francescacasali
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sabato 2 dicembre 2017
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75 minuti senza mai distrarre gli occhi e il cuore
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Un'opera che mette insieme scienza, arte, cinema e documentario per domandarsi cosa sia la bellezza. E' numeri, arte, danza, scienza? quanto può essere difficoltoso tradurre insieme tanti linguaggi in un'unica opera? E' un film? E' un documentario? Scientifico, drammatico, esplorativo? E ' di certo un successo che mi ha lasciata attaccata allo schermo, in un misto di curiosità, concentrazione, emozione e interessamento. Un film che lascia spazio allo spettatore di formulare le propie domande. Questo il valore aggiunto della regia: lasciare lo spettatore senza risposte certe , ma con questioni e domande che hanno animato le sale per ore.
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Un'opera che mette insieme scienza, arte, cinema e documentario per domandarsi cosa sia la bellezza. E' numeri, arte, danza, scienza? quanto può essere difficoltoso tradurre insieme tanti linguaggi in un'unica opera? E' un film? E' un documentario? Scientifico, drammatico, esplorativo? E ' di certo un successo che mi ha lasciata attaccata allo schermo, in un misto di curiosità, concentrazione, emozione e interessamento. Un film che lascia spazio allo spettatore di formulare le propie domande. Questo il valore aggiunto della regia: lasciare lo spettatore senza risposte certe , ma con questioni e domande che hanno animato le sale per ore.
Diversi linguaggi, elementi, sfaccettature di una stessa realtà, spesso difficili da capire, da accostare e soprattutto da reinterpretare ,ma che con grande sapienza e delicatezza, e aggiungo poesia, il regista ha saputo riunire in 75 minuti di bellezza. Un successo perche ha saziato un pubblico cosi inaspettatamente ampio da far riflettere : abbiamo fame di conoscenza e non solo di intrattenimento,meritiamo autori e storie che ci portino a riflessioni e domande profonde e non solo catarsi emotive, strutturate su format ormai commerciali ben stabiliti dalle logiche di mercato. Un Film documentario che come mai in Italia è stato seguito, con un tutto pieno, in piu di 70 sale d'italia in soli due giorni di programmazione. Un successo perche un film documentario italiano e in coproduzione estera difficilmente raggiunge tale interesse di pubblico, se non realizzato in un contesto produttivo di certe dimensioni commerciali. Per cui lascio la riflessione non solo sulle qualità artistiche, sulla ricerca scientifica quanto piu cinematografica, o sull' accostamento fine e delicato delle tematiche affrontate , ma anche e soprattutto sugli effetti che" IL SENSO DELLA BELLEZZA" sta producendo nel pubblico italiano e nella storia produttiva del documentario cinematografico .
Francesca C.
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antoniogulli
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martedì 28 novembre 2017
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la scienza: l'arte dell'immaginazione
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Un film coraggioso che trova nell'incarnato della scienza il gusto del bello. Una sfida a quella struttura sfuggente, ineffabile, indefinibile qual è la natura che trova una soddisfazione nel lavoro di centinaia di intelligenze ben testimoniate. Una bellezza - quella raccontata da Jalongo - che supera la semplice attività dei neuroni e che riesce a incunearsi - attraverso la percezione dell'infinitamente indeterminato - nell'emozione più profonda. Una sfida riuscita in maniera matura senza scivolare nel sensazionalismo. Ottimo!
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mercoledì 29 novembre 2017
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l’occhio poetico del cinema
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Il centro invisibile di questo poetico film/documentario è un Occhio, chiaramente simboleggiato in locandina dalla bellissima sezione frontale dell’LHC. Occhio che è dimensionamento dell’umano, unico percorribile limite/dischiusore di alterità fisica, di vettori di senso estetici, conoscitivi, etici. Occhio che è limite/dischiusore di alterità cinematografica, obiettivo di una telecamera che si rende quanto più possibile sottile e trasparente per scomparire privo di autocompiacimenti autoreferenziali nell’oggetto del de-siderio conoscitivo ed estetico. Occhio fedele alla purezza della vocazione al thaumazein, la meraviglia originaria ed essenziale che è in ogni uomo e che è tanto (inutilmente) bella e nobile quanto più irriducibile al funzionalismo e allo strumentalismo, destinata tristemente ad apparire in veste deforme di infantile ingenuità se tradotta/tradìta nel linguaggio dell’assolutismo funzionale.
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Il centro invisibile di questo poetico film/documentario è un Occhio, chiaramente simboleggiato in locandina dalla bellissima sezione frontale dell’LHC. Occhio che è dimensionamento dell’umano, unico percorribile limite/dischiusore di alterità fisica, di vettori di senso estetici, conoscitivi, etici. Occhio che è limite/dischiusore di alterità cinematografica, obiettivo di una telecamera che si rende quanto più possibile sottile e trasparente per scomparire privo di autocompiacimenti autoreferenziali nell’oggetto del de-siderio conoscitivo ed estetico. Occhio fedele alla purezza della vocazione al thaumazein, la meraviglia originaria ed essenziale che è in ogni uomo e che è tanto (inutilmente) bella e nobile quanto più irriducibile al funzionalismo e allo strumentalismo, destinata tristemente ad apparire in veste deforme di infantile ingenuità se tradotta/tradìta nel linguaggio dell’assolutismo funzionale.
Il coraggio di gettarsi nella visione “incantata” suggerita dal thaumazein, dal desiderio estetico di farsi limite invisibile per riempire la pellicola di realtà che appaghi tale tensione, è la cifra del film di Valerio Jalongo. Coraggio che esprime un alto valore simbolico e culturale del linguaggio cinematografico, capace di ergersi oltre la visione critica e la dialettica della narrazione a voler rincorrere il sommo desiderio umano che è anche il più intimo: la sintesi estetica ed epistemica di cui la bellezza è la cifra più volte nominata, rincorsa e disvelata dal Regista. Il linguaggio e il ricco immaginario dispiegato nel film, l’unico percorribile per non tradìre la purezza del desiderio motore immobile della pellicola, è quello dell’Arte. Arte che è vettore in grado di tracciare scalfiture nel dato, nel noto per aprire nuove vie, visioni dirompenti che ci conducono sul limite dell’Occhio estetico/conoscitivo fino a farci sporgere proprio lì, dove nel nostro limite non è più dato di percepire qual è il bordo interno della pellicola che ci racchiude e l’oggetto cui il senso si dirige, come toccandolo.
Il film riesce in questo nobile quanto semplice intento. È un film bello, a suo modo perfetto (o imperfetto, nella misura in cui – come il Regista abilmente suggerisce – la bellezza si nutre di imperfezione per mantenersi viva) quanto più si allontana da una prospettiva esplicativa per abbandonarsi alla contemplazione come Occhio meravigliato e poeticamente affamato di (inutile) conoscenza. Perché – mimando una conversazione di repertorio citata nella Pellicola – questo film dovrebbe interessarci? Semplicemente perché fa risuonare in ogni Uomo una domanda, un irresistibile e connaturato desiderio epistemico/estetico proprio di ognuno in quanto Essere Umano, e facendolo attraverso il linguaggio del Cinema mostra ed illumina inesorabilmente una Via cui le Arti sono chiamate senza scusanti alcune: una Via di primaria rilevanza Etica e di speranza per la Cultura Umana ed il Significato di essa.
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mercoledì 29 novembre 2017
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l’occhio poetico del cinema
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Il centro invisibile di questo poetico film/documentario è un Occhio, chiaramente simboleggiato in locandina dalla bellissima sezione frontale dell’LHC. Occhio che è dimensionamento dell’umano, unico percorribile limite/dischiusore di alterità fisica, di vettori di senso estetici, conoscitivi, etici. Occhio che è limite/dischiusore di alterità cinematografica, obiettivo di una telecamera che si rende quanto più possibile sottile e trasparente per scomparire privo di autocompiacimenti autoreferenziali nell’oggetto del de-siderio conoscitivo ed estetico. Occhio fedele alla purezza della vocazione al thaumazein, la meraviglia originaria ed essenziale che è in ogni uomo e che è tanto (inutilmente) bella e nobile quanto più irriducibile al funzionalismo e allo strumentalismo, destinata tristemente ad apparire in veste deforme di infantile ingenuità se tradotta/tradìta nel linguaggio dell’assolutismo funzionale.
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Il centro invisibile di questo poetico film/documentario è un Occhio, chiaramente simboleggiato in locandina dalla bellissima sezione frontale dell’LHC. Occhio che è dimensionamento dell’umano, unico percorribile limite/dischiusore di alterità fisica, di vettori di senso estetici, conoscitivi, etici. Occhio che è limite/dischiusore di alterità cinematografica, obiettivo di una telecamera che si rende quanto più possibile sottile e trasparente per scomparire privo di autocompiacimenti autoreferenziali nell’oggetto del de-siderio conoscitivo ed estetico. Occhio fedele alla purezza della vocazione al thaumazein, la meraviglia originaria ed essenziale che è in ogni uomo e che è tanto (inutilmente) bella e nobile quanto più irriducibile al funzionalismo e allo strumentalismo, destinata tristemente ad apparire in veste deforme di infantile ingenuità se tradotta/tradìta nel linguaggio dell’assolutismo funzionale.
Il coraggio di gettarsi nella visione “incantata” suggerita dal thaumazein, dal desiderio estetico di farsi limite invisibile per riempire la pellicola di realtà che appaghi tale tensione, è la cifra del film di Valerio Jalongo. Coraggio che esprime un alto valore simbolico e culturale del linguaggio cinematografico, capace di ergersi oltre la visione critica e la dialettica della narrazione a voler rincorrere il sommo desiderio umano che è anche il più intimo: la sintesi estetica ed epistemica di cui la bellezza è la cifra più volte nominata, rincorsa e disvelata dal Regista. Il linguaggio e il ricco immaginario dispiegato nel film, l’unico percorribile per non tradìre la purezza del desiderio motore immobile della pellicola, è quello dell’Arte. Arte che è vettore in grado di tracciare scalfiture nel dato, nel noto per aprire nuove vie, visioni dirompenti che ci conducono sul limite dell’Occhio estetico/conoscitivo fino a farci sporgere proprio lì, dove nel nostro limite non è più dato di percepire qual è il bordo interno della pellicola che ci racchiude e l’oggetto cui il senso si dirige, come toccandolo.
Il film riesce in questo nobile quanto semplice intento. È un film bello, a suo modo perfetto (o imperfetto, nella misura in cui – come il Regista abilmente suggerisce – la bellezza si nutre di imperfezione per mantenersi viva) quanto più si allontana da una prospettiva esplicativa per abbandonarsi alla contemplazione come Occhio meravigliato e poeticamente affamato di (inutile) conoscenza. Perché – mimando una conversazione di repertorio citata nella Pellicola – questo film dovrebbe interessarci? Semplicemente perché fa risuonare in ogni Uomo una domanda, un irresistibile e connaturato desiderio epistemico/estetico proprio di ognuno in quanto Essere Umano, e facendolo attraverso il linguaggio del Cinema mostra ed illumina inesorabilmente una Via cui le Arti sono chiamate senza scusanti alcune: una Via di primaria rilevanza Etica e di speranza per la Cultura Umana ed il Significato di essa.
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l’occhio poetico del cinema
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Il centro invisibile di questo poetico film/documentario è un Occhio, chiaramente simboleggiato in locandina dalla bellissima sezione frontale dell’LHC. Occhio che è dimensionamento dell’umano, unico percorribile limite/dischiusore di alterità fisica, di vettori di senso estetici, conoscitivi, etici. Occhio che è limite/dischiusore di alterità cinematografica, obiettivo di una telecamera che si rende quanto più possibile sottile e trasparente per scomparire privo di autocompiacimenti autoreferenziali nell’oggetto del de-siderio conoscitivo ed estetico. Occhio fedele alla purezza della vocazione al thaumazein, la meraviglia originaria ed essenziale che è in ogni uomo e che è tanto (inutilmente) bella e nobile quanto più irriducibile al funzionalismo e allo strumentalismo, destinata tristemente ad apparire in veste deforme di infantile ingenuità se tradotta/tradìta nel linguaggio dell’assolutismo funzionale.
Il coraggio di gettarsi nella visione “incantata” suggerita dal thaumazein, dal desiderio estetico di farsi limite invisibile per riempire la pellicola di realtà che appaghi tale tensione, è la cifra del film di Valerio Jalongo. Coraggio che esprime un alto valore simbolico e culturale del linguaggio cinematografico, capace di ergersi oltre la visione critica e la dialettica della narrazione a voler rincorrere il sommo desiderio umano che è anche il più intimo: la sintesi estetica ed epistemica di cui la bellezza è la cifra più volte nominata, rincorsa e disvelata dal Regista. Il linguaggio e il ricco immaginario dispiegato nel film, l’unico percorribile per non tradìre la purezza del desiderio motore immobile della pellicola, è quello dell’Arte. Arte che è vettore in grado di tracciare scalfiture nel dato, nel noto per aprire nuove vie, visioni dirompenti che ci conducono sul limite dell’Occhio estetico/conoscitivo fino a farci sporgere proprio lì, dove nel nostro limite non è più dato di percepire qual è il bordo interno della pellicola che ci racchiude e l’oggetto cui il senso si dirige, come toccandolo.
Il film riesce in questo nobile quanto semplice intento. È un film bello, a suo modo perfetto (o imperfetto, nella misura in cui – come il Regista abilmente suggerisce – la bellezza si nutre di imperfezione per mantenersi viva) quanto più si allontana da una prospettiva esplicativa per abbandonarsi alla contemplazione come Occhio meravigliato e poeticamente affamato di (inutile) conoscenza. Perché – mimando una conversazione di repertorio citata nella Pellicola – questo film dovrebbe interessarci? Semplicemente perché fa risuonare in ogni Uomo una domanda, un irresistibile e connaturato desiderio epistemico/estetico proprio di ognuno in quanto Essere Umano, e facendolo attraverso il linguaggio del Cinema mostra ed illumina inesorabilmente una Via cui le Arti sono chiamate senza scusanti alcune: una Via di primaria rilevanza Etica e di speranza per la Cultura Umana ed il Significato di essa.
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elenapreviato
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mercoledì 29 novembre 2017
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l’occhio poetico del cinema
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Il coraggio di gettarsi nella visione “incantata” suggerita dal thaumazein, dal desiderio estetico di farsi limite invisibile per riempire la pellicola di realtà che appaghi tale tensione, è la cifra del film di Valerio Jalongo. Coraggio che esprime un alto valore simbolico e culturale del linguaggio cinematografico, capace di ergersi oltre la visione critica e la dialettica della narrazione a voler rincorrere il sommo desiderio umano che è anche il più intimo: la sintesi estetica ed epistemica di cui la bellezza è la cifra più volte nominata, rincorsa e disvelata dal Regista.
Il linguaggio e il ricco immaginario dispiegato nel film, l’unico percorribile per non tradìre la purezza del desiderio motore immobile della pellicola, è quello dell’Arte. Arte che è vettore in grado di tracciare scalfiture nel dato, nel noto per aprire nuove vie, visioni dirompenti che ci conducono sul limite dell’Occhio estetico/conoscitivo fino a farci sporgere proprio lì, dove nel nostro limite non è più dato di percepire qual è il bordo interno della pellicola che ci racchiude e l’oggetto cui il senso si dirige, come toccandolo.
Il film riesce in questo nobile quanto semplice intento. È un film bello, a suo modo perfetto (o imperfetto, nella misura in cui – come il Regista abilmente suggerisce – la bellezza si nutre di imperfezione per mantenersi viva) quanto più si allontana da una prospettiva esplicativa per abbandonarsi alla contemplazione come Occhio meravigliato e poeticamente affamato di (inutile) conoscenza.
Perché – mimando una conversazione di repertorio citata nella Pellicola – questo film dovrebbe interessarci? Semplicemente perché fa risuonare in ogni Uomo una domanda, un irresistibile e connaturato desiderio epistemico/estetico proprio di ognuno in quanto Essere Umano, e facendolo attraverso il linguaggio del Cinema mostra ed illumina inesorabilmente una Via cui le Arti sono chiamate senza scusanti alcune: una Via di primaria rilevanza Etica e di speranza per la Cultura Umana ed il Significato di essa.
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jeancloud
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giovedì 30 novembre 2017
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più che la scienza e l'arte lo spettacolo è l'uomo in cerca di senso
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Il senso della bellezza che sarà mai? Un senso da cercare e trovare nelle cose stesse o da dare alle cose ? Sarà un caso o c’è qualche ragione profonda per cui scienza e arte sembrano coincidere almeno per l’uso di certi termini come “creazione”, “simmetria”, “ritmo”, e appunto bellezza di forme naturali e artificiali come anche di formule? Si esce dalla visione del film di Jalongo forse non sapendone molto di più di meccanica quantistica o di teoria delle particelle subatomiche, ma con gli occhi e la mente arricchiti di immagini e di pensieri stimolati da un caleidoscopico corto circuito di tecnologia e di arte visiva. La ricerca scientifica d’avanguardia evocata dai volti e dalle considerazioni varie con cui gli scienziati multietnici e multietà del CERN di Ginevra rispondono alle domande che il regista, anche lui ricercatore umanista, gli pone con la freschezza di un bambino, si arricchisce così del senso del progetto, della scoperta, del gioco, del dubbio, del sogno.
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Il senso della bellezza che sarà mai? Un senso da cercare e trovare nelle cose stesse o da dare alle cose ? Sarà un caso o c’è qualche ragione profonda per cui scienza e arte sembrano coincidere almeno per l’uso di certi termini come “creazione”, “simmetria”, “ritmo”, e appunto bellezza di forme naturali e artificiali come anche di formule? Si esce dalla visione del film di Jalongo forse non sapendone molto di più di meccanica quantistica o di teoria delle particelle subatomiche, ma con gli occhi e la mente arricchiti di immagini e di pensieri stimolati da un caleidoscopico corto circuito di tecnologia e di arte visiva. La ricerca scientifica d’avanguardia evocata dai volti e dalle considerazioni varie con cui gli scienziati multietnici e multietà del CERN di Ginevra rispondono alle domande che il regista, anche lui ricercatore umanista, gli pone con la freschezza di un bambino, si arricchisce così del senso del progetto, della scoperta, del gioco, del dubbio, del sogno. Basta non intimidirsi o pretendere risposte definitive che nessuno può e sa dare. Meglio abbandonarsi festosi sull’altalena realistica e visionaria del film tra visibile e invisibile, gigantismo tecnologico e evanescenza delle tracce degli scontri di particelle a elevatissime energie, tra la convinzione di stare avvicinandosi alla “vera realtà”, alle origini del cosmo e la sensazione di smarrirsi di fronte ad effimeri fuochi d’artificio a cui dover dare un senso. Così anche il semplice spettatore senza essere necessariamente artista o scienziato può vivere, per la durata del film, la passione del ricercare, il brivido della meraviglia. jeancloud
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