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tonimais
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martedì 9 gennaio 2018
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diciotto confessioni...per nulla
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Si è più volte detto che un 'arma è di per sè neutra , è l'uso che se ne fa a renderla uno strumento d'offesa o di difesa. Sta di fatto che se ne circolassero meno non avremmo così tanti ammazzati o feriti da arma da fuoco. La religione nasce per sua natura per tentare d'offrire un senso ai problemi dell'esistenza e un sostegno psicologico in momenti gravi e delicati della vita ma è sempre in nome di Dio si commettono le più assurde atrocità: in Libano albergano diciotto confessioni dagli islamici sunniti o sciiti ai cristiani maroniti ai drusi etc etc. E' l'unico paese ,non interamente islamico, dove le campane delle chiese cristiane si confondono con i versi del muezzin.
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Si è più volte detto che un 'arma è di per sè neutra , è l'uso che se ne fa a renderla uno strumento d'offesa o di difesa. Sta di fatto che se ne circolassero meno non avremmo così tanti ammazzati o feriti da arma da fuoco. La religione nasce per sua natura per tentare d'offrire un senso ai problemi dell'esistenza e un sostegno psicologico in momenti gravi e delicati della vita ma è sempre in nome di Dio si commettono le più assurde atrocità: in Libano albergano diciotto confessioni dagli islamici sunniti o sciiti ai cristiani maroniti ai drusi etc etc. E' l'unico paese ,non interamente islamico, dove le campane delle chiese cristiane si confondono con i versi del muezzin. Ma anche in questo caso la religione non assolve pienamente al suo compito e, vien da dire , che se vi fossero credenti più tiepidi i si vivrebbe meglio : nessuno approfondisce la propria fede e tutti trovano giustificazione del loro credo nel contrastare quello altrui . Ma la soluzione al problema è dietro l'angolo e neppure a farlo apposta prevale su tutto. La natura umana ,la più limpida ,la meno traviata da tante erronee convinzioni prevale : l'uomo è fratello dell'uomo , ha lo stesso sentire, ha lo stesso destino , la stessa storia, la stessa pelle e se ne accorge proprio nel momento in cui tutti sostengo il contrario : giudici, avvocati, politici,pubblico... Il muro cade e ciascuno dei due contendenti riacquista la propria vita .
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emanuele1968
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sabato 6 gennaio 2018
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fa riflettere
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Mi ricordava un po quei Talk show di politica oppure di carettere giudiziario che si vedono in TV. In alcuni momenti si faceva un po pesantino, pero bello, certo che di cose ha norma ce ne stanno li da sistemare, altro che un tubo, bello quando dice di mescolare la pittura. Alla fine del film il pubblico soddisfatto ed un certo brusio in sala, molte analogie con la vita quotidiana.
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zarar
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venerdì 29 dicembre 2017
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parole come pietre
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Libano, oggi. Cristiani maroniti, musulmani, profughi palestinesi convivono in un clima di tensione estrema in un contesto politico precario e agitato. Alle spalle una lunga storia di conflitti sanguinosi, a partire dalla guerra civile che dal 1975 al ’78 e poi dal 1982 al 1990 devastò il paese, coinvolto direttamente nel conflitto tra i palestinesi dell’OLP e lo Stato di Israele. Dai pesanti strascichi di questa guerra nacque poi l’occupazione siriana alla fine degli anni ottanta, il conflitto tra sunniti e sciiti e ancora la guerra del 2006 con Israele… Un paese senza pace da quarant’anni. Il film mette di fronte Tony, un meccanico cristiano maronita e Yasser, un ingegnere palestinese, quest’ultimo costretto come profugo a guadagnarsi da vivere come semplice capocantiere.
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Libano, oggi. Cristiani maroniti, musulmani, profughi palestinesi convivono in un clima di tensione estrema in un contesto politico precario e agitato. Alle spalle una lunga storia di conflitti sanguinosi, a partire dalla guerra civile che dal 1975 al ’78 e poi dal 1982 al 1990 devastò il paese, coinvolto direttamente nel conflitto tra i palestinesi dell’OLP e lo Stato di Israele. Dai pesanti strascichi di questa guerra nacque poi l’occupazione siriana alla fine degli anni ottanta, il conflitto tra sunniti e sciiti e ancora la guerra del 2006 con Israele… Un paese senza pace da quarant’anni. Il film mette di fronte Tony, un meccanico cristiano maronita e Yasser, un ingegnere palestinese, quest’ultimo costretto come profugo a guadagnarsi da vivere come semplice capocantiere. Per un’inezia, scoppia un diverbio tra i due e Yasser si lascia sfuggire un insulto diretto a Tony (che è chiaramente nel torto). Il film è la storia di come questo banale scontro tra due uomini che sono in fondo brave persone si gonfi a dismisura sotto la pressione di drammatiche storie personali e di un ambiente in cui tutto è pretesto per rinfocolare diffidenze, odi, strumentalizzazioni politiche e tutti hanno torto e tutti hanno ragione, perché non c’è ‘partito’ che non abbia inferto ad altri e patito violenza a sua volta. Richieste di scuse, rifiuto di darle, nuove provocazioni verbali (parole come pietre…), scazzottate, processi, confronti tra avvocati, magistrati e politici, brutale messa in causa dei drammi privati dei contendenti, autorevoli quanto vani tentativi di far loro “voltare pagina” si succedono in un crescendo che ad un certo punto straripa, passando completamente sopra la testa dei due protagonisti. La parte più interessante di questa storia abilmente sceneggiata è che in questo percorso, che potrebbe definitivamente distruggere i due contendenti, Yasser e Tony ad un certo punto si staccano psicologicamente dalla loro contesa, cominciano a vederla dal di fuori, non si fanno travolgere, ma la usano ciascuno per un processo di autocoscienza, e – pur mantenendo esteriormente le rispettive posizioni - arrivano in un loro modo privato e nascosto a liberarsi dei loro fantasmi, a capirsi e a pareggiare i conti tra di loro, quasi senza parole questa volta, da uomo a uomo. Dunque c’è una speranza, se puoi arrivare a riconoscere l’uomo nel tuo avversario. Questo approccio dà al film un tono particolare. Catturati dal confronto tra due attori di ottimo livello, Adel Karam e Kamel El-Basha, rispettivamente Tony e Yasser in lotta tra loro e con se stessi, passiamo sopra un certo schematismo a tesi nella rappresentazione dell’ambiente politico-sociale, una visione non del tutto credibile del contesto giudiziario, un procedere un po’ troppo a scatti della macchina da presa. Tre stelle e mezzo.
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blufont
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giovedì 28 dicembre 2017
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così diversi... così uguali.
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Due uomini, due religioni, due culture, due generazioni, due caratteri, che si tollerano finché un banale episodio non accende la miccia dell'odio. Odio che, si capirà, non ha nulla di personale e trascende perfino l'orgoglio, ma affonda le radici in un passato di soprusi e dolore, di esilio e di violenze in cui è difficile capire chi sia la vittima e chi il carnefice. Nell'opporsi, in modo involontariamente sempre più mediatico e pubblico, in un processo che esce dal tribunale per coinvolgere gruppi di estremisti per le strade e perfino il presidente, i due contendenti si scoprono in fondo aver vissuto esperienze simili, avere le stesse reazioni, la stessa emotività, le stesse ferite, la stessa umanità.
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Due uomini, due religioni, due culture, due generazioni, due caratteri, che si tollerano finché un banale episodio non accende la miccia dell'odio. Odio che, si capirà, non ha nulla di personale e trascende perfino l'orgoglio, ma affonda le radici in un passato di soprusi e dolore, di esilio e di violenze in cui è difficile capire chi sia la vittima e chi il carnefice. Nell'opporsi, in modo involontariamente sempre più mediatico e pubblico, in un processo che esce dal tribunale per coinvolgere gruppi di estremisti per le strade e perfino il presidente, i due contendenti si scoprono in fondo aver vissuto esperienze simili, avere le stesse reazioni, la stessa emotività, le stesse ferite, la stessa umanità. La grandezza del film risiede proprio nel mantenere l'equilibrio (fino all'ultimo lo spettatore avrà difficoltà nel decidere da che parte stare) e nel non cadere in facili buonismi o retoriche, grazie ad una sceneggiatura grandiosa e ad un ritmo ascendente (tranne un pericoloso rallentamento verso i 2/3 che viene però presto superato dalla storia), che racconta l'escalation dei fatti, fuori dal controllo degli stessi protagonisti, senza perdere mai il realismo nei fatti e nelle emozioni. Che in Libano sia già campione di incassi è un'ottima notizia, chissà segno della volontà di tanti di superare differenze che poi, di fondo, si rivelano essere in gran parte retaggio di un passato travagliato.
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mauro2067
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lunedì 18 dicembre 2017
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guardare oltre
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La storia di una banale lite che inizia da un tubo, passa attraverso qualche parola di troppo, sfocia in un'aggressione fisica e finisce, inevitabilmente, in tribunale. Ne succedono a milioni ogni giorno in ogni angolo del mondo, sfamano gli avvocati. Ma nel film i due contendenti sono uno palestinese rifugiato e l'altro libanese cattolico e siamo a Beirut. E così la lite viene cavalcata dai media, dalla gente che vive in città, dagli stessi avvocati che vorrebbero trasformare i due protagonisti nell'emblema dei rispettivi popoli.
Solo i due uomini non vogliono questo, non ci si riconoscono ed anzi, durante il processo, si scoprono più simili di quanto credessero arrivando anche a rispettarsi.
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La storia di una banale lite che inizia da un tubo, passa attraverso qualche parola di troppo, sfocia in un'aggressione fisica e finisce, inevitabilmente, in tribunale. Ne succedono a milioni ogni giorno in ogni angolo del mondo, sfamano gli avvocati. Ma nel film i due contendenti sono uno palestinese rifugiato e l'altro libanese cattolico e siamo a Beirut. E così la lite viene cavalcata dai media, dalla gente che vive in città, dagli stessi avvocati che vorrebbero trasformare i due protagonisti nell'emblema dei rispettivi popoli.
Solo i due uomini non vogliono questo, non ci si riconoscono ed anzi, durante il processo, si scoprono più simili di quanto credessero arrivando anche a rispettarsi.
Sarà questo rispetto a portarli alla soluzione della controversia, una soluzione personale, privata, da uomini, lontana da telecamere, microfoni e tribunali.
Due uomini che alla fine riescono ad andare oltre la razza, la religione e la politica, concenzioni e convinzioni queste che spesso, molto spesso, appannano il nostro metro di giudizio.
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lapo10
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giovedì 14 dicembre 2017
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l'inimicizia tra due popoli
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Mi perdoni Israel Zangwill (lui drammaturgo ebreo, inglese e sionista, per giunta) per la divertita insolenza di utilizzare un termine da lui coniato nel 1908 nella sua opera omonima, per classificare la nuova fatica del regista libanese Ziad Doueiri. Già, perché mi viene naturale definire "L'insulto" come un'opera "Melting Pop", peraltro in salsa mediorientale. Un po' perché Doueiri, come Zangwill prima di lui, scrive, speranzoso, di un ideale società senza divisioni religiose e culturali, un po' per la diversa estrazione sociale dei due protagonisti del film, l'uno, Tony Hanna (Adel Karam), libanese e cristiano, l'altro, Yasser Salameh (Kamel El Basha), palestinese e musulmano. Ma questo crogiolo è anche artistico, basta focalizzare l'attenzione sul poliedrico regista e le sue precedenti esperienze personali.
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Mi perdoni Israel Zangwill (lui drammaturgo ebreo, inglese e sionista, per giunta) per la divertita insolenza di utilizzare un termine da lui coniato nel 1908 nella sua opera omonima, per classificare la nuova fatica del regista libanese Ziad Doueiri. Già, perché mi viene naturale definire "L'insulto" come un'opera "Melting Pop", peraltro in salsa mediorientale. Un po' perché Doueiri, come Zangwill prima di lui, scrive, speranzoso, di un ideale società senza divisioni religiose e culturali, un po' per la diversa estrazione sociale dei due protagonisti del film, l'uno, Tony Hanna (Adel Karam), libanese e cristiano, l'altro, Yasser Salameh (Kamel El Basha), palestinese e musulmano. Ma questo crogiolo è anche artistico, basta focalizzare l'attenzione sul poliedrico regista e le sue precedenti esperienze personali. Studente negli States, assistente di Quentin Tarantino, passaporto francese, film ambientati in diversi luoghi: "West Beyrut" e 'l'Insulto" in Libano, "Lila dice" in Francia, "the Attack" in Israele. Tutti questi influssi convergono all'interno del film che prende le mosse da un alterco tra i due uomini che si accusano per una parola di troppo uscita dalla bocca del palestinese arrabbiato per una scorrettezza commessa dal libanese. L'insulto, per l'appunto, potrebbe essere sanato in fretta se non fosse per il testardo orgoglio di entrambe le parti a non retrocedere di un passo in vista di un salutare accomodamento. I due uomini finiscono, invece, in tribunale, per redimere le proprie questioni e si trovano invischiati in una paradossale situazione che chiedeva solo un po' di buon senso per essere risolta. Il vortice mediatico che si crea intorno al loro caso porterà dissesti familiari e sociali imprevisti. Doueri inizia da un fattaccio privato per raccontare la parabola di due popoli in crisi: quello palestinese che vive senza diritto alcuno nei campi, e quello libanese (in particolare la sponda cristiana ormai ridotta a minoranza) che mal tollera la situazione geo-politica, i profughi e lo stato di Israele. Il film ha il pregio (notevole) di far conoscere ad un distratto Occidente quanto succede all'ombra del "cedrus libani" e quali siano le problematiche che affliggono uno dei paesi arabi più moderni e con la minoranza cristiana più elevata. Il Libano ha la sfortuna di trovarsi al centro della zona più instabile del globo. La guerra di Siria a nord- Est, e l'irrisolta questione ebraico-palestinese a sud sono conflitti ancora aperti, come tutti sanno. Invece, 15 anni di guerra civile (1975-1990) causati dalle divergenze politiche tra cristiani e musulmani e dalle indesiderate attenzioni di Siria, Israele, Olp ed Iran hanno lasciato il segno su una popolazione che non riesce ancora a metabolizzare la strage di maroniti a Damour ed il massacro di palestinesi a Sabra e Shatila. Il racconto di Doueiri si abbevera di queste tensioni geo-politiche, che i due protagonisti incarnano alla perfezione, specialmente nel personaggio interpretato da Karam che mantiene, fin quasi la fine, un atteggiamento irriducibile, iracondo e per niente accomodante, mitigato solo in parte dal ruolo materno e ammonitore della moglie (Rita Hayek). Il difetto (che può essere ribaltato a seconda dei punti di vista) che sminuisce l'ottimo lavoro di Doueiri è lo spasmodico ricorso agli stilemi del cinema occidente (americano) come l'eccessivo peso e spettacolarizzazione del processo che sembra declassare il film a legal-movie e le caraterizzazioni dei personaggi femminili (un po' troppo in linea con le nostre esigenze di emancipazione della donna, che non sembrano troppo credibili per il contesto). Attrici troppo belle e troppo bionde, un atteggiamento forse troppo bonario verso i palestinesi, ed il ricorso al "genere" sono comunque licenze "commerciali" che si possono perdonare in un'opera pensata per le giovani generazioni libanesi desiderose di riconciliazione e per un pubblico occidentale poco incline a mettere il naso fuori dal giardino di casa ed occuparsi delle questioni altrui. Israel Zangwill, credo, approverebbe lo sforzo e l'impegno civile di Ziad Doueiri
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michelino
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giovedì 14 dicembre 2017
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michelino va al cinema
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Siete mai stati a Beirut?
Michelino non c'è mai stato
Michelino sa veramente poco di Beirut e quasi niente del Libano
Michelino è andato a vedere questo film
Ora a Michelino è rimasta qualche bella immagine delle strade di Beirut
Ora Michelino ha in testa pure qualche informazione in più sul Libano
Ma la cosa più importante è stata quella di potersi fare qualche idea
sui rapporti quotidiani tra Libanesi e Palestinesi
Basta questo per far dire a Michelino che il film meritava di essere visto
Da un punto di vista morale nel film viene detta una frase
che racchiude benissimo in se il senso di questa storia
La frase non la ricordo tanto bene
Ma dice più o meno che troppo spesso una persona che soffre
ha un alta considerazione della propria sofferenza
ma tende a negare quella degli altri
No.
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Siete mai stati a Beirut?
Michelino non c'è mai stato
Michelino sa veramente poco di Beirut e quasi niente del Libano
Michelino è andato a vedere questo film
Ora a Michelino è rimasta qualche bella immagine delle strade di Beirut
Ora Michelino ha in testa pure qualche informazione in più sul Libano
Ma la cosa più importante è stata quella di potersi fare qualche idea
sui rapporti quotidiani tra Libanesi e Palestinesi
Basta questo per far dire a Michelino che il film meritava di essere visto
Da un punto di vista morale nel film viene detta una frase
che racchiude benissimo in se il senso di questa storia
La frase non la ricordo tanto bene
Ma dice più o meno che troppo spesso una persona che soffre
ha un alta considerazione della propria sofferenza
ma tende a negare quella degli altri
No...non era esattamente così...nel film è detta bene
ma ora non mi viene
Ragazzi... che sofferenza la scarsa memoria!
Comunque almeno una nota negativa il film se la merita
La pecca peggiore è nella sceneggiatura
Non dico che non funziona
A tratti è anche divertente e non priva di spunti notevoli
Il problema è che forse è un po troppo sopra le righe
Esagerata!
Pensate che il tubo di scarico dell'acqua di un balcone diventa un affare di stato
Non potevano inventarsi qualcosa di più verosimile?
Peccato...
Comunque è un buon film e almeno una visione la merita
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michelecamero
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mercoledì 13 dicembre 2017
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film bellissimo. da oscar
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Film libanese bellissimo che ritengo andrà ad Oscar per il miglior film straniero, che pone all’attenzione la doppia tragedia dei palestinesi profughi in terra straniera ove non sono voluti e di quei popoli che, ospitandoli contro voglia, hanno visto mutare in peggio le proprie condizioni di vita, avendo importato insieme ai profughi, la guerra e le sue drammatiche vicende. La storia ci racconta come certe fratture dell’animo umano sono difficili a rimarginarsi, alimentandosi di continuo con il rancore, l’insofferenza verso il nemico o comunque considerato tale, fino al punto, dinanzi alla incapacità di una presa di coscienza collettiva che consenta finalmente di fare i conti con la storia, di cercare attraverso un pretesto futile e banale, una vendetta personale, individuale ad una tragedia collettiva e familiare mai rimossa.
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Film libanese bellissimo che ritengo andrà ad Oscar per il miglior film straniero, che pone all’attenzione la doppia tragedia dei palestinesi profughi in terra straniera ove non sono voluti e di quei popoli che, ospitandoli contro voglia, hanno visto mutare in peggio le proprie condizioni di vita, avendo importato insieme ai profughi, la guerra e le sue drammatiche vicende. La storia ci racconta come certe fratture dell’animo umano sono difficili a rimarginarsi, alimentandosi di continuo con il rancore, l’insofferenza verso il nemico o comunque considerato tale, fino al punto, dinanzi alla incapacità di una presa di coscienza collettiva che consenta finalmente di fare i conti con la storia, di cercare attraverso un pretesto futile e banale, una vendetta personale, individuale ad una tragedia collettiva e familiare mai rimossa. Una tragedia che è rimasta negli occhi, nella mente, ma soprattutto che ha inciso in quello che si è diventati, coltivando l’odio, rinfocolato di continuo dalla propaganda dei cattivi maestri, che rende ciechi al punto da non rendersi conto che per una presunta questione di principio, si finisce col mettere a rischio se stessi, la propria famiglia, il proprio lavoro. E che la questione da individuale, finisca col coinvolgere tutto un popolo, andando a cadere su fasci di nervi scoperti da anni di difficile e non voluta convivenza, lo dimostra la partecipazione massiccia che ben presto verrà assegnata, da entrambe le fazioni e dai media, alle fasi del processo che diverrà mediatico e spettacolare con colpi di scena ripetuti perché, grazie al diverso, ma anche simile, atteggiamento dei due avvocati, padre e figlia, coinvolgerà un popolo, un Paese continuamente esposto a vedersi sfuggire quel precario equilibrio sociale che fa il miracolo di continuare ancora a tenerlo insieme. Da vedere assolutamente. Il film era stato presentato a Venezia dove però non ha ottenuto quanto meritasse. In questo Cannes, dove non vince mai un film banale, è diversa.
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flyanto
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lunedì 11 dicembre 2017
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una questione non più tanto privata
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Da un banale litigio tra due individui che comporta un brutto termine rivolto da uno all'altro, si scatena una sorta di diatriba di una portata esagerata che coinvolgerà ben presto l'intera nazione libanese in un conflitto tra cristiani e palestinesi. Finito il caso in tribunale, i due schieramenti combatteranno legalmente affinché prevalga la ragione di ognuno. Questa, in breve, la vicenda dell' "L'Insulto".
Premiato quest'anno all'ultima Mostra del Cinema a Venezia come miglior film, l'opera del regista Ziad Doueiri effettivamente merita ampiamente questo riconoscimento in quanto molto ben diretta, ben interpretata e ben presentata l'intera storia.
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Da un banale litigio tra due individui che comporta un brutto termine rivolto da uno all'altro, si scatena una sorta di diatriba di una portata esagerata che coinvolgerà ben presto l'intera nazione libanese in un conflitto tra cristiani e palestinesi. Finito il caso in tribunale, i due schieramenti combatteranno legalmente affinché prevalga la ragione di ognuno. Questa, in breve, la vicenda dell' "L'Insulto".
Premiato quest'anno all'ultima Mostra del Cinema a Venezia come miglior film, l'opera del regista Ziad Doueiri effettivamente merita ampiamente questo riconoscimento in quanto molto ben diretta, ben interpretata e ben presentata l'intera storia. Con una regia lucida, precisa, e ben scandita, Doueiri passa con naturalezza dalla dimensione privata a quella più estesa coinvolgente la causa nazionale tanto dibattuta tra cristiani e palestinesi residenti in Libano. Le violenze subite, i rancori ancora vivi e l'intolleranza tra i due schieramenti vi sono ben descritti rendendo accese le incomprensioni e la mancanza di volontà a cooperare o venirsi incontro. L'orgoglio è profondo e quasi detta legge e ciò, purtroppo, costituisce una pagina vera di una realtà cruda e ben radicata all'interno di un paese come il LIbano, ma il discorso è sicuramente estendibile anche ad altre nazioni.
Perfetto, coinvolgente e pertanto, del tutto consigliabile.
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danielamontanari
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domenica 10 dicembre 2017
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l'insulto primario è quello rivolto a noi stessi
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Il regista libanese Ziad Doueiri ci accompagna in una Beirut in ricostruzione. Almeno per quanto riguarda strade, palazzi e quartieri. Per gli animi dei suoi abitanti no, ci vuole ancora tempo.
In una Beirut contemporanea, Toni Hanna è un sanguigno meccanico che durante il tempo libero, seppur poco, milita nel partito di destra cristiana. Yasser è un capocantiere tacituro, apparentemente, e vive la condizione di profugo palestinese come una sfida. E' per questo che nulla più di un tubo rotto li mette uno di fronte all'altro: l'insulto. L'insulto che li attende, li provoca e li mette davanti al medesimo vissuto dell'essere invasi, della guerra civile, della resa, e del fatto, soprattutto, che nessuno dimentica ciò che li ha costretti a vivere lontano da dove vorrebbero.
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Il regista libanese Ziad Doueiri ci accompagna in una Beirut in ricostruzione. Almeno per quanto riguarda strade, palazzi e quartieri. Per gli animi dei suoi abitanti no, ci vuole ancora tempo.
In una Beirut contemporanea, Toni Hanna è un sanguigno meccanico che durante il tempo libero, seppur poco, milita nel partito di destra cristiana. Yasser è un capocantiere tacituro, apparentemente, e vive la condizione di profugo palestinese come una sfida. E' per questo che nulla più di un tubo rotto li mette uno di fronte all'altro: l'insulto. L'insulto che li attende, li provoca e li mette davanti al medesimo vissuto dell'essere invasi, della guerra civile, della resa, e del fatto, soprattutto, che nessuno dimentica ciò che li ha costretti a vivere lontano da dove vorrebbero.
La regia è meticolosa e nitida, i primi piani primordiali in un quasi bianco nero di un'ora qualsiasi del giorno.
Di una Beirut bianca e diroccata si percepiscono l'incompiutezza, come orfana della guerra civile ma anche la voglia di rinascita, di dimenticare.
Nell'avvicendarsi dell'insulto e nella difesa dal medesimo, Toni e Yasser conducono una lotta armata di parole e pugni sferzati all'addome, dove risiede il nostro centro di equilibrio. A volte cade l'uno, e tutte le prove con le quali si sta difendendo, e talvolta cade l'altro, con arringa inconfutabile al seguito.
Dopo la coraggiosa presentazione del suo film a Venezia (Premio Coppa Volpi migliore interpretazione maschile dell'attore che interpreta Yasser) il regista in ritorno nel Libano viene arrestato.
E' stato successivamente scarcerato e scagionato, eppure grazie alla sua temerarietà, tutti noi possiamo raccoglierci intimamente e ponderarese siamo così inclini e pronti alla pace nel mondo. O piuttosto vorremmo insultare chi sappiamo noi, al fine di riscattare il nostro passato di discordie intestine?
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