vanessa zarastro
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sabato 2 aprile 2016
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le mine nemiche
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Forse un gioco di parole? Friend of mine è un mio amico (letteralmente un amico dei miei) ma mine vuol dire anche le mine quelle che esplodono e che vanno disinnescate. Lungo la costa occidentale della Danimarca i tedeschi avevano riempito di mine le spiagge pensando che lo sbarco degli Alleati avvenisse lì. Nel 1945, a guerra finita, i danesi si ritrovano a usare i prigionieri tedeschi per epurare le spiagge dalle mine. Sappiamo bene che “i colpi di coda” sono tremendi e quando le guerre finiscono tutto il lavoro sporco prima dei vari rientri a casa è un momento dolente dove rabbie, frustrazioni e violenze gratuite si abbattono sui sopravvissuti.
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Forse un gioco di parole? Friend of mine è un mio amico (letteralmente un amico dei miei) ma mine vuol dire anche le mine quelle che esplodono e che vanno disinnescate. Lungo la costa occidentale della Danimarca i tedeschi avevano riempito di mine le spiagge pensando che lo sbarco degli Alleati avvenisse lì. Nel 1945, a guerra finita, i danesi si ritrovano a usare i prigionieri tedeschi per epurare le spiagge dalle mine. Sappiamo bene che “i colpi di coda” sono tremendi e quando le guerre finiscono tutto il lavoro sporco prima dei vari rientri a casa è un momento dolente dove rabbie, frustrazioni e violenze gratuite si abbattono sui sopravvissuti. Disumana è la guerra e disumani sono i soldati: i vinti sono vinti e vanno umiliati al di là di quello che hanno fatto loro stessi o coloro che li hanno comandati. Siamo sempre all’interno dell’argomentazione sulla “banalità del male” tanto bene descritta da Hanna Arendt.
Una volta tanto al cinema i nazisti vinti diventano vittime, ragazzini giovanissimi arruolati probabilmente all’ultimo, senza alcuna esperienza bellica. Non si sa più chi siano le vittime del Nazismo, a parte i sei milioni di ebrei ammazzati, forse lo sono anche gli stessi tedeschi, sembrerebbe essere la tesi del film. È proprio qui che il regista danese ha il coraggio di vedere la tirannia e la cattiveria di chi ha vinto – anche se sono gli stessi danesi a essere descritti così – di descriverne il potere dell’umiliazione (tremenda la scena in cui i soldati danesi pisciano sui ragazzi tedeschi che purtroppo è tristemente utilizzata da infami anche in periodi di pace - vedere il trattare un ragazzo tedesco come fosse un cane, farlo giocare con la palla e farlo abbaiare: tutte violenze gratuite che l’animo umano purtroppo riesce a tirare fuori in disparate circostanze. Questi sono i temi centrali del film. Di quattordici giovani tedeschi - di cui nel frattempo impariamo i nomi, le provenienze e i desideri - ne sopravviveranno solo quattro.
Le lunghe spiagge incontaminate che assomigliano al deserto, i tramonti sull’oceano, le intemperie sui volti impauriti dei ragazzi che rischiano la vita in ogni frazione di secondo sono le splendide immagini di questo film molto duro, dove nessuno si salva da errori del comportamento. Il finale, forse un po’ appiccicato, ha il gusto del gesto riparatorio non solo nei confronti dei sensi di colpa del sergente, ma anche dello spettatore che è rimasto un’ora e mezza in apnea con il mal di stomaco.
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ashtray_bliss
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lunedì 11 luglio 2016
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come le mine sotto la sabbia.
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Under sandet è un film poetico, delicato ma anche graffiante, incisivo, duro come la realtà che descrive e che impeccabilmente mette in scena il regista danese Zandvliet fotografando una realtà post-bellica cruda, spietata, disumana, dove forse però c'è ancora uno spiraglio di speranza vivo sotto quella sabbia di mine. La storia segue le vicende di un piccolo gruppo di giovanissimi soldati tedeschi, tutti con meno di 18 anni, i quali vengono catturati dall'esercito danese e impiegati per disinnescare le centinaia di mine disseminate dai nemici in una delle tante spiagge della costa danese.
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Under sandet è un film poetico, delicato ma anche graffiante, incisivo, duro come la realtà che descrive e che impeccabilmente mette in scena il regista danese Zandvliet fotografando una realtà post-bellica cruda, spietata, disumana, dove forse però c'è ancora uno spiraglio di speranza vivo sotto quella sabbia di mine. La storia segue le vicende di un piccolo gruppo di giovanissimi soldati tedeschi, tutti con meno di 18 anni, i quali vengono catturati dall'esercito danese e impiegati per disinnescare le centinaia di mine disseminate dai nemici in una delle tante spiagge della costa danese. I ragazzi sono tutti inesperti, impauriti e disorientati sono prigionieri di guerra i diritti dei quali vengono calpestati e non hanno altra scelta che obbedire. Vengono sottoposti al comandante Rasmussen il quale dapprima si comporta con assoluta spietatezza nei loro confronti. I ragazzi vengono costantemente disumanizzati, non rappresentano dei nomi, delle storie, delle sofferenze. Vengono visti solo in qualità di nemici, di tedeschi che devono pagare per gli errori e gli orrori di una guerra che non hanno scelto e non hanno combattuto provano e pagano con la loro sofferenza le barbarie commesse da altri. Ma ora non hanno scampo. E quella bellissima spiaggia bianca, smette di essere sinonimo di un luogo idilliaco, di spensieratezza e richiamo di vita tramutandosi in un inferno dove ora dopo ora, giorno dopo giorno, i ragazzi vedono scomparire le loro speranze e aspettative. Molte volte anche la loro stessa vita viene coperta dalla sabbia quando imprudenti o impreparati saltano in aria grazie alle mine che devono recuperare. Sotto la sabbia si nascondono le mine, ma la sabbia è l'elemento chiave che porta all'esaurimento nervoso i ragazzi, la sabbia è colei che inghiottische le loro speranze, i sogni di ciascuno di loro, la loro costanza e pazienza, in definitiva la loro innocenza. In quella missione, su quella maledetta spiaggia i ragazzi si ritrovano a dover affrontare precocemente responsabilitò che non gli spettano e non si meritano pagando salato il prezzo degli orrori di guerra commessi dai loro padri. La loro innocenza svanisce poco a poco, sotto la sabbia, in un clima di violenza, psicologica e fisica, alla quale non sanno come rispondere o come reagire. Stremati dalla fatica, affamati in quanto obbligati a lavorare digiuni, radunati e rinchiusi dentro una cascina la sera, come gli animali in una stalla, per assicurasi che non scappassero.
Ma in questo cima di cupicità e grigiume morale, dove le parti di vittima e carnefice sono ribaltate, è proprio il sergente Rasmussen a fare il primo passo verso la differenza, dimostrando che l'umanità per quanto repressa negli individui non è mai del tutto morta e basta un piccolo gesto, o una parola per risvegliarla e riportarla in superficie. Il sergente si avvicinerà particolarmente ad uno dei ragazzi più grandi, Sebastian, col quale poco a poco si costruisce un rapporto di amicizia e rispetto reciproco. Il sergente si ritroverà cosi ad andare contro il suo stesso sitema e ordinamento militare quando porta da magiare ai ragazzi pochi pezzi di pane e frutta, quando si mette a confortare uno dei ragazzi distrutto dal dolore per la perdita del suo fratello gemello, quando interviene per fermare i maltrattamenti e vessazioni verso i giovani subite per mano dei suoi superiori. Si assiste cosi ad un progrssivo cambiamento nell'atteggiamento del militare il quale riscopre la sua umanità soffocata e repressa riuscendo a ristabilire un contatto umano con quei ragazzi che prima rappresentavano solo il nemico brutale, l'oppressore umiliato, l'invasore vinto. La spiaggia seppur per poco riesce a riecheggiare il suo atavico significato di vita e speranza. Anche la brutale realtà però che devono affrontare questi improvvisati artificieri è sempre in agguato e giorno dopo giorno segna le loro esistenze con la morte dei compagni, le grida di dolore, il sangue versato su quella idilliaca spiaggia bianca. Di quattordici ragazzi iniziali solo quattro sopravvivono alla fine di quel estenuante missione. A loro viene promessa la libertà, il ritorno a casa, ma i superiori di Rasmussen hanno altri piani per loro. Il piano è essere traferiti su un altra spiaggia assime ad un nuovo gruppo di giovanissimi, per proseguire il lavoro di sminamento delle coste. La loro vita non ha alcuna importanza, non importa se muiono di fame, di malattia o esplodendo sulle mine. Continuano ad essere visti come tedeschi, dei quali la vita equivale alle mine che dissepelliscono. Ma il loro ex comandante è determinato a mantenere la parola, e facendoli caricare su un camion li porterà in prossimità del confine tedesco, verso il quale iniziano a correre, ormai come uomini liberi, lasciandosi alle spalle la loro personale guerra.
Il film è delicato e struggente al tempo stesso, meticolosicamente studiato e sorretto da una regia impeccabile, attenta a far risaltare i mini dettagli delle situazioni e capace di fotografare in maniera lucida e cristallina, senza troppi sentimentalismi o sfronzoli, le dinamiche relazionali che vengono a crearsi all'interno del gruppo di giovani soldati. Adornato da una splendida fotografia naturale Land of Mine cattura tutta la bellezza e la barbarie dell' animo umano in un ambiente post-bellico. La guerra per quel gruppo di giovani, non ancora pronti a diventare uomini, inizia proprio con la loro cattura e l'inizio del loro personale calvario sulla spiaggia minata.
La bellezza del paesaggio naturale svanisce, brutalizzata dalla realtà che sotto quel angolo di paradiso si nasconde l'inferno di mine, pronto a segnare dolorosamente la fine della vita. I soldati non hanno combattuto in guerra ma sono costretti ad affrontare la morte e conviverci, a sopportare il dolore dei loro compagni che perdono le braccia nel tentativo di estrarre le mine, a convivere con una responsabilità morale indicibile che grava sulle loro spalle. Pochi sono i frammenti di luce e di umanità che emergono da questo spietato e delicato al tempo stesso ritratto storico di un evento molto poco conosciuto al mondo. Di un evento dove per una volta i ruoli di vittima e aguzzino sono scambiati. Eppure l'empatia, la compassione, l'umanità sono piccole azioni e gesti, come una partita di calcio, una chiaccherata sulla spiaggia che poco a poco emergono e ripristinano un flebile senso di fiducia nel prossimo. Molto convincente e matura l'interpretazione dei giovanissimi attori e veramente impeccabile la prova attoriale di R. Moller nelle vesti del sergente.
Un film bellissimo, toccante, emozionante e delicato che senza mai eccedere o scadere riesce a bilanciare e dosare perfettamente il mix di sensazioni e sentimenti contrastanti che emergono, ottenendo un prodotto forte che ricorda come la guerra, qualsiasi sia il contesto in cui ha luogo e la parte lesa, procura solo ferite che non si riemargineranno più. Ma sopratutto procura dolore e divisione laddove le persone hanno bisogno del contatto umano e della solidarietà più di ogni altra cosa.
Ennesimo capolavoro indipendente del cinema nordico che come sempre non si smentisce e non delude. 4,5/5 Consigliatissimo.
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filippotognoli
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venerdì 8 aprile 2016
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quando le vittime diventano carnefici (e viceversa
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Siamo alla fine della 2nda guerra mondiale nello scenario poco conosciuto delle spiaggie danesi pesantemente minate dai Tedeschi x timore dello sbarco degli Alleati. Il conflitto e' finito, ma non lo spirito di vendetta e di odio cieco dei soldati/civili danesi contro gli invasori nazisti. A farne le spese sono un gruppo di ragazzi tedeschi che non solo devono sminare le spiaggie, ma soprattutto devono sottomettersi ad ogni tipo di sopruso da parte dei loro aguzzini. Assistiamo quindi ad un ribaltamento dei ruoli dove le vittime, in q.to caso i Danesi, si trasformano in carnefici, riservando lo stesso trattamento ricevuto nei 5 anni di occupazione ai, in questo caso, incolpevoli soldati nazisti, troppo giovani e inesperti x aver commesso qualsivoglia crimine.
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Siamo alla fine della 2nda guerra mondiale nello scenario poco conosciuto delle spiaggie danesi pesantemente minate dai Tedeschi x timore dello sbarco degli Alleati. Il conflitto e' finito, ma non lo spirito di vendetta e di odio cieco dei soldati/civili danesi contro gli invasori nazisti. A farne le spese sono un gruppo di ragazzi tedeschi che non solo devono sminare le spiaggie, ma soprattutto devono sottomettersi ad ogni tipo di sopruso da parte dei loro aguzzini. Assistiamo quindi ad un ribaltamento dei ruoli dove le vittime, in q.to caso i Danesi, si trasformano in carnefici, riservando lo stesso trattamento ricevuto nei 5 anni di occupazione ai, in questo caso, incolpevoli soldati nazisti, troppo giovani e inesperti x aver commesso qualsivoglia crimine. L'orrore e la disumanita' della guerra, anche quand'essa e' gia' finita, la cattiveria e il sentimento di vendetta del genere umano senza limiti e senza bandiere, sono resi in modo molto crudo e realistico. Gli attori sono tutti sconosciuti al grande pubblico e q.to aggiunge ancora piu' credibilita' e verosimiglianza con i personaggi interpretati. Il titolo e' un ovvio gioco di parole con l'espressione inglese "friend of mine", e nel corso del film viene svelato il suo significato "nascosto". Visione consigliata a tutte le scuole che studiano il periodo nazista e la Seconda guerra mondiale.
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giulio vivoli
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lunedì 28 marzo 2016
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dopo e oltre la guerra
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TEMA DI LAND OF MINE
Il tema della guerra affrontato dal lato della vendetta e dell’espiazione nei confronti delle colpe dell’esercito nazista, chiamato a riparare i danni provocati in tempo di guerra. Land Of Mine racconta la poco nota vicenda storica dello sminamento di centinaia di chilometri di costa danese, per portare a termine il quale vennero utilizzati al termine della Seconda Guerra Mondiale, clandestinamente e fuori dalle Convenzioni belliche, duemila prigionieri tedeschi per lo più giovanissimi, che per metà sarebbero morti o rimasti mutilati durante le operazioni di bonifica. Il film tratta questa drammatica pagina come pena di contrappasso contro gli sconfitti, prevedendo non solo il conseguente capovolgimento dei ruoli tra le parti, con i soldati nazisti prigionieri e oppressi e i loro colleghi danesi carcerieri e aguzzini, ma anche la perfetta riambientazione invertita degli elementi materiali e psicologici, come la casa-dormitorio modello lager, i lavori forzati, la denutrizione, le umiliazioni e le sofferenze psicologiche.
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TEMA DI LAND OF MINE
Il tema della guerra affrontato dal lato della vendetta e dell’espiazione nei confronti delle colpe dell’esercito nazista, chiamato a riparare i danni provocati in tempo di guerra. Land Of Mine racconta la poco nota vicenda storica dello sminamento di centinaia di chilometri di costa danese, per portare a termine il quale vennero utilizzati al termine della Seconda Guerra Mondiale, clandestinamente e fuori dalle Convenzioni belliche, duemila prigionieri tedeschi per lo più giovanissimi, che per metà sarebbero morti o rimasti mutilati durante le operazioni di bonifica. Il film tratta questa drammatica pagina come pena di contrappasso contro gli sconfitti, prevedendo non solo il conseguente capovolgimento dei ruoli tra le parti, con i soldati nazisti prigionieri e oppressi e i loro colleghi danesi carcerieri e aguzzini, ma anche la perfetta riambientazione invertita degli elementi materiali e psicologici, come la casa-dormitorio modello lager, i lavori forzati, la denutrizione, le umiliazioni e le sofferenze psicologiche. Certo, siamo lontani dagli orrori dei campi di sterminio nazisti, manca la fredda e folle logica dello sterminio a determinare la stessa cupezza e crudeltà da girone infernale dei lager, tuttavia anche qui non mancano né la crudezza descrittiva, né gli accenti sadici e disumani che le circostanze impongono. Di fronte a un branco di dimessi e spauriti adolescenti, malvestiti con ciò che resta delle loro un tempo terrificanti divise, sia lo spettatore in poltrona che il sergente-neokapò danese non possono allora non commuoversi fino all’indulgenza e all’assoluzione, deponendo l’odio e il senso della vendetta per provare compassione quando non anche simpatia verso i loro visi teneri e ancora imberbi. . Tra solenni paesaggi di desolate spiagge avvolte da folate di vento, poetiche inquadrature dall’alto di grande cinema, come una corsa spensierata dei ragazzi-soldato tra le dune di sabbia o una festosa partita di calcio sulla spiaggia selvaggia, alcune sequenze drammatiche delle dilanianti esplosioni di mine e altre di grande intensità emotiva nel rapporto psicologico tra custode e prigionieri, Land Of Mine è un capolavoro di verismo senza retorica o pietismo, duro e angosciante e al tempo stesso dolce e vibrante di umanità. GV ****
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bericopredieri
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giovedì 12 maggio 2016
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ottimo film su una storia sconosciuta.
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Bellissimo, toccante, e durissimo film, anche dal punto di vista delle immagini, vedi la scena del ragazzo con entrambe le braccia amputate dall'esposione. Non si conosceva questa storia e bene ha fatto il regista a proporla all'attenzione del grande pubblico, la Germania, sopratutto nelle ultime fasi della guerra, aveva supplito alle tante perdite gettando in campo forze giovanissime, adolescenti e ragazzini che in questo film sono proprio quelli che vengono usati per bonificare un tratto di costa cosparso di mine. La cattiveria e l'arroganza dei miltari danesi verso questi "soldati" che potrebbero essere loro figli disorienta e addolora, sopratutto se arriva da un popolo come quello danese considerato da sempre simbolo di civiltà, ma si sa la guerra è guerra.
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Bellissimo, toccante, e durissimo film, anche dal punto di vista delle immagini, vedi la scena del ragazzo con entrambe le braccia amputate dall'esposione. Non si conosceva questa storia e bene ha fatto il regista a proporla all'attenzione del grande pubblico, la Germania, sopratutto nelle ultime fasi della guerra, aveva supplito alle tante perdite gettando in campo forze giovanissime, adolescenti e ragazzini che in questo film sono proprio quelli che vengono usati per bonificare un tratto di costa cosparso di mine. La cattiveria e l'arroganza dei miltari danesi verso questi "soldati" che potrebbero essere loro figli disorienta e addolora, sopratutto se arriva da un popolo come quello danese considerato da sempre simbolo di civiltà, ma si sa la guerra è guerra...
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angelo umana
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sabato 9 aprile 2016
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l'acme della tensione
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Forse nel titolo del film c’è un gioco di parole, Land of mine come Il mio paese potrebbe potersi chiamare land of mines, paese di mine. Così rimase la Danimarca alla fine della seconda guerra mondiale: le sue coste erano state disseminate capillarmente di mine dagli occupanti tedeschi, pensavano che lì sarebbero sbarcati gli americani, alleati dei loro nemici. Effetti “secondari” del conflitto mondiale, facile pensare che la guerra era finita, ma bisognava sminare le coste da 1,5 milioni di mine. Per la legge del contrappasso gli “occupati” durante la guerra, i danesi, fecero lavorare alla ricerca di mine i prigionieri tedeschi, ex occupanti, del resto le avevano messe loro, o i soldati che li avevano preceduti.
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Forse nel titolo del film c’è un gioco di parole, Land of mine come Il mio paese potrebbe potersi chiamare land of mines, paese di mine. Così rimase la Danimarca alla fine della seconda guerra mondiale: le sue coste erano state disseminate capillarmente di mine dagli occupanti tedeschi, pensavano che lì sarebbero sbarcati gli americani, alleati dei loro nemici. Effetti “secondari” del conflitto mondiale, facile pensare che la guerra era finita, ma bisognava sminare le coste da 1,5 milioni di mine. Per la legge del contrappasso gli “occupati” durante la guerra, i danesi, fecero lavorare alla ricerca di mine i prigionieri tedeschi, ex occupanti, del resto le avevano messe loro, o i soldati che li avevano preceduti.
Nell’episodio del film però i prigionieri sono poco più che bambini, dai 13 ai 18 anni, portati in guerra quando i soldati tedeschi più anziani scarseggiavano. Il sergente danese Carl Rasmussen (Roland Moller) che li comanda è il concentrato di tutto l’odio che gli invasi potevano covare nei confronti degli invasori, ha spirito di vendetta perfino sui prigionieri che, dimessi e distrutti, se ne tornano a casa: fa pensare a cosa un uomo così può aver subito durante la guerra, forse la perdita della sua famiglia, nel film è solo, non ha affetti, al punto che un minimo di umanità lo esprimerà solo verso la fine a quei ragazzi “sminatori”, ma all’inizio li lasciava senza cibo. Sono tedeschi, Karl, gli viene detto da un suo superiore, come fossero “meno che uomini”. Li provocava, li aggrediva, vivevano in una baracca che veniva chiusa dall’esterno di notte, facile pensare a quelle dei lager (di cui forse nessuno ancora sapeva): il sergente pare un’imitazione di quell’altro più famoso, l’Hartman di Full Metal Jacket (1987).
Dei 2000 prigionieri sminatori ne morirono metà ma della squadra di ragazzi tedeschi del film sopravvivono solo quattro sui quattordici iniziali. Il film è disseminato di ansia fino al parossismo lungo tutto il suo percorso, dà la continua paura che qualcuno salti su una mina, cosa che regolarmente succede. Se ne consiglia la visione, come documento ma anche per la forte tensione che il regista Martin Zandvliet ha creato. E’ banale il titolo italiano, Sotto la sabbia, questo fu il titolo di un magnifico film del 2000, con Charlotte Rampling.
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giuliog02
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giovedì 15 dicembre 2016
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indimenticabile
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Un film drammatico, crudo, e con scene violente, di denuncia della condotta criminale dell'esercito danese nei riguardi di giovani prigionieri tedeschi. Narrazione essenziale, cruda, assolutamente credibile, di fatti che oggi appaiono inaccettabili e che nel contesto del periodo finale della seconda guerra mondiale rientravano, purtroppo, nella modalità di conduzione di molti eserciti e popolazioni. Sono rimasto incollato allo schermo, ho partecipato e sofferto alla narrazione dello svolgimento dei fatti e gioito dei rari momenti di mancanza di dolore o degli attimi di umanità o di normale breve benessere psichico vissuti dai protagonisti. Eccellente la narrazione della maturazione umana del sergente e credibile la sua scelta, in contrasto con le disposizioni ricevute, da uomo con la spina dorsale diritta, del rispetto della parola data, consentendo la fuga dei quattro prigionieri sopravvissuti, dopo la fine del compito loro assegnato.
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Un film drammatico, crudo, e con scene violente, di denuncia della condotta criminale dell'esercito danese nei riguardi di giovani prigionieri tedeschi. Narrazione essenziale, cruda, assolutamente credibile, di fatti che oggi appaiono inaccettabili e che nel contesto del periodo finale della seconda guerra mondiale rientravano, purtroppo, nella modalità di conduzione di molti eserciti e popolazioni. Sono rimasto incollato allo schermo, ho partecipato e sofferto alla narrazione dello svolgimento dei fatti e gioito dei rari momenti di mancanza di dolore o degli attimi di umanità o di normale breve benessere psichico vissuti dai protagonisti. Eccellente la narrazione della maturazione umana del sergente e credibile la sua scelta, in contrasto con le disposizioni ricevute, da uomo con la spina dorsale diritta, del rispetto della parola data, consentendo la fuga dei quattro prigionieri sopravvissuti, dopo la fine del compito loro assegnato. Ambientazione di struggente bellezza ( paradossale che eventi così tragici potessero aver luogo in ambienti così naturalmente belli e/o poetici ), ottima recitazione, perfetto uso della macchina da presa sia in campo lungo che nei primi piani. Stacchi sempre ben riusciti. Un film che rivedrò alla prima occasione utile.
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flyanto
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giovedì 31 marzo 2016
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ulteriori giovani vittime a seguito del conflitto
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Ogni conflitto, è risaputo, miete vittime, sia innocenti che non , e "Land of Mine" presenta un nuovo aspetto o, per lo meno, un aspetto della storia meno conosciuto riguardante le giovanissime vittime a seguito dell'opera di sminamento nelle spiagge danesi costituite dai giovanissimi soldati tedeschi prigionieri.
Terminato il secondo conflitto mondiale le spiagge danesi devono essere completamente ripulite dalle mine poste sotto la sabbia dai soldati tedeschi nel corso, appunto, della guerra. Per questo compito vengono reclutati i giovanissimi soldati tedeschi di circa 15/18 anni fatti prigionieri e posti sotto il severo e costante comando di un generale danese.
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Ogni conflitto, è risaputo, miete vittime, sia innocenti che non , e "Land of Mine" presenta un nuovo aspetto o, per lo meno, un aspetto della storia meno conosciuto riguardante le giovanissime vittime a seguito dell'opera di sminamento nelle spiagge danesi costituite dai giovanissimi soldati tedeschi prigionieri.
Terminato il secondo conflitto mondiale le spiagge danesi devono essere completamente ripulite dalle mine poste sotto la sabbia dai soldati tedeschi nel corso, appunto, della guerra. Per questo compito vengono reclutati i giovanissimi soldati tedeschi di circa 15/18 anni fatti prigionieri e posti sotto il severo e costante comando di un generale danese. Dapprima i rapporti tra le due parti sono quanto mai ostili poi, piano piano, attraverso la conoscenza e la quotidianità dei rapporti migliorano e diventano più umani ed all'insegna del reciproco rispetto ed aiuto, nonostante l'avversità e la severità degli altri altri comandanti danesi. Il compito dello sminamento della spiaggia risulta pericoloso, difficile e lungo e nel corso delle varie operazioni molti dei giovani reclutati muoiono dilaniati, contribuendo così ad aumentare il già elevato numero delle vittime causate dalla guerra.....
Il film, interpretato da attori danesi a noi poco noti ma perfettamente adatti ai propri ruoli, e girato in maniera rigorosa e quanto mai realistica, presenta perfettamente l'atmosfera e la crudezza di un episodio storico poco conosciuto e, dunque, considerato minore ma ugualmente terribile. Altro non vi è da aggiungere se non la considerazione ovvia e naturale di quanta violenta e disumana sia anche la fine di un conflitto che aggiunge vittime su vittime ad una situazione già di per sè altamente provata, precaria e completamente da ristabilire. Un'ennesima riflessione sulle conseguenze terrifiche e deplorevoli dei conflitti bellici, qualunque essi siano.
Interessante ed intenso.
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eugenio
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sabato 23 luglio 2016
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vite appese al filo di una mina
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L’orrore della guerra.
Anche quando questa è finita.
Anche quando la resa è evidente.
Maggio 1945. Ritiro delle truppe tedesche in Danimarca, nazione da questi occupata per cinque anni.
I prigionieri di guerra tedeschi vengono costretti dal governo danese a lavorare come sminatori per recuperare sotto le bianche distese di sabbia della costa occidentale le mine che erano state in precedenza nascoste dai loro compagni contro gli americani poi sbarcati in Normandia.
Ed è chiaro che, come spesso accade, in quegli ultimi mesi di guerra i prigionieri erano ragazzi minorenni, vittime di un regime cui loro stessi si erano lasciati soggiogare venendo poi pavidamente da questo imprigionato.
Si tratta di un episodio storico poco trattato sui libri, quello di Land of mine portato sullo schermo dal regista danese Martin Zandvliet che si concentra sulle vicende di un sergente dell’esercito danese incaricato di guidare un gruppo di quattordici giovani ragazzi alla delicata operazione di disinnesco in un isolato quanto affascinante luogo della costa danese.
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L’orrore della guerra.
Anche quando questa è finita.
Anche quando la resa è evidente.
Maggio 1945. Ritiro delle truppe tedesche in Danimarca, nazione da questi occupata per cinque anni.
I prigionieri di guerra tedeschi vengono costretti dal governo danese a lavorare come sminatori per recuperare sotto le bianche distese di sabbia della costa occidentale le mine che erano state in precedenza nascoste dai loro compagni contro gli americani poi sbarcati in Normandia.
Ed è chiaro che, come spesso accade, in quegli ultimi mesi di guerra i prigionieri erano ragazzi minorenni, vittime di un regime cui loro stessi si erano lasciati soggiogare venendo poi pavidamente da questo imprigionato.
Si tratta di un episodio storico poco trattato sui libri, quello di Land of mine portato sullo schermo dal regista danese Martin Zandvliet che si concentra sulle vicende di un sergente dell’esercito danese incaricato di guidare un gruppo di quattordici giovani ragazzi alla delicata operazione di disinnesco in un isolato quanto affascinante luogo della costa danese.
La bellezza del paesaggio con scogliere e enormi distese di sabbia che si perdono a vista d’occhio, è sintomatica della paura che, silente, si impadronisce dell’animo di giovani, poco più che adolescenti, osteggiati dagli abitanti del luogo e quasi incapaci di comprendere l’orrore di una guerra di cui volente o nolente si sono resi partecipi.
Film controcorrente rispetto alle classiche rappresentazioni della seconda guerra mondiale che vedono l’esercito tedesco nel ruolo di oppressore e opprimente feroce, Land of mine non ci risparmia alcuna umiliazione dei giovani soldati, barbaramente uccisi durante la loro “missione” e privati della primigenia umanità da un popolo dilaniato dalla guerra.
E’quindi un film di vendetta, Land of mine, vendetta che permea ogni fibra della pellicola, una vendetta spesso che si mostra negli sguardi truci delle popolazioni assoggettate dai nazisti, una vendetta he spesso è cieca e non guarda chi ha compiuto cosa ma generalizza le azioni condannandone il fascio d’erba come tutta malata e quindi dicotomicamente da debellare.
Martin Zandvliet non usa effetti speciali, evita con accortezza se non quando necessario la scelta di corpi martoriati divelti nelle membra dalle mine ma si concentra sul primo piano di chi guarda negli occhi e dialoga, trovando la privata dignità nei gesti comuni segnati dal silenzio della delicata operazione e dallo sfogo di un ritrovato giorno di libertà.
E’ emblematico in tal senso il rapporto tra il sergente e la stessa unità che presiede: da un andamento alla Full Metal Jacket tipico di ogni film di guerra, si passa lentamente a uno quasi umano dove le stesse divise tendono a uniformarsi, nella tradizionale partita di calcio, mezzo d’unione da molti secoli a questa parte, di popoli di etnia diversa, su quel territorio minato che è il fulcro e il motore di ogni contesa.
Non ci sono donne in questo film, se non una giovane vedova con una figlia piccola, che con gli occhi colmi di ira non risparmia occhiate di morte al giovane manipolo se non per invocarne l’aiuto per salvare la figlia nel campo minato. E’ come se volesse dirci questo film, le donne sono confinate oltre quel campo minato, metaforica linea di divisione tra guerra e pace, talmente sfumata da causare ancora quando le rappresaglie sono oramai finite, ancora morte e disperazione.
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filippo catani
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sabato 8 ottobre 2016
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una toccante storia quasi sconosciuta
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Danimarca 1945. Per bonificare dalle mine buona parte del proprio territorio, i danesi utilizzarono giovanissimi soldati tedeschi.
Bello e intelligente questo film firmato da Martin Zandvilet e che ha innanzitutto il merito di gettare luce su un aspetto poco conosciuto della Seconda Guerra Mondiale. La popolazione danese dopo anni di occupazione non vedeva l'ora di vendicarsi dei soldati tedeschi che in questo caso hanno il volto dei giovanissimi uomini inviati da Hitler negli ultimi mesi di folle resistenza. Ecco allora che ovviamente il trattamento che viene loro riservato è disumano quanto quello ricevuto a parti invertite. E così è anche per il sergente protagonista di questa storia che però a lungo andare prova una sorta quasi di pietà per questi giovani che a guerra ormai finita trovavano la morte saltando su una mina.
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Danimarca 1945. Per bonificare dalle mine buona parte del proprio territorio, i danesi utilizzarono giovanissimi soldati tedeschi.
Bello e intelligente questo film firmato da Martin Zandvilet e che ha innanzitutto il merito di gettare luce su un aspetto poco conosciuto della Seconda Guerra Mondiale. La popolazione danese dopo anni di occupazione non vedeva l'ora di vendicarsi dei soldati tedeschi che in questo caso hanno il volto dei giovanissimi uomini inviati da Hitler negli ultimi mesi di folle resistenza. Ecco allora che ovviamente il trattamento che viene loro riservato è disumano quanto quello ricevuto a parti invertite. E così è anche per il sergente protagonista di questa storia che però a lungo andare prova una sorta quasi di pietà per questi giovani che a guerra ormai finita trovavano la morte saltando su una mina. Ecco allora che tutto il film si gioca su questo complesso dilemma morale e su una bilancia che oscilla sempre tra la vendetta e la compassione per questi giovani. Un film tosto che ci fa riflettere sulle terribili ferite che qualsiasi guerra apre e che impiegano anni per risanarsi specialmente tra stati confinanti. Benissimo anche il cast.
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