mariadellaventura
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sabato 18 aprile 2020
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da vedere
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adoro il genere drammatico e questo film mi è davvero piaciuto a partire dalle ambietazioni fino alla regia un film che insegna tanto e da cui ho imparato molto lo consiglio a tutti
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gege72
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sabato 18 aprile 2020
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emozionante
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un film dalle grandi emozioni mia moglie si è messa a piangere davvero originale l'idea del film e l'interpretazione delle gemelle fantastica mi chiedo come hanno fatto a tenerle attaccate.
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antonionatalizio
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sabato 18 aprile 2020
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eccellente
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Finalmente il cinema italiano ha iniziato a sfornare registi coraggiosi.
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roberto
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lunedì 23 settembre 2019
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ho spento
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Dopo dieci minuti ho spento: audio pessimo e dialetto per me incomprensibile! Che peccato! Mi sembrava interessante! E così un'opera molto probabilmente più che valida è stata drasticamente penalizzata. E purtroppo non è l'unica. Che ci voleva a mettere dei sottotitoli o a doppiare i dialoghi in modo quantomeno comprensibile dal resto degli italiani? Un film napoletano destinato alla sola cerchia dei napoletani, ahimé!
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musetta
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domenica 22 settembre 2019
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sorelle da oscar, peccato il dialetto, cmq bello.
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Sinceramente per dare un vero giudizio avrei avuto bisogno dei sottotitoli... avrei preferito un italiano con accento partenopeo, capisco ad ogni modo la scelta verista e neorealista, ma mi rammarico pensando che il 90% degli italiani avrà solo una misera infarinatura del potenziale di questa pellicola intensa, scomoda e coraggiosa, peccato. Le ragazze una vera rivelazione, straordinarie.
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great steven
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lunedì 25 marzo 2019
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una frase a favore della sanità del nostro cinema.
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INDIVISIBILI (IT, 2016) diretto da EDOARDO DE ANGELIS. Interpretato da MARIANNA FONTANA, ANGELA FONTANA, ANTONIA TRUPPO, MASSIMILIANO ROSSI, TONY LAUDADIO, MARCO MARIO DE NOTATRIS, GIANFRANCO GALLO, GAETANO BRUNO, PEPPE SERVILLO
Viola e Dasy sono due gemelle siamesi partenopee di 18 anni che, col mestiere di cantanti (si esibiscono ai matrimoni e alle sagre di paese), mantengono tutta la loro famiglia, incassando mediamente svariate migliaia di euro ogni anno. Ma, nonostante lo strepitoso successo e l’indiscussa popolarità di cui godono nella periferia di Napoli, la loro vita famigliare è tutt’altro che idilliaca. Il padre, compositore dei brani che esse interpretano, è arrogante e ha il vizio del gioco d’azzardo, mentre la madre, che con lui si trova spesso in disaccordo, è dipendente dall’alcol.
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INDIVISIBILI (IT, 2016) diretto da EDOARDO DE ANGELIS. Interpretato da MARIANNA FONTANA, ANGELA FONTANA, ANTONIA TRUPPO, MASSIMILIANO ROSSI, TONY LAUDADIO, MARCO MARIO DE NOTATRIS, GIANFRANCO GALLO, GAETANO BRUNO, PEPPE SERVILLO
Viola e Dasy sono due gemelle siamesi partenopee di 18 anni che, col mestiere di cantanti (si esibiscono ai matrimoni e alle sagre di paese), mantengono tutta la loro famiglia, incassando mediamente svariate migliaia di euro ogni anno. Ma, nonostante lo strepitoso successo e l’indiscussa popolarità di cui godono nella periferia di Napoli, la loro vita famigliare è tutt’altro che idilliaca. Il padre, compositore dei brani che esse interpretano, è arrogante e ha il vizio del gioco d’azzardo, mentre la madre, che con lui si trova spesso in disaccordo, è dipendente dall’alcol. Quando conoscono un discografico, Marco Ferreri, che propone loro un contratto molto vantaggioso per lanciare definitivamente la loro carriera artistica, e in seguito un primario di chirurgia, il dottor Fasano, il quale sostiene che, dividendole durante un’operazione in sala, le loro esistenze migliorerebbero, Viola e Dasy patiscono infiniti dolori e per la prima volta hanno pensieri opposti: la prima preferirebbe evitare l’intervento e la seconda lo desidera più di tutte le altre cose perché desidererebbe ballare, viaggiare, bere vino senza che la sorella si ubriachi e fare l’amore («Pecché so’ femmena»). Fasano non pretende niente per l’intervento, ma Don Salvatore, il parroco che sta erigendo in onore delle due gemelle una nuova chiesa per gli immigrati poveri, sconsiglia loro quest’idea, ancor di più quando Viola e Dasy scappano di casa – scatenando l’ira del padre – e gli chiedono 20.000 euro. Dopo esser state invitate e poi cacciate dal piccolo yacht di Ferreri in seguito pure ad un breve incontro amoroso fra Dasy e il produttore, le ragazzine finiscono in mare, e, durante la processione per l’inaugurazione della summenzionata chiesa, Dasy si pugnala allo stomaco, mettendo a repentaglio la vita di entrambe. Qui il dottor Fasano interviene e in conclusione riesce a separarle. Finalmente un film drammatico dai risvolti amari e commoventi che dimostra che il cinema italiano è vivo e gode di ottima salute, nonostante incursioni verso un peggioramento stilistico e una banalizzazione narrativa che, negli ultimi anni, hanno rischiato di precipitarlo in un pericoloso baratro. Le sorelle Fontana ne sono la rivelazione inconfutabile, dacché interpretano con vigore ed eleganza il ruolo delle protagoniste assumendosi del tutto il carico del profondo significato di umanità che l’opera di E. De Angelis trasmette senza soluzioni di continuità. Lo sfondo di Castelvolturno è il contesto sociale più adeguato per descrivere le sorti, i traumi e gli entusiasmi raffreddati e delusi di una separazione che apporta dolore non soltanto sul piano fisico. Molte le sequenze in cui il pathos che permea questa vicenda originale e struggente si eleva fino al punto da divenire una cifra narrativa di espressione efficacemente autonoma, ad esempio quando, durante la fuga da casa, Dasy costringe Viola a ripetere la parola «dividere», sortendo come unico risultato il pianto dirompente della sorella, o la scena in cui esplode la rabbia del padre che erroneamente si ritiene un deus ex machina dell’intera situazione per il semplice fatto che, siccome organizza lui gli eventi musicali per le figlie e scrive le loro canzoni, può spendere a proprio esclusivo piacimento gli introiti che ne derivano. C’è anche la speranza di vivere, da parte di Viola e Dasy, una vita che non si dovrebbe mai e poi mai definire banalmente normale, poiché, come una delle due afferma con veemenza, le cosiddette persone normali non beneficiano dei talenti che loro due possiedono e nemmeno di tutto ciò che ne consegue parlando delle soddisfazioni materiali e anche spirituali. Un’adolescenza da completare è lo scopo che ambedue si prefiggono, benché le modalità d’attuazione e il pensiero medesimo per giungervi differiscano in profondità fra loro. E in più s’aggiunge la paura smodata dell’ignoto: cosa dovrebbe succedere se l’operazione chirurgica non andasse per il verso giusto e le ragazze morissero sotto i ferri? Oppure cosa accadrebbe se si lasciassero le cose così come stanno e quali conseguenze elaborerebbero Viola e Dasy con un marcato nulla di fatto? La morale finale, non così positiva come suggeriscono le apparenze, apre comunque uno spiraglio ai desideri ancora da esaudire giacché possiamo vedere Viola che abbraccia la sorella da cui s’è separata fisicamente poche ore prima e, nel tepore e nella tenerezza del contatto corporeo, la invoglia a intonare un brano di Janis Joplin, amata alla follia da tutt’e due. M. Rossi e A. Truppo si danno da fare interpretando i loro ambigui ed iperprotettivi genitori, senza eccedere in superbia e, pur con un filo di autocompiacimento, con una meritevole distinzione che allieta il pregio della loro recitazione. Una robusta sceneggiatura in napoletano stretto con sottotitoli è anch’essa un ingrediente trionfante per un piccolo capolavoro che, negli anni, senza ombra di dubbio non mancherà di fare scuola ai cineasti a venire, per come l’orchestrazione delle parti non sia una loro mera somma, bensì una partitura ben schematizzata e complice di una ricerca stilistica che agguanta a piene le mani la più soave precisione. Presentato in concorso a Venezia 2016.
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ennio
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venerdì 27 ottobre 2017
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realismo+originalità+umorismo+surrealismo
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Una bella sorpresa che il cinema italo-napoletano riserva agli orfani del realismo. Solo la scena dello sfogo di Peppe per le spese insulse della moglie vale un Oscar alla comicità. Molto brave le due gemelle. I personaggi del prete-boss che pratica cerimonie iniziatiche neognostiche e del ricco pervertito che organizza ritrovi di mostri sessualmente deviati, sono talmente estremi da sembrare surreali, ma temo che si avvicinino molto alla realtà. Intensa anche la rappresentazione del gruppo familiare allargato e del gruppo sociale allargato composto di umanità spesso derelitte che, nonostante tutto, campano cercando di non farsi troppo male. Quattro stelle abbondanti.
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tmpsvita
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lunedì 16 ottobre 2017
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un prodotto notevole al quale manca però, emozione
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Indivisibili è forse uno dei più acclamati film italiani degli ultimi dieci anni, vincitore di prestigiosi premi e attualmente in lizza per entrare, rappresentando l'Italia, nella lista per conquistare una nomination agli Oscar.
Dopo tutte queste premesse non potevo che avere aspettative piuttosto elevate anche se il trailer non mi aveva attirato più di tanto.
Dopo averlo finito sono rimasto un po' dubbioso su che giudizio attribuirgli perché l'intenzione di fare qualcosa di importante e non ancora esplorato nel cinema nostrano si percepisce.
Però è anche vero che dopo tutte quelle lodi mi sarei aspettato un film non più bello o realizzato meglio ma un po' più emozionante, ci sono vari momenti nei quali poteva trasmettere qualcosa di più forte ma a causa di una sceneggiatura che spesso ha paura di essere presa poco sul serio e che quindi risulta ogni tanto troppo seria e un po' fredda.
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Indivisibili è forse uno dei più acclamati film italiani degli ultimi dieci anni, vincitore di prestigiosi premi e attualmente in lizza per entrare, rappresentando l'Italia, nella lista per conquistare una nomination agli Oscar.
Dopo tutte queste premesse non potevo che avere aspettative piuttosto elevate anche se il trailer non mi aveva attirato più di tanto.
Dopo averlo finito sono rimasto un po' dubbioso su che giudizio attribuirgli perché l'intenzione di fare qualcosa di importante e non ancora esplorato nel cinema nostrano si percepisce.
Però è anche vero che dopo tutte quelle lodi mi sarei aspettato un film non più bello o realizzato meglio ma un po' più emozionante, ci sono vari momenti nei quali poteva trasmettere qualcosa di più forte ma a causa di una sceneggiatura che spesso ha paura di essere presa poco sul serio e che quindi risulta ogni tanto troppo seria e un po' fredda.
A parte questo il resto è davvero ben fatto, sia dal punto di vista tecnico che artistico.
Una regia molto matura e pronta a potersi confrontare con il mercato estero. Ottima la fotografia, che mi ha colpito in più di una scena creando, attraverso dei colori molto freddi, un'atmosfera cupa e triste.
Le due giovani protagoniste hanno svolto un grande lavoro riuscendo a far trasparire dai loro personaggi molte sfaccettature alcune molto interessanti.
Splendida la scenografia che costruisce una Napoli mai vista prima, priva delle solite immagini quasi stereotipate che spesso troviamo nei film, con dei paesaggi suggestivi e assolutamente non caratteristici, in alcune parti mi è sembrata quasi la Louisiana.
Un film molto particolare, lento, pesante, esteticamente e tecnicamente notevole, narrativamente piacevole, ma a cui manca un po' di emozione in più.
VOTO: 7/10
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valterchiappa
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martedì 26 settembre 2017
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favole dal degrado: il cinema italiano risorge
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La penna di Nicola Guaglianone, sceneggiatore di “Lo chiamavano Jeeg Robot” ama osare; raccontare storie inedite, mescolare registri, reinventare generi, così come accaduto per l’acclamato film di Gabriele Mainetti. In “Indivisibili”, assieme al regista Edoardo De Angelis (“Mozzarella stories”, “Perez”), ci racconta un’altra favola, così come sa fare lui, utilizzando ingredienti in insolito accostamento, a volte in stridente contrasto, ma rivestendoli comunque con un alone di purissima poesia.
L’ambientazione, fondamentale, è sparata subito nella sequenza iniziale.
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La penna di Nicola Guaglianone, sceneggiatore di “Lo chiamavano Jeeg Robot” ama osare; raccontare storie inedite, mescolare registri, reinventare generi, così come accaduto per l’acclamato film di Gabriele Mainetti. In “Indivisibili”, assieme al regista Edoardo De Angelis (“Mozzarella stories”, “Perez”), ci racconta un’altra favola, così come sa fare lui, utilizzando ingredienti in insolito accostamento, a volte in stridente contrasto, ma rivestendoli comunque con un alone di purissima poesia.
L’ambientazione, fondamentale, è sparata subito nella sequenza iniziale. Dall’estrema periferia di Roma, andando incontro al napoletano De Angelis, si arriva all’estrema periferia della Campania, o forse d’Italia: quel litorale domizio, territorio devastato dal degrado più totale, dai rifiuti tossici, dall’abusivismo edilizio, ormai propaggine d’Africa e di ogni terzo mondo possibile. Ma se Enzo Ceccotti, pur nella sua solitudine, si inseriva perfettamente nella sua Tor Bella Monaca, fra le case fatiscenti di Castelvolturno Guaglianone colloca due angeli: le gemelle Viola e Daisy (Marianna e Angela Fontana).
Le ragazze sono siamesi, unite all’altezza del bacino (il loro nome è una citazione delle sorelle Daisy e Violet Hilton di “Freaks”). Dotate di una voce melodiosa, si esibiscono nei ricevimenti trash della zona cantando le canzoni neomelodiche scritte dal padre (Massimiliano Rossi), che gestisce e sfrutta il loro talento. La loro menomazione fisica fa da richiamo, ma non sono dei fenomeni di baraccone. Si presentano con un abito argenteo, i visi puliti e luminosi; freaks appaiono piuttosto i grotteschi personaggi che le circondano. In quel coacervo multietnico dalla religiosità paganeggiante, attorno alle loro figure si è addirittura costruita un’aura mistica. La pura bellezza e quella insolita caratteristica fisica sono viste come segni del Soprannaturale e le ragazze venerate come sante; un sordido prete (Gianfranco Gallo) alimenta il culto spontaneo per governare il suo colorito gregge.
La descrizione iniziale è così tutto un giocare fra estremi opposti: fra pura bellezza e squallore senza rimedio, fra candore e aberrazione morale. Ma anche le due ragazze, sin dalla prima sequenza, in cui una si tocca mentre l’altra dorme placidamente, appaiono come due emisferi di un’entità che in realtà pare unica. Viola dall’animo semplice e disposta a contentarsi del suo poco, Daisy inquieta e pronta a farsi valere quando occorre. Ragione ed istinto: due anime diverse unite dal caso o un’anima sola separata fra due teste e due nomi?
Vivono così Viola e Daisy, chiuse nel loro piccolo mondo, nella loro casupola fatiscente, con un padre padrone diviso fra le velleità da artista e il vizio del gioco e una madre (Antonia Truppo) che si assenta nel fumo delle canne, davanti a quella lurida spiaggia, in mezzo a quel degrado. Ma hanno ugualmente i sogni e le pulsioni di ogni altra adolescente del mondo. Vivono così, vincolate, così come uniti sono i loro corpi, ad un destino che pare ineluttabile, finché un medico svizzero (Peppe Servillo) diagnostica, e gli accertamenti clinici lo confermano, che le ragazze possono essere divise senza rischi con un semplice intervento chirurgico.
Dividere. Questo diventa il tema dominante. Dividere: è la parola che ossessivamente Daisy cerca di inculcare nella mente della sorella in una delle scene più intense del film. Perché è ovviamente Daisy che intraprende con decisione quel cammino che rappresenta un percorso di crescita. Lo farà, sempre trascinando Viola, affrontando mille traversie. Lo farà fino alle estreme conseguenze, perché crescere comporta sempre uccidere una parte di sé. Ma ci si può dividere? In fondo ci si divide mai?
Questa la poetica favola di De Angelis e Guaglianone.
Ma c’è un aspetto, altrettanto favolistico, che contribuisce in maniera determinante a rendere “Indivisibili”, così com’è, un film bellissimo: la presenza delle gemelle Fontana, esordienti provenienti dal mondo dei talent show (sì, a volte i miracoli accadono). Innanzitutto per la presenza scenica: i volti delle sorelle napoletane colmano ed illuminano lo schermo; se ne avvede De Angelis che li insegue costantemente, confezionando inquadrature preziose (di valore pittorico la sequenza in cui sono portate in processione addobbate come Madonne pagane) o inseguendole freneticamente con la camera a mano. Ma intensa e toccante è anche la loro interpretazione, favorita dall’uso di un dialetto campano strettissimo, efficace nel rappresentare le diversità, viscerale nell’esprimere l’inestinguibile sentimento fra le due sorelle.
La regia di De Angelis è impeccabile: non solo capace di alimentarsi del materiale umano fornitole dalle protagoniste, che a sua volta valorizza col gesto tecnico; ma anche lapidaria nei piani sequenza con cui fotografa implacabilmente i desolanti scenari dell’ambientazione; e visionaria nella costruzione delle scene con cui dipinge il contrasto fra bellezza e bruttura, fra favola e realtà che è il vero leitmotiv del film. Ottimi gli interpreti secondari. Se Antonia Truppo (David di Donatello come migliore attrice non protagonista per “Lo chiamavano Jeeg Robot”) si conferma una caratterista affidabile, Massimiliano Rossi, proveniente dall’ambiente teatrale partenopeo, è volto che si impone per intensità. La colonna sonora di Enzo Avitabile, satura di contaminazioni, si sposa perfettamente col melting pot culturale rappresentato nel film.
Cosa manca allora a “Indivisibili” per essere un capolavoro? Nulla: c’è troppo. La storia di Dasy e Viola forse avrebbe avuto bisogno di più linearità, di parlare solo con la sua poeticità. Guaglianone, nella sua foga innovativa, utilizza, mescolandoli, vari linguaggi: la favola, il crudo realismo, il grottesco, la satira. Ma stavolta l’amalgama non è perfetto. Lo scenario retrostante, nella sua drammaticità, urla troppo e non si contenta di essere uno sfondo. Il grottesco è insistito forzatamente nella scena, che appare sovrabbondante, dello yacht popolato da freaks del laido impresario (che porta l’evocativo nome di Marco Ferreri) perversamente attratto dalle deformità.
Ma, nonostante questo, “Indivisibili” resta un film da vedere assolutamente. L’obiettivo di Edoardo De Angelis e la penna di Nicola Guaglianone, con tecnica e creatività, aprono nuove prospettive al nostro cinema e al cinema in generale. Questa volta non correranno verso gli Oscar. Ma la strada è aperta.
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angeloumana
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martedì 12 settembre 2017
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un ambiente che "fà scuorno"
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Protagonista del film è l'ambiente dove il regista e sceneggiatore Edoardo De Angelis ha “immaginato” la sua storia, più delle due angeliche sorelle gemelle – 18enni nei loro personaggi - letteralmente “unite per la pelle”, che cantano nelle feste di comunioni e matrimoni del circondario. Il loro agente è il padre, senza scrupoli e che non tiene nel minimo conto la volontà delle ragazze, sfrutta la loro dipendenza che è quasi schiavitù, ne accumula i ricavi per spenderli a suo modo. La vicenda è immaginata ma trae spunto abbondantemente dal sottobosco della regione: qui siamo tra Castelvolturno e Baia Domizia.
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Protagonista del film è l'ambiente dove il regista e sceneggiatore Edoardo De Angelis ha “immaginato” la sua storia, più delle due angeliche sorelle gemelle – 18enni nei loro personaggi - letteralmente “unite per la pelle”, che cantano nelle feste di comunioni e matrimoni del circondario. Il loro agente è il padre, senza scrupoli e che non tiene nel minimo conto la volontà delle ragazze, sfrutta la loro dipendenza che è quasi schiavitù, ne accumula i ricavi per spenderli a suo modo. La vicenda è immaginata ma trae spunto abbondantemente dal sottobosco della regione: qui siamo tra Castelvolturno e Baia Domizia. C'è il degrado, storie sordide di violenza e sopraffazione, vite d'espedienti, mercificazione della fede, qui rappresentata da un prete che ha fattezze e comportamenti da boss. Tutto questo ambiente si intravvede dai primi fotogrammi, quando delle prostitute tornano alle loro case in un'alba buia, è come la presentazione di un luogo e delle sue condizioni di vita.
Le immagini sono grottesche, caricatura (ma non tanto) di un mondo che esiste davvero, creature umane trasfigurate – anche per effetto delle riprese - per le caratteristiche che devono impersonare e per i modi di condurre le loro vite: viene dal padre e dal prete consigliato alle due sorelle di restare unite per le anche, di non farsi operare per la separazione – del resto per uno sono fonte di guadagno e per l'altro attrazione per eventi “religiosi” - viene detto loro che solo così possono condurre una vita agiata e di un certo successo, sfruttando la loro situazione di cantanti Indivisibili, che separate vivrebbero di stenti come i tanti attorno a loro.
E' un buon film, originale e con fantasia e molto, molto triste, arricchito da canzoni campane e dalle musiche di Enzo Avitabile. Gli appartenente al cast sono di ottimo livello e danno il carattere giusto alle loro parti: Antonia Truppo come madre delle gemelle, le sorelle Marianna e Angela Fontana, Gianfranco Gallo che è l'equivoco prete Don Salvatore, Massimiliano Rossi nella parte del papà-impresario, Peppe Servillo che è il medico e, come seduttore circondato da donne e ricchezze, Gaetano Bruno.
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(di angeloumana)
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