peer gynt
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lunedì 5 settembre 2016
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la folle impresa di sisifo
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Film che unisce allegoria e astrazione, sospensione e silenzio, un'estenuante fatica fisica e un gesto folle e assurdo. Racconta la storia di Agostino, che vive con la famiglia (moglie e figlio) ai piedi di una grande montagna che gli toglie sempre il sole. Il racconto è ambientato in un medioevo indefinito e in un luogo non meglio specificato (anche se dovremmo essere nel 14. secolo e sulla catena dolomitica del Latemar). Senza sole, la vita non può crescere, e cominciamo subito assistendo al funerale della figlia di Agostino, e poi ai suoi disperati tentativi di nutrire la sua famiglia. Ma il suo terreno è sterile e lui non riesce a vendere nulla in paese, perché viene anche indicato a dito come uomo maledetto.
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Film che unisce allegoria e astrazione, sospensione e silenzio, un'estenuante fatica fisica e un gesto folle e assurdo. Racconta la storia di Agostino, che vive con la famiglia (moglie e figlio) ai piedi di una grande montagna che gli toglie sempre il sole. Il racconto è ambientato in un medioevo indefinito e in un luogo non meglio specificato (anche se dovremmo essere nel 14. secolo e sulla catena dolomitica del Latemar). Senza sole, la vita non può crescere, e cominciamo subito assistendo al funerale della figlia di Agostino, e poi ai suoi disperati tentativi di nutrire la sua famiglia. Ma il suo terreno è sterile e lui non riesce a vendere nulla in paese, perché viene anche indicato a dito come uomo maledetto. Dovrebbe andarsene, ma lì ci sono le sue radici, i suoi morti, e quindi non vuole abbandonare la sua casa, la sua terra. E allora, se lui non se ne andrà, dovrà andarsene la montagna. E così Agostino comincia a martellare il duro monte con cocciuta disperazione, urlando tutta la sua fatica in scene sempre uguali che si ripetono e si ripetono, continuamente, sfibrando lo spettatore: novello Sisifo, Agostino però non si rassegna alla pena impostagli dal suo metafisico destino e lavora per abbattere le porte del suo inferno.
Bisogna riconoscere al regista iraniano un grande coraggio nel raccontare una storia ai limiti dell'assurdo, fatta quasi tutta di silenzi (i dialoghi sono rarissimi, in una lingua italiana del tutto priva di accenti, a fuggire qualsiasi idea di realismo),di povertà, di disperazione, di buio e immersa in tonalità ocra e grigie che talvolta sembrano sconfinare nel bianco e nero. Il regista sceglie un racconto ripetitivo e sicuramente noioso, non vuole stupirci con scene di grande originalità narrativa, si sofferma a farci sentire il rumore inquietante della montagna (fatto di respiri e misteriose urla notturne), metafora di tutto ciò che impedisce all'uomo di realizzarsi come uomo, libero nella sofferenza e sofferente perché libero. Non vuol farci piacere, e infatti il film ci sembra infinito nel suo continuo ripetersi e potremmo definirlo aspro e tagliente come i frammenti di un monte. Eppure Naderi fa un film che non si dimentica. E a questo deve una valutazione più alta di quanto il film forse in sé meriterebbe. E questa icasticità che si imprime indelebile nella memoria crediamo sia cinema, malgrado tutto.
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giulio n.
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lunedì 12 settembre 2016
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la vita è lotta. il monte di amir naderi
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Monte è stato presentato fuori concorso alla 73° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il regista iraniano Amir Naderi filma un'opera dove porta in scena l'ostinata lotta dell'uomo contro la natura. Il film è stato girato in Italia sulle colline dell'Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia con un cast di attori italiani. Il film si apre in un piccolo villaggio sperduto tra le montagne dove vive Agostino assieme alla moglie e al figlio. La famiglia di Agostino è rimasta la sola a vivere sulla montagna dopo che le altre famiglie si sono spostate in città date le problematiche nel vivere in un territorio tanto inospitale. Il disagio più grosso è dato dalla montagna che copre la luce del sole rendendo difficoltosa la coltivazione e i sostentamenti.
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Monte è stato presentato fuori concorso alla 73° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il regista iraniano Amir Naderi filma un'opera dove porta in scena l'ostinata lotta dell'uomo contro la natura. Il film è stato girato in Italia sulle colline dell'Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia con un cast di attori italiani. Il film si apre in un piccolo villaggio sperduto tra le montagne dove vive Agostino assieme alla moglie e al figlio. La famiglia di Agostino è rimasta la sola a vivere sulla montagna dopo che le altre famiglie si sono spostate in città date le problematiche nel vivere in un territorio tanto inospitale. Il disagio più grosso è dato dalla montagna che copre la luce del sole rendendo difficoltosa la coltivazione e i sostentamenti. Agostino ogni giorno si reca in città con il suo carro tentando di guadagnare qualcosa con la vendita di oggetti in legno ma la città vede lui e la sua famiglia come appestati da emarginare. La prima parte del film tenta di raccontare con una narrazione fin troppo esplicita il disagio della famiglia, con dialoghi e scene che nella loro vacuità rendono la narrazione poco interessante. La seconda parte racconta in modo allegorico la lotta di un uomo, un uomo che ha perso tutte le speranze e decide di portare avanti una lotta contro ciò che ha reso la sua vita impossibile, la montagna. Nell'ultima mezz'ora di film il dialogo scompare (gli unici rumori che si odono sono le martellate dell'uomo e i lamenti della montagna, che sembra assumere vita), l'uomo passa la sua vita, assieme al figlio, a colpire con un mazzuolo la montagna cercando di abbatterla. L'uomo invecchia, il suo volto si riempie di rughe e barba ma continua con insistenza e convinzione nella sua ostinata impresa fino all'insperato epilogo. La montagna crolla, cede alla tenacia dell'uomo, cede alla convinzione e alla forza di lottare, cede all'ardire umano di poter sfidare qualcosa di tanto invalicabile. Dopo il crollo del monte arriva la luce, la luce di una nuova alba che illumina i volti dei personaggi, una luce arancione extra naturale che irradia tutto lo schermo e fa tornare giovani i nostri protagonisti. Il regista nel finale del racconto si esprime con grande forza comunicativa, le sue immagini riescono a raccontarci qualcosa che a parole sarebbe difficilmente comprensibile. Il risultato è di un grandissimo finale viziato purtroppo da una prima parte che lascia ben pochi elementi interessanti su cui riflettere.
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