candido89
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giovedì 9 aprile 2020
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aspettando il capolavoro
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Premessa: non è un film che rivedrei volentieri.
Tuttavia, è innegabile una bravura nella fotografia, nei primi piani, nei chiaroscuri che rende il film
estremamente piacevole dal punto di vista estetico.
Gli attori, tutti di primo piano, sono bravi nel loro ruolo e lasciano emergere tutte le contraddizioni famigliari
che ognuno di noi conosce... a meno di non essere cresciuti dalla famiglia Mulino Bianco.
Alcuni dialoghi (come quello dei fratelli in macchina) forse risultano eccessivi o prolissi.
Insomma, Dolan rimane maestro dell'introspezione nel gruppo famigliare, sicuri che il suo capolavoro è solo rimandato.
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ennio
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sabato 13 ottobre 2018
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un dramma sonnolento anche per lo spettatore
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Non lo si può definire un brutto film. Ci sono buoni interpreti, bella fotografia. Quando però si arriva ai dialoghi, ecco l'abbiocco. Non è un film noioso, ma composto esclusivamente di dialoghi. Troppo. Si sente il bisogno di respirare un pò d'aria fresca, sarebbero stati utili 20 minuti di flashback spensierati e coloriti. E poi quei primi piani continuati, ossessivi sui volti dei protagonisti.
Vorrebbe essere qualcosa di innovativo, ma dove? Non certo nei personaggi, molto stereotipati. La mamma un pò svampita, la mogliettina dolce e balbettante, la sorellina ribelle, e il fratello maggiore del protagonista, forse l'unica persona davvero "normale", e che come tutte le personi normali ogni tanto sbraita, dice le parolacce e cerca di smuovere dalla sua incapacità comunicativa il fratello.
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Non lo si può definire un brutto film. Ci sono buoni interpreti, bella fotografia. Quando però si arriva ai dialoghi, ecco l'abbiocco. Non è un film noioso, ma composto esclusivamente di dialoghi. Troppo. Si sente il bisogno di respirare un pò d'aria fresca, sarebbero stati utili 20 minuti di flashback spensierati e coloriti. E poi quei primi piani continuati, ossessivi sui volti dei protagonisti.
Vorrebbe essere qualcosa di innovativo, ma dove? Non certo nei personaggi, molto stereotipati. La mamma un pò svampita, la mogliettina dolce e balbettante, la sorellina ribelle, e il fratello maggiore del protagonista, forse l'unica persona davvero "normale", e che come tutte le personi normali ogni tanto sbraita, dice le parolacce e cerca di smuovere dalla sua incapacità comunicativa il fratello.
Il protagonista lo si compatisce a causa della sua sventura, altrimenti risulterebbe insopportabile.
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tmpsvita
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giovedì 4 gennaio 2018
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splendido quadretto di una famiglia complessa
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Xavier Dolan, classe 1989 e già ben 6 film da regista, primo film a soli 20 anni, ma è con "Mommy" (2014) che raggiunge il successo, vincendo svariati premi, tra cui il Cesar, che lo rendono uno dei più promettenti cineasti degli ultimi anni.
Non ho ancora avuto modo di vedere tutti suoi lavori, ma dopo questo "È solo la fine del mondo" mi sa proprio che rimedierò il più presto possibile.
Dolan dimostra una maturità veramente notevole che gli permette di potersi confrontare con i migliori del cinema d'autore, in particolar modo quello europeo, senza alcun timore.
Infatti dirige con estrema consapevolezza un film veramente difficile da realizzare: sarebbe potuto essere di una banalità e pesantezza disarmanti, e invece riesce a rendere tutto una meraviglia per gli occhi e per le orecchie.
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Xavier Dolan, classe 1989 e già ben 6 film da regista, primo film a soli 20 anni, ma è con "Mommy" (2014) che raggiunge il successo, vincendo svariati premi, tra cui il Cesar, che lo rendono uno dei più promettenti cineasti degli ultimi anni.
Non ho ancora avuto modo di vedere tutti suoi lavori, ma dopo questo "È solo la fine del mondo" mi sa proprio che rimedierò il più presto possibile.
Dolan dimostra una maturità veramente notevole che gli permette di potersi confrontare con i migliori del cinema d'autore, in particolar modo quello europeo, senza alcun timore.
Infatti dirige con estrema consapevolezza un film veramente difficile da realizzare: sarebbe potuto essere di una banalità e pesantezza disarmanti, e invece riesce a rendere tutto una meraviglia per gli occhi e per le orecchie.
Ho amato le sue inquadrature estremamente intime, i suoi primi piani talmente stretti da essere quasi claustrofobici, racchiudono ogni personaggio all'interno dei suoi pensieri, le sue parole dette con difficoltà, quelle dette con impulsività e quelle che non riesce e non vuole dire, in ognuno di questi primi piani il protagonista di essi è messo a nudo, di fronte a noi, della sua anima e di ciò che neanche lui vuole ammettere di essere o che semplicemente non sa di essere. Xavier Dolan così fa sentire te spettatore privilegiato a poterci entrare, di poter conoscere i vari segreti, problemi e rapporti di questa famiglia che non riesce a riconoscersi come tale ma che vorrebbe tanto poterlo fare.
E intanto tra di loro aleggia questo annuncio, una brutta notizia, notizia di morte, della sua morte, imminente, che il protagonista si tiene dentro e che anche il motivo per cui dopo tanti anni è tornato da loro, ma è bloccato tra la sua volontà di dirlo e la sua impossibilità a poterlo fare.
Dolan conclude questa pièce teatrale con una delle più significative e più emozionanti scene che ho potuto vedere in quest'ultimi anni.
Le sue straordinarie inquadrature sono accompagnate da una meravigliosa colonna sonora e trasportate da dialoghi scomodi, che straniano ma che rimangono sempre veri, sinceri e, all'interno del contesto del film, credibili e per questo stupiscono.
Una sceneggiatura che spiazza, attraverso momenti di isteria generale, tristezza, affetto, sentimenti forti e tanta incertezza.
Naturalmente per interpretare dei ruoli così completati serviva un cast all'altezza e infatti possiamo ammirare delle impeccabili interpretazioni da un cast composto interamente da grandissimi interpreti del cinema francese come Vincent Cassel, Léa Seydoux (già visti insieme nella trasposizione francese del 2014 de "La Bella e la Bestia"), Marion Cotillard, Nathalie Baye e Gaspard Ulliel.
Un film per niente facile da vedere, perché molto lento e complesso ma che se visto nel mood giusto, con la giusta attenzione e volontà saprà ricambiarvi con tante emozioni, difficili da assorbire, ma intense.
Voto: 8/10
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michelino
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giovedì 16 novembre 2017
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forse non sarà la fine del mondo ma però...
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Xavier Dolan, regista canadese, 28 anni e almeno sei film
all'attivo, tutti film di ottima qualità. Dire che il ragazzo è uno
da tenere d'occhio è fare dell' eufemismo; questo giovane
regista deve essere cresciuto a pane e cinema e nei suoi
film si possono riconoscere le influenze di tanti di quei registi
che sembrano averlo ispirato parecchio, tanto per citarne uno
a me viene in mente il grande John Cassavetes.
I film di Dolan ci raccontano di microcosmi sociali ed affettivi
(amicizie, famiglie, amori ) visti dallo sguardo disincantato di
una gioventù contemporanea.
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Xavier Dolan, regista canadese, 28 anni e almeno sei film
all'attivo, tutti film di ottima qualità. Dire che il ragazzo è uno
da tenere d'occhio è fare dell' eufemismo; questo giovane
regista deve essere cresciuto a pane e cinema e nei suoi
film si possono riconoscere le influenze di tanti di quei registi
che sembrano averlo ispirato parecchio, tanto per citarne uno
a me viene in mente il grande John Cassavetes.
I film di Dolan ci raccontano di microcosmi sociali ed affettivi
(amicizie, famiglie, amori ) visti dallo sguardo disincantato di
una gioventù contemporanea.
Forse, la sua è una gioventù troppo borghese e agiata, ma
questo non toglie molto alla 'bellezza' di quello sguardo.
E' solo la fine del mondo racconta di un ritorno a casa dopo un
assenza più che decennale. Si tratta di un momentaneo ritorno
messo in atto con uno scopo preciso che è quello di dover fare
una importante rivelazione.
Stop, della trama non vi dico più niente.
Vi dico invece di volti inquadrati in primo piano e seguiti da una
cinepresa che sembra incollata ai corpi, quasi come a voler
cercare l'anima dei personaggi.
Vi dico di un film molto parlato il quale alla fine mi ha lasciato
con una forte sensazione di silenzio.
Vi dico di dialoghi all'apparenza banali ma che in realtà non
fanno altro che ripetere con altre parole le cose da dire che
non vengono mai dette.
Vi dico della sorpresa che mi ha fatto vedere un Vincent Cassel
che ( per una volta ) non fa la parte del duro e che in questo film
dimostra di saper essere un grandissimo attore (di questo film
consiglio caldamente la versione in lingua originale).
Vi dico che questo è un film claustrofobico.
Volutamente claustrofobico per rendere l'idea di una giornata in
famiglia e forse,anche per rendere l'idea di un destino ineluttabile.
Vi dico che forse non sarà la fine del mondo, ma che se amate
il cinema che apre le menti vi consiglio di non mancare a questo
appuntamento.
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valterchiappa
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sabato 3 giugno 2017
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la famiglia luogo del dolore
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Tornare. Può essere un’idea che ci accarezza. Sciogliere i nodi del passato, i grumi che ostacolano il flusso della memoria.
È quello che Louis (Gaspard Ulliel), drammaturgo affermato, decide di fare. Tornare da dove è fuggito 12 anni prima: la famiglia. Ha un pretesto forte per farlo, annunciare la sua prossima morte. In un superbo ed estremo esercizio di controllo vuole ricucire i capitoli irrisolti della trama della sua vita.
Ma già sull’uscio la realtà si presenta nuda. Ad accoglierlo le schermaglie che evolveranno in un ininterrotto battibecco. Perché “È solo la fine del mondo” è fatto di un vociare continuo, di voci stridule che si sovrappongono, di frasi che si susseguono senza una costruzione logica.
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Tornare. Può essere un’idea che ci accarezza. Sciogliere i nodi del passato, i grumi che ostacolano il flusso della memoria.
È quello che Louis (Gaspard Ulliel), drammaturgo affermato, decide di fare. Tornare da dove è fuggito 12 anni prima: la famiglia. Ha un pretesto forte per farlo, annunciare la sua prossima morte. In un superbo ed estremo esercizio di controllo vuole ricucire i capitoli irrisolti della trama della sua vita.
Ma già sull’uscio la realtà si presenta nuda. Ad accoglierlo le schermaglie che evolveranno in un ininterrotto battibecco. Perché “È solo la fine del mondo” è fatto di un vociare continuo, di voci stridule che si sovrappongono, di frasi che si susseguono senza una costruzione logica.
Antoine (Vincent Cassel) sfoga la sua aggressività di uomo frustrato, rinfacciando al fratello le scarse attenzioni ricevute. La sorella minore Suzanne (Léa Seydoux) è una ragazza irrisolta, incline all’autodistruzione e all’abuso di spinelli. La madre (Nathalie Baye), cristallizzata nelle sue categorie mentali, non ha gli strumenti per ricomporre quel quadro frantumato. “Non capisco ma ti voglio bene”, battuta che la madre rivolge al figlio, è la sintesi di tutto: l’incapacità a comprendersi o semplicemente a venirsi incontro è la radice di quell’urlare sconnesso. Cui si contrappone il silenzio del protagonista. Perché Louis, durante tutta la sua permanenza tace, osserva tutto con i suoi occhi liquidi. Impotente, anche lui incapace, di ritessere una qualsiasi trama.
Ma la comunicazione impossibile con i familiari si instaura con l’unica persona esterna al nucleo: la cognata Catherine (Marion Cotillard), moglie succube di Antoine alle cui grida risponde con una tentennante balbuzie. Dolan sottolinea continuamente l’incrocio degli occhi di Louis e Catherine. Gli sguardi al posto delle parole, dialogo silente e profondamente empatico, è l’unico in un mare di parole urlate. Sarà Catherine infatti l’unica a intuire il doloroso segreto di Louis.
Xavier Dolan torna sulle tematiche familiari a lui care, da sempre lette in modo conflittuale, da “J’ai tué ma mère” a “Mommy”. C’è sempre una madre, mai un padre, c’è sempre rabbia, c’è sempre incomprensione, sullo sfondo l’omosessualità. Nel testo del drammaturgo francese Jean-Luc Lagarce Dolan trova la sintesi finale del suo discorso sulla famiglia, di cui decreta definitivamente il crollo, così come l’ultimo, innocente simbolo di essa che, nel finale, si schianta al suolo.
Nel trasporre il testo teatrale Dolan usa tutti gli strumenti a sua disposizione: una tecnica filmica sublime, che si esprime attraverso colori saturi e primi piani strettissimi; l’interpretazione dei suoi talentuosi interpreti (sublime ancora una volta Marion Cotillard, voce imprigionata dal balbettio, viso costretto a dire l’ineffabile); flashback che spezzano il rumore e riportano a una dimensione quasi elegiaca. Importante l’utilizzo di una colonna sonora quanto mai eterogenea, dal brano di Camille “Home is where it hurts” (titolo emblematico) al Moby di “Natural Blues”, dai Blink 182 a, addirittura, la hit romena “Dragostea Din Tei”. Alla musica difatti è affidato il compito di accendere gli spazi del sentimento.
Ma al tocco della bacchetta di Dolan che cambia bruscamente il registro, nell’animo dello spettatore il disturbo lascia spazio al dolore: questo è dato al suo sentire. Per Louis tornare a casa, per Dolan riaffrontare i fantasmi familiari, è stato inutile. Nessuna catarsi, nessuna speranza di redenzione, c’è solo sofferenza.
Per Xavier Dolan, ineluttabilmente, “Home is where it hurts”.
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ilbonino
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domenica 30 aprile 2017
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dono della sintesi
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Si fa prima a guardare il film che a leggere la vostra recensione.
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astromelia
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domenica 26 marzo 2017
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disturbante
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a tratti imbarazzante anche per lo spettatore,trovo questo film troppo enfatizzato,il personaggio di cassel è oltremodo oltraggioso per sè come attore che non fa nulla per rendersi simpatico,sia per l'enfasi con cui recita ,non c'era bisogno di un accanimento così senza senso,alcune scene troppo lunghe inutilmente,ma se andassimo ad analizzare il perchè una persona morente torna a casa sapendo che sgangherata famiglia ha lasciato,invece che annunciare la sua condizione in altro modo ci convinciamo che è solo lo svolgersi dei fatti e la curiosità del "ora lo dirà" che tiene lo spettatore seduto fino alla fine,anche se ci si convince che ulliel desisterà da questa impresa improbabile.
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a tratti imbarazzante anche per lo spettatore,trovo questo film troppo enfatizzato,il personaggio di cassel è oltremodo oltraggioso per sè come attore che non fa nulla per rendersi simpatico,sia per l'enfasi con cui recita ,non c'era bisogno di un accanimento così senza senso,alcune scene troppo lunghe inutilmente,ma se andassimo ad analizzare il perchè una persona morente torna a casa sapendo che sgangherata famiglia ha lasciato,invece che annunciare la sua condizione in altro modo ci convinciamo che è solo lo svolgersi dei fatti e la curiosità del "ora lo dirà" che tiene lo spettatore seduto fino alla fine,anche se ci si convince che ulliel desisterà da questa impresa improbabile....
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ettavi
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sabato 4 marzo 2017
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capolavoro
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Ho visto la ceremonia di Cezar 2017 , meritevoli premi per Xavier Dolan , a 27 anni fare un film di questa profondità fa pensare che sia una stella del cinema . Complimenti a tutti attori . 👍
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degiovannis
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mercoledì 8 febbraio 2017
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la fine di un micromondo?
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Molto completa ed esaustiva la recensione della Gandolfi, con la quale non si può non concordare.
Mi limiterò quindi ad alcune brevi osservazioni.
L'impossibilità per Louis di tenere fede alle sue intenzioni e svelare il suo dramma è proprio dovuta al fatto che egli realizza che forse la sua è la condizione migliore, la condizione di chi 'deve' abbandonare questo mondo e quindi non è costretto a scegliere se restare o andare.
Gli altri non sono alla sua altezza, non hanno lo stesso sguardo critico e quindi nuotano disperatamente alla ricerca di una salvezza che, ne siamo certi, non arriverà mai.
Il film è bello comunque anche e nonostante questo approdo disperato!
E' bello, tecnicamente parlando, perché c'è una perfetta coincidenza tra taglio delle inquadrature e psicologia dei personaggi.
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Molto completa ed esaustiva la recensione della Gandolfi, con la quale non si può non concordare.
Mi limiterò quindi ad alcune brevi osservazioni.
L'impossibilità per Louis di tenere fede alle sue intenzioni e svelare il suo dramma è proprio dovuta al fatto che egli realizza che forse la sua è la condizione migliore, la condizione di chi 'deve' abbandonare questo mondo e quindi non è costretto a scegliere se restare o andare.
Gli altri non sono alla sua altezza, non hanno lo stesso sguardo critico e quindi nuotano disperatamente alla ricerca di una salvezza che, ne siamo certi, non arriverà mai.
Il film è bello comunque anche e nonostante questo approdo disperato!
E' bello, tecnicamente parlando, perché c'è una perfetta coincidenza tra taglio delle inquadrature e psicologia dei personaggi. L'insistenza sui primi piani pertanto non è fine a se stessa, ma strumento perfetto per indagare la psicologia dei personaggi e guidare lo spettatore alla loro conoscenza e comprensione. Si capisce così che l'atteggiamento estremanete indisponente di Antoine, il fratello maggiore, altro non è che la spia di un malessere infinito di cui non si intravvede la soluzione
La famiglia quindi ha smesso di essere approdo esistenziale consolatorio e diventa essa stessa fonte di drammi e di nevrosi che poi rischiano di esplodere in tragedie (E la cronaca, ahimé, è ormai ricca di questi episodi).
Ma, anche se il mondo esterno non appare mai (volutamente il film non ha uno spazio e un tempo definiti) tuttavia lo spettatore esce dal cinema con la certezza che la crisi di questa famiglia è semplicemnete il portato di una crisi più grande, che è poi quella della civiltà occidentale all'inizio del terzo millennio.
Tutti bravissimi gli attori a cominciare da Ulliel, un volto interessantissimo e perfettamente nella parte!
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