udiego
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sabato 9 dicembre 2017
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benvenuti a suburbicon
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Suburbicon è una ridente e felice cittadina americana degli anni 60. La sua apparente tranquillità viene messa in crisi quando una famiglia di colore, i Meyers, si trasferisce proprio al centro della città. L'intera comunità si agita e si adopera con ogni mezzo per cacciare questi nuovi individui poco graditi, ma nel frattempo proprio a fianco alla villetta dei Meyers, nella casa dei Lodge si consuma un tanto inquietante quanto insolito delitto.
George Clooney, alla sua sesta opera dietro la macchina da presa, porta al cinema la trasposizione cinematografica di una sceneggiatura dei fratelli Coen.
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Suburbicon è una ridente e felice cittadina americana degli anni 60. La sua apparente tranquillità viene messa in crisi quando una famiglia di colore, i Meyers, si trasferisce proprio al centro della città. L'intera comunità si agita e si adopera con ogni mezzo per cacciare questi nuovi individui poco graditi, ma nel frattempo proprio a fianco alla villetta dei Meyers, nella casa dei Lodge si consuma un tanto inquietante quanto insolito delitto.
George Clooney, alla sua sesta opera dietro la macchina da presa, porta al cinema la trasposizione cinematografica di una sceneggiatura dei fratelli Coen. Sullo sfondo la storia di un'America istericamente impaurita dell'arrivo di un nemico che viene da fuori e non pronta al cambiamento ed all’integrazione. In primo piano le vicende di una normale famiglia americana, capace di qualsiasi cosa pur di arrivare al denaro ed alla ricchezza. Il connubio Clooney-fratelli Coen, possiamo dirlo, è ben riuscito. La sceneggiatura e la rappresentazione della vicenda sono ben integrate, ed il film prende una strada ed ha una sua coerenza per tutta la durata. L'opera è intrisa di noir, con tutte le caratteristiche che si richiedono in un film del genere. I personaggi son ben strutturati, ed ognuno di loro ha un certo fascino nella sua drammatica comicità. Il regista non perde mai di vista il messaggio che il film vuole trasmettere e riesce a rappresentarlo grazie ad un lavoro di stile corale efficace e ben costruito. La fotografia è forse il punto di forza dell'opera, mentre nel ritmo narrativo possiamo trovare qualche difetto. I Coen ci propongono uno script tagliante come loro sanno fare, e Clooney ha la capacità di raccoglierlo, farlo suo e svilupparne le caratteristiche. Suburbicon, per concludere, è un’opera gradevole, a tratti divertente ed in grado di trasmettere un messaggio, sì semplice, ma che non deve essere sottovalutato.
Voto: 3,5/5
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lbavassano
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venerdì 8 dicembre 2017
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coen-clooney: ottimo sodalizio
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Si sente molto la mano dei Coen nel film di George Clooney, a conferma ulteriore di un ottimo sodalizio. Nella storia, ovviamente, quali autori della sceneggiatura, nel saper miscelare il noir più nero con quei dettagli surreali che dei Coen sono un marchio di fabbrica, con effetti ironicamente stranianti pur nella tragedia più cupa, pur nell'eccesso di sangue. Nella cura e nello stile delle immagini quindi, tanto corrette quale ambientazione quanto iperrealistiche, volutamente eccessive, ma anche nei personaggi spinti al grottesco. Nell'impronta recitativa mai scontata. Si sente molto la cultura cinematografica, fra Hitchcock ed il Kubrick di "The Shining" nelle scene di suspense, mentre l'inizio ricorda "The Truman show".
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Si sente molto la mano dei Coen nel film di George Clooney, a conferma ulteriore di un ottimo sodalizio. Nella storia, ovviamente, quali autori della sceneggiatura, nel saper miscelare il noir più nero con quei dettagli surreali che dei Coen sono un marchio di fabbrica, con effetti ironicamente stranianti pur nella tragedia più cupa, pur nell'eccesso di sangue. Nella cura e nello stile delle immagini quindi, tanto corrette quale ambientazione quanto iperrealistiche, volutamente eccessive, ma anche nei personaggi spinti al grottesco. Nell'impronta recitativa mai scontata. Si sente molto la cultura cinematografica, fra Hitchcock ed il Kubrick di "The Shining" nelle scene di suspense, mentre l'inizio ricorda "The Truman show". Stona forse però l'aver voluto affiancare alla vicenda principale il tema della violenza razzista, che ci sta tutto dal punto di vista della collocazione storica e sociale, ma un po' troppo esplicitamente didascalico nella contrapposizione politicamente corretta. Cast d'eccellenza ed eccellenti "tecnici".
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carloalberto
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giovedì 7 dicembre 2017
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piccolo capolavoro dei coen.
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Non so quanto conti la regia di Clooney in un film la cui sceneggiatura porta la firma dei fratelli Coen, e si vede. Le atmosfere ed i colori pastello ricordano un film del 2002, “Lontano dal paradiso”, ambientato sempre nell’America degli anni 50, asfittica, perbenista, conformista e razzista, con protagonista Julianne Moore. In questo film ancora la Moore, questa volta interprete di due gemelle, è protagonista doppia, affiancata da Matt Damon, nel ritrarre metaforicamente la doppiezza di una società tristemente appiattita e omologata nel sogno americano della schiera di villette col giardino sul retro, tutte uguali come le stie di un grande allevamento di galline. In una catarsi di sangue e violenza gratuita originata dal dio danaro, che muove le marionette farsesche della filmografia dei fratelli Coen da “Il grande Lebowski” a “Non è un paese per vecchi”, i bambini salvano il mondo e danno un senso alla vita o perlomeno alla storia che si vuol narrare, col baseball vanno oltre le staccionate del giardino sul retro rompendo lo schema delle linee geometricamente perfette di Suburbicon, ignorando che altre staccionate come muri cresceranno a livello globale incanalando frustrazioni e rabbia verso il vicino “diverso” di turno affinchè la “produzione” continui indisturbata.
[+] l’america di suburbicon non è un paese per bambini
(di antoniomontefalcone)
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eccome!
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giovedì 7 dicembre 2017
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tragedia greca, in salsa anni '50
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Evitabile.
Non giustificato l'accanimento contro i veri deboli (il bambino) e i finti deboli (la famiglia di neri), tanto più che al primo viene consegnata la pena, immeritata, peggiore. Inutile accanimento.
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eugenio
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sabato 2 dicembre 2017
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l'anima nera della middle-class americana
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Le premesse c’erano e tutte di qualità: una sceneggiatura dei fratelli Cohen dallo spirito sardonico e acuto nel delineare la crisi e l’ipocrisia della middle-class americana, la presenza di attori capaci protagonisti di altre famose pellicole oramai di culto (Burn after reading o la trilogia di Jason Bourne), Matt Damon, Julianne Moore (Cake) e la regia di un attore impegnato nel sociale, George Clooney; eppure, nonostante le promettenti intenzioni, Suburbicon non decolla.
Siamo nel 1959 in un distretto di provincia americana dove tutto scorre placido e senza apparenti anomalie. Saldamente avvinta è la bandiera a stelle e strisce, sorridenti sono le mogliettine in trepidante attesa dei mariti al ritorno dal lavoro.
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Le premesse c’erano e tutte di qualità: una sceneggiatura dei fratelli Cohen dallo spirito sardonico e acuto nel delineare la crisi e l’ipocrisia della middle-class americana, la presenza di attori capaci protagonisti di altre famose pellicole oramai di culto (Burn after reading o la trilogia di Jason Bourne), Matt Damon, Julianne Moore (Cake) e la regia di un attore impegnato nel sociale, George Clooney; eppure, nonostante le promettenti intenzioni, Suburbicon non decolla.
Siamo nel 1959 in un distretto di provincia americana dove tutto scorre placido e senza apparenti anomalie. Saldamente avvinta è la bandiera a stelle e strisce, sorridenti sono le mogliettine in trepidante attesa dei mariti al ritorno dal lavoro.
La quiete dura poco: l’arrivo di una famiglia di colore scuote gli animi della borghese quanto marcia xenofoba comunità. Non solo: in sordina, mentre la popolazione è impegnata nell’ ”assedio” allo straniero, denotato dal colore diverso della pelle, due balordi, penetrano nottetempo in casa dei Lodge, stordiscono col cloroformio i membri della famiglia, il marito Gardner (Matt Damon), il figlio Nicky e la sorella gemella di Rose, Margaret (sempre Julianne Moore) e maldestramente uccidono la moglie di Gordon, Rose, paralizzata su una sedia a rotelle .
Sarà l’inizio di un massacro e di un’escalation di violenza in cui nulla è realmente ciò che sembra.
E’ un “western”, quasi urbano Suburbicon, per ambienti e caratterizzazioni: un film che si sottrae ai canoni dominanti nel tratteggiare un percorso di crescita, quello del figlio Nicky, asettico e quasi atarassico eppure capace di grande tolleranza nonostante le “condizioni a contorno”. Suburbicon racconta di luoghi e personaggi aspri e politicamente scorretti, con una descrizione inquietante di una situazione sociale e politica assolutamente squallida e senza uscita.
Il razzismo come piaga è solo però il contorno, il pretesto utilizzato da Clooney per svelare una realtà che nasconde la propria anima nera (sic) dietro la nobile facciata di rispettabilità incravattata. Lo sguardo surreale e grottesco, a tratti grand-guignollesco dei fratelli Cohen di cui Clooney rielabora lo script , è il tramite mediante il quale la paura del diverso e la sete soprattutto di denaro che muove ogni ambizione umana, si palesano con un impatto tale da sacrificare le vite “più deboli”.
Nella “carrellata” di personaggi che il regista non indugia a ritrarre nelle loro grette mansioni, si delinea con ruvida e laconica intensità la storia di un paese incapace di riconoscere degnamente il suo mondo, che sente l'odore di cambiamenti ai quali non riesce mai ad adeguarsi, che trascina il peso dei suoi errori tenendo sempre la schiena dritta sacrificando ogni cosa che possa impedire il pieno soddisfacimento degli obiettivi, quelli meramente materiali.
Solo l’innocenza di un bambino, seppur emblema dell’anti-emozione per eccellenza, un bambino che ingloba odio e intolleranza guardando con occhi spenti la sua famiglia e la comunità che lo circonda, per converso apprende il significato della parola tolleranza, col semplice gioco a baseball col suo coetaneo “nero”.
Sembra quasi la pubblicità di un noto biscotto “bianco e nero” condito con una sottile propaganda elettorale, questo Suburbicon, un inno di repressione violenta per dire no alla xenofobia, un messaggio anti-trampista, condito da un po’ di sano humour nero dei Cohen da cui purtroppo la regia di Clooney rigididamente ancorata nei divertiti giochi lineari senza un personale valore aggiunto.
Compitino.
Nelle sale dal 6 dicembre.
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peergynt
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lunedì 4 settembre 2017
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un noir grottesco che infastidisce
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Cos'è il grottesco? Il Vocabolario Treccani ci chiarisce il concetto: è qualcosa di bizzarramente deforme, qualcosa che è goffo, paradossale, innaturale e che muove il riso pur senza rallegrare; e in letteratura è uno degli aspetti del comico, "che nasce da uno squilibrio, da una sproporzione voluta fra gli elementi rappresentativi". In questa definizione è ben tratteggiato tutto l'ultimo film dei fratelli Coen, di cui Clooney ha curato la regia (oltre ad essere co-sceneggiatore e co-produttore). La vicenda narrata è deforme e innaturale, i personaggi sono esagerati (nella crudeltà, nell'imbecillità) fino al fastidio, la location è il risultato di un esasperato squilibrio fra il luogo più bello e pacifico esistente (il paese di Suburbicon appunto) e i suoi abitanti, un covo di serpenti velenosi e distruttivi, vero minimondo di bianchi anglosassoni razzisti e ipocriti.
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Cos'è il grottesco? Il Vocabolario Treccani ci chiarisce il concetto: è qualcosa di bizzarramente deforme, qualcosa che è goffo, paradossale, innaturale e che muove il riso pur senza rallegrare; e in letteratura è uno degli aspetti del comico, "che nasce da uno squilibrio, da una sproporzione voluta fra gli elementi rappresentativi". In questa definizione è ben tratteggiato tutto l'ultimo film dei fratelli Coen, di cui Clooney ha curato la regia (oltre ad essere co-sceneggiatore e co-produttore). La vicenda narrata è deforme e innaturale, i personaggi sono esagerati (nella crudeltà, nell'imbecillità) fino al fastidio, la location è il risultato di un esasperato squilibrio fra il luogo più bello e pacifico esistente (il paese di Suburbicon appunto) e i suoi abitanti, un covo di serpenti velenosi e distruttivi, vero minimondo di bianchi anglosassoni razzisti e ipocriti. Parlare di duro affresco della società americana perbenista oppure di critica dissacrante all'istituzione familiare borghese mi sembra dare una patina di intellettualità ad un giochetto (nemmeno tanto riuscito) di parodizzazione del cinema e dei suoi generi (primo fra tutti il noir anni Quaranta, a seguire il melodramma di Douglas Sirk), che è da sempre una delle manie dei fratelli Coen, cinefili quant'altri mai. In fin dei conti, è un film che non diverte e non angoscia, malgrado i temi scottanti che tira in ballo: e riesce solo a infastidire!
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