David Washington e Adam Driver, che insieme a Topher Grace/David Duke mantengono nelle due ore e passa di proiezione un atteggiamento ansiolitico unito ad una studiata vena ironica che rende ridicola la “supremazia bianca” e il film scorrevole e attraente. Vincitore a Cannes del Grand Prix speciale della Giuria, Blackkkansman racconta quel che portò a sgominare la sezione di Colorado Springs del Ku Klux Klan, basandosi sui racconti del protagonista.
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Spike Lee scende di nuovo in campo con quello che sa fare meglio, protestando in maniera vigorosa ma poetica il suo grido predicatorio e arrabbiato, schierandosi palesemente ma in modo mai banale contro il sistema e a favore delle pari opportunità. Ad aiutarlo a raggiungere l’obiettivo due sensazionali e piacevoli performance di John David Washington e Adam Driver, che insieme a Topher Grace/David Duke mantengono nelle due ore e passa di proiezione un atteggiamento ansiolitico unito ad una studiata vena ironica che rende ridicola la “supremazia bianca” e il film scorrevole e attraente. Vincitore a Cannes del Grand Prix speciale della Giuria, Blackkkansman racconta quel che portò a sgominare la sezione di Colorado Springs del Ku Klux Klan, basandosi sui racconti del protagonista. Ron Stallworth, entrando in contatto con una cellula dell’organizzazione, acquista la fiducia dei boss locali fingendosi un seguace e mandando all’avanscoperta il collega David Zinnerman, più credibile per il colore della pelle..I due, aiutati dal proprio distretto e in costante collegamento auricolare, verranno a conoscenza del progetto per un attentato il giorno in cui il grande capo (Duke) sarà in città e parallelo alla manifestazione delle Black Panthers, fra cui Patrice (Laura Harrier), futuro invaghimento di Ron. E’ proprio il rapporto tra i due un punto focale, col poliziotto sotto copertura e la rivoluzionaria anti “pigs” ad aleggiare nell’aria uniti, con fare battagliero e le pistole puntate, accompagnati da action music e pellicola vintage b-movies anni settanta, fino a tornare nel presente, dopo l’immagine della croce che brucia, nell’amara realtà della morte di Heather Hayer, investita da un neonazista durante le manifestazioni in Virginia del 2017. L’unione di varie epoche, tra rimandi e duplicità, è ciò su cui si basa lo Spike Lee pensiero, fermo sostenitore di come il razzismo e la segregazione siano dormienti ma ancora latenti nel mondo a stelle e strisce. Tutto questo si evince dal comizio iniziale di Alec Baldwin, politico suprematista bianco anni 50, dalla cerimonia d’ingresso dei nuovi membri del KKK contemporanea alla contro protesta degli attivisti (Harry Belafonte), fino a giungere ai fatti recenti di Charlottesville. Il director, con l’usuale sopraffina regia, grazie al dettaglio della croce ardente nell’occhio del seguace, vuole dimostrarci come la questione razziale e violenza connessa siano tuttora irrisolte e radicate nell’intrinseco di certa America bianca e di come oggi tutto ciò stia riprendendo forza e vigore. Un film alla fine semplice e dalla trama facile ma che ha come scopo quello di restituire al mondo la consapevolezza che su certi temi c’è ancora da combattere e le battaglie da superare (l’indagine andata a buon fine) sono ancora molteplici prima di arrivare a vincere la guerra!!
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newalessiomarta
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mercoledì 23 gennaio 2019
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consigliato
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Ben raccontato e ben diretto. Consigliato assolutamente!
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clavius
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giovedì 29 novembre 2018
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spike lee si supera
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Brillante come non lo era da tempo, Spike Lee ci regala un film che è nello stesso tempo irriverente, riflessivo, comico e tragico. Un film politico e schierato che nell'America razzista degli anni 70 ha l'ambizione di far rispecchiare quella contemporanea. E ci riesce. Miracolosamente. Di razzismo se ne parla e discute da tempo. Anche nelle ultime stagioni sono usciti titoli a riguardo, ma quando il film viene diretto da un regista imprevedibile, si assiste stupefatti al taglio nuovo, allo sguardo differente su un tema abusato. Gli attori bravissimi completano l'opera. Attorno alle dinamiche (a tratti esilaranti) del poliziotto di colore che cerca di infiltrarsi nel KKK, Spike Lee graffia la coscienza dello spettatore medio riservandogli dure lezioni di realtà.
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Brillante come non lo era da tempo, Spike Lee ci regala un film che è nello stesso tempo irriverente, riflessivo, comico e tragico. Un film politico e schierato che nell'America razzista degli anni 70 ha l'ambizione di far rispecchiare quella contemporanea. E ci riesce. Miracolosamente. Di razzismo se ne parla e discute da tempo. Anche nelle ultime stagioni sono usciti titoli a riguardo, ma quando il film viene diretto da un regista imprevedibile, si assiste stupefatti al taglio nuovo, allo sguardo differente su un tema abusato. Gli attori bravissimi completano l'opera. Attorno alle dinamiche (a tratti esilaranti) del poliziotto di colore che cerca di infiltrarsi nel KKK, Spike Lee graffia la coscienza dello spettatore medio riservandogli dure lezioni di realtà. In questo senso i risvolti comici del film sono solo funzionali a rendere quelle risate più amare, per mostrare impietosamente il nervo scoperto delle disuguaglianze e delle discriminazioni diffuse che persistono ancora intatte sotto la pelle della nostra società.
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gingersnaps
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martedì 30 ottobre 2018
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non si smentisce
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con il suo stile inconfondibile, comprese le inquadrature naif, torna e ci regala un racconto di certo drammatico ma con venature ironiche. Spiccano senza dubbio i fratelli neri, perche il vero dilemma lo denotano i fatti storici parlano sempre chiaro e non c'è razzismo al contrario che tenga. Poi lo si vuole leggere come denuncia in varie direzioni ma io la vedo a senso unico. L'orrore regna per tutto il film, ma la narrazione godibile del regista lo fa sembrare del tutto grottesco, ma credo che sia voluto. Attori molto espressivi e ben calzanti con i personaggi, ho creduto per tutto il film di essere in quel periodo, ma la triste realtà è che non è cambiato nulla in questo porco mondo, come sono i porci perfno gli sbirri.
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con il suo stile inconfondibile, comprese le inquadrature naif, torna e ci regala un racconto di certo drammatico ma con venature ironiche. Spiccano senza dubbio i fratelli neri, perche il vero dilemma lo denotano i fatti storici parlano sempre chiaro e non c'è razzismo al contrario che tenga. Poi lo si vuole leggere come denuncia in varie direzioni ma io la vedo a senso unico. L'orrore regna per tutto il film, ma la narrazione godibile del regista lo fa sembrare del tutto grottesco, ma credo che sia voluto. Attori molto espressivi e ben calzanti con i personaggi, ho creduto per tutto il film di essere in quel periodo, ma la triste realtà è che non è cambiato nulla in questo porco mondo, come sono i porci perfno gli sbirri. Musiche di tutto rispetto e ricostruzioni rispetto al libro del tutto attinenti. Grazie per essere ritornato
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michelino
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martedì 23 ottobre 2018
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michelino va al cinema
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Che dire? un buon film, anche se da uno come Spike lee ci si potrebbe aspettare di meglio nonostante qualche ultima sua prova poco convincente.
In ogni caso da questo film, qua e là qualche sprizzo d'autorialità salta fuori dallo schermo.
Peccato però che la sceneggiatura sembra anche dover rispondere a delle logiche di puro mercato.
Comunque sia, se i film cosi detti commerciali fossero tutti come questo io ci metterei la firma.
Notevole e commovente il cameo di Harry Belafonte.
Scioccante il finale documentaristico.
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Che dire? un buon film, anche se da uno come Spike lee ci si potrebbe aspettare di meglio nonostante qualche ultima sua prova poco convincente.
In ogni caso da questo film, qua e là qualche sprizzo d'autorialità salta fuori dallo schermo.
Peccato però che la sceneggiatura sembra anche dover rispondere a delle logiche di puro mercato.
Comunque sia, se i film cosi detti commerciali fossero tutti come questo io ci metterei la firma.
Notevole e commovente il cameo di Harry Belafonte.
Scioccante il finale documentaristico.
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