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marionitti
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sabato 20 gennaio 2018
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prevedibile
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Parto dalla conclusione. Non mi è piaciuto. Avevo attese molto alte perché l’ultimo film di Virzì mi era piaciuto tantissimo e i due protagonisti rientravano tra i miei attori preferiti. Loro sono davvero bravissimi, ma la storia di questo viaggio lungo l’America di due vecchietti era un rischio perché il tema della vecchiaia e della morte è delicato e insidioso. Virzì parte con un buon tono ironico, però poi cade però in troppi tranelli e cede a troppe tentazioni, soprattutto quelle del facile sentimentalismo e quella del finale scontato. Molti non saranno convinti e diranno che è un inno all’amore e ai sentimenti allora, senza spoilerare nulla, vi propongo un gioco.
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Parto dalla conclusione. Non mi è piaciuto. Avevo attese molto alte perché l’ultimo film di Virzì mi era piaciuto tantissimo e i due protagonisti rientravano tra i miei attori preferiti. Loro sono davvero bravissimi, ma la storia di questo viaggio lungo l’America di due vecchietti era un rischio perché il tema della vecchiaia e della morte è delicato e insidioso. Virzì parte con un buon tono ironico, però poi cade però in troppi tranelli e cede a troppe tentazioni, soprattutto quelle del facile sentimentalismo e quella del finale scontato. Molti non saranno convinti e diranno che è un inno all’amore e ai sentimenti allora, senza spoilerare nulla, vi propongo un gioco. Su una roulotte partono due vecchietti, lui ormai sempre più assente e con vuoti di memoria, lei malata che ha sospeso le cure, e vanno verso la casa di Hemingway in Florida. Cosa accadrà e come finirà il film? Poi andate a vederlo; se avete indovinato tutto non è perché siete dei geni, ma perché il film è piuttosto scontato.
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zim
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venerdì 19 gennaio 2018
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ci manca kerouac
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Tante cose dall'altro mondo, prevedibile il finale. D.Sutherland, deliziosamente alla deriva ci regala spaesamenti scollamenti e vagheggia citazioni colte: The Death, appunto i morti, di Joyce e Hemingway a go go e però nonostante l'on the road vintage manca Kerouac forse perché ci ha lasciati a 47 anni e non fa al caso. Il pubblico in età, chi sa poi perché, si aspettava un finale diverso e ci rimane un po' male, non lo gratificano le splendide inquadrature di mare ponti palme spiagge e lambade, gli spettatori giovani escono a labbra strette. Una lei alle mie spalle nitrisce: Meglio che vedevamo Verdone.
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Tante cose dall'altro mondo, prevedibile il finale. D.Sutherland, deliziosamente alla deriva ci regala spaesamenti scollamenti e vagheggia citazioni colte: The Death, appunto i morti, di Joyce e Hemingway a go go e però nonostante l'on the road vintage manca Kerouac forse perché ci ha lasciati a 47 anni e non fa al caso. Il pubblico in età, chi sa poi perché, si aspettava un finale diverso e ci rimane un po' male, non lo gratificano le splendide inquadrature di mare ponti palme spiagge e lambade, gli spettatori giovani escono a labbra strette. Una lei alle mie spalle nitrisce: Meglio che vedevamo Verdone. Fidanzati? Sposini? Si, il paese invecchia e freme per un diverso e spensierato ottimismo della fine.
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evak.
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giovedì 18 gennaio 2018
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emozionante
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Ho sinceramente pianto. Ho sinceramente riso. Questo è Paolo Virzì. Capace di portare sul grande schermo sentimenti tanto umani, quanto forti. Tanto fragili, quanto sinceri. Sono loro, sono Ella e John.
Un film, un capolavoro dai colori umani, sfumature neanche tanto accennate, un risveglio senza fretta. Con il tempo che corre e che si misura con quello interiore. Una vita che vuole continuare. Senza urgenza, ma come un regalo per sè.
Pochi film hanno la capacità di farti provare emozioni così ancestrali e vive, tali da farti volere entrare in quello schermo, prendere per mano qualcuno, abbracciarlo, ascoltarlo, stringerlo forte.
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Ho sinceramente pianto. Ho sinceramente riso. Questo è Paolo Virzì. Capace di portare sul grande schermo sentimenti tanto umani, quanto forti. Tanto fragili, quanto sinceri. Sono loro, sono Ella e John.
Un film, un capolavoro dai colori umani, sfumature neanche tanto accennate, un risveglio senza fretta. Con il tempo che corre e che si misura con quello interiore. Una vita che vuole continuare. Senza urgenza, ma come un regalo per sè.
Pochi film hanno la capacità di farti provare emozioni così ancestrali e vive, tali da farti volere entrare in quello schermo, prendere per mano qualcuno, abbracciarlo, ascoltarlo, stringerlo forte. Qui accade.
C'è un riflesso di ognuno di noi in quest'opera. Perché la vita ci appartiene quanto l'amore, così come ci appartiene la fine.
Ella e John commuovono, fanno ridere (sempre quel sorriso amaro di cui è capace Paolo Virzì), ti portano con loro tra scenari meravigliosi, percorsi intimi, sorrisi e silenzi, facendoti sentire la vita. Con tutta la sua fugacità straordinaria. Fa tremare quell'amore intenso, a volte dimentico, ma che si rinnova sempre, accettandone i cambiamenti. Senza resa.
Commuove, senza alcun patetismo. Privo di tentennamenti, Paolo Virzì si conferma un regista che non racconta solo una storia. Lui ti ci butta dentro quella storia.
La sceneggiatura e la fotografia mai distratte.
La prova attoriale da Oscar. Ogni gesto, ogni parola, ogni respiro dei protagonisti sono un sussulto.
Sono dichiaratamente innamorata delle opere di Virzì.
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valterchiappa
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giovedì 18 gennaio 2018
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virzi', troppo facile
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Il cinema di Paolo Virzì è fatto di scrittura e di contesto. Storie emotivamente coinvolgenti e acute analisi delle società, personaggi scolpiti a tutto tondo, in stretta relazione con un affresco che è parte inscindibile dell’opera. Vuoi che sia la Livorno operaia o la Roma delle periferie, la Brianza del cinico affarismo o l’Italia dei call center.
Cosa rimane alla scrittura quando il contesto, non più noto, sparisce? È il problema che deve essersi posto Paolo Virzì sbarcando per la prima volta in America. La soluzione trovata: annullarlo. Il road movie è la più semplice per conciliare tutte le esigenze.
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Il cinema di Paolo Virzì è fatto di scrittura e di contesto. Storie emotivamente coinvolgenti e acute analisi delle società, personaggi scolpiti a tutto tondo, in stretta relazione con un affresco che è parte inscindibile dell’opera. Vuoi che sia la Livorno operaia o la Roma delle periferie, la Brianza del cinico affarismo o l’Italia dei call center.
Cosa rimane alla scrittura quando il contesto, non più noto, sparisce? È il problema che deve essersi posto Paolo Virzì sbarcando per la prima volta in America. La soluzione trovata: annullarlo. Il road movie è la più semplice per conciliare tutte le esigenze. Sullo sfondo la strada, il tipico non-luogo, in primo piano i sentimenti, l’elemento della poetica di Virzì che sopravvive quando il resto viene sfrondato; in più un genere sempre caro ai cinefili americani.
Due anziani decidono di partire per l’ultimo viaggio sul camper che li ha condotti nei loro giorni più lieti, “The leisure seeker” (“cercatore di svago”). Ella e John sono gravemente malati. Lui, brillante professore cultore di Hemingway, sta perdendo la memoria; lei, che regola la sua vita, ha un male che la consuma e le sottrae le energie. “The leisure seeker” li aiuterà ancora ad evadere, stavolta da un futuro oscuro, accompagnandoli in un viaggio che ripercorrerà le tappe della loro vita insieme.
Una trama semplice, un filo sottilissimo. Virzì si arma di una squadra eccezionale. Al suo fianco fidati sceneggiatori: lo scrittore Stephen Amidon, gancio per l’America, Francesco Piccolo (entrambi con lui in “Il capitale umano”) e Francesca Archibugi, che in “La pazza gioia” aveva dato la sua pennellata di sentimento. Ma soprattutto loro, i fantastici protagonisti, i premi Oscar Helen Mirren eDonald Sutherland.
Grazie a loro quell’esile filo non si spezza. Una trama che poteva facilmente evolvere verso il melenso rimane nei binari di una delicata tenerezza, grazie a felici invenzioni, come la proiezione di vecchie diapositive. Ma è principalmente l’eccezionale interpretazione delle due star a sostenere il film. La capacità di Sutherland di variare i registri, che rende estremamente naturale l’ondivagare della mente di John, la personalità con cui Mirren tratteggia la forza d’animo di Elle, sbalordiscono per l’irrisoria facilità con cui i due attori le maneggiano.
Eppure complessivamente il film sconta l’apparente intenzione di Virzì di semplificarsi la vita. Tutto è prevedibile in questa sua ultima fatica: il genere, come detto, la storia di facile presa, persino la colonna sonora, che ripropone classici scontati, da Carole King a Janis Joplin. E gli sceneggiatori, pur bravi, arrancano per riempire i 112 minuti della pellicola, inserendo episodi talora gratuiti o incappando, come nel finale, in qualche caduta nel patetico.
Entrare nello star system americano è un passo importante, non solo per Paolo Virzì, ma anche per il cinema italiano. Giusto dosare le scelte, ma forse bisognava osare di più. Senza uno schema, affidarsi alla forza della squadra alla fine non paga. Così è facile, troppo facile.
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