dave san
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sabato 7 maggio 2016
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nella valle degli orchi
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La tranquilla cittadina di Bright Hope, viene attaccata da una tribù di cavernicoli cannibali. Alcuni abitanti saranno rapiti e toccherà a un gruppo scelto, tentare di recuperarli. Il film si riassume brevemente. Tutto il resto è delegato alla regia, genuina e abile: paesaggi, personaggi, dialoghi. Oltre a inserti e sequenze, geometriche, immediate e mirate. Non c’è traccia di sfarzo o effetti speciali. Un western incentrato su un piccolo gruppo di eroi. Una rappresentazione quasi teatrale, proiettata e valorizzata in esterni. Con una certa brama d’intrattenere di pancia, per così dire. In questo caso, con lo spauracchio dei malvagi misteriosi e terribili. Altro elemento portante è sicuramente il cast.
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La tranquilla cittadina di Bright Hope, viene attaccata da una tribù di cavernicoli cannibali. Alcuni abitanti saranno rapiti e toccherà a un gruppo scelto, tentare di recuperarli. Il film si riassume brevemente. Tutto il resto è delegato alla regia, genuina e abile: paesaggi, personaggi, dialoghi. Oltre a inserti e sequenze, geometriche, immediate e mirate. Non c’è traccia di sfarzo o effetti speciali. Un western incentrato su un piccolo gruppo di eroi. Una rappresentazione quasi teatrale, proiettata e valorizzata in esterni. Con una certa brama d’intrattenere di pancia, per così dire. In questo caso, con lo spauracchio dei malvagi misteriosi e terribili. Altro elemento portante è sicuramente il cast. Ingaggiando un manipolo di “attori alpha”, tra cui Matthew Fox. Personalmente, ero curioso di rivederlo in azione dopo Lost; in una sceneggiatura che fosse compatta e intrigante. I dialoghi tra i personaggi e le situazioni permettono ai protagonisti di distinguersi e caratterizzarsi. Oltretutto si respira un certo cameratismo che fa pensare a una vera e propria task-force di salvataggio. L’unica scena horror è effettivamente raccapricciante. Il resto però scorre come un godibile “road-western movie”. Sembrano non mancare, inoltre, riferimenti a certi meccanismi delle fiabe. Il che, mostrerebbe ancor più capacità registiche e narrative. Pur non essendo un viaggio di formazione, la missione di questi cow-boy procederà in ascesa. Dalle loro terre, il loro regno, si addentreranno all’inferno e ne usciranno come guerrieri. Una spedizione che non sarà senza perdite, ma permetterà ai restanti di metterci finalmente (e letteralmente), una pietra sopra.
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cyrus70
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lunedì 18 gennaio 2016
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noia allo stato puro
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Mi sono iscritto a questo sito proprio per recensire questo film che è noia e demenzialità allo stato puro. Mi sono piaciuti solamente i primi quindici minuti, il resto sbadigli. E' la prima volta che trovo che la mia opinione diverga così platealmente da quella della maggioranza degli utenti.
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gianleo67
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domenica 15 novembre 2015
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western cannibalico al confine tex-mex
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Alle testa di una eterogenea compagine di uomini partita per liberare il suo vice e una giovane moglie rapiti da una primitiva e feroce tribù di pellerossa antropofagi, lo sceriffo del piccolo e tranquillo villaggio di Brigth Hope si renderà ben presto conto che le ostili condizioni ambientali e il divario delle forze in campo gioca decisamente a suo sfavore e che solo l'astuzia ed il fattore sopresa gli consentiranno una qualche possibilità di successo. Massacro finale.
Nel panorama un pò ridicolo delle rivisitazioni del genere in chiave ironica o metafilmica degli ultimi anni (dal western lisergico Blueberry - 2004 di Jan Kounen allo sci-fi western di Cowboys & Aliens - 2011 - di Jon Favreau passando per la mistica eroica di Jonah Hex - 2010 di Jimmy Hayward) e che guardano più al mondo del fumetto che ad un consolidato immaginario cinematografico, questo anomalo horror-western dal piglio beffardo e dall'andamento lento sembra uno strano oggetto del desiderio uscito dalla penna di un Sergio Bonelli qualsiasi (Zagor) e dalla fantasia decisamente macabra della cannibal-exploitation alla Ruggero Deodato degli anni 70/80 ( Cannibal Holocaust - 1980) piuttosto che alle mutazioni morfogenetiche di strani umanoidi in cattività (Le colline hanno gli occhi - 1977 - Wes Craven), mantenendo comunque fede ai caposaldi di un cinema d'avventura dove la semplicità delle caratterizzazioni e la basilare linearità della trama non sembrano agitare alcun sottotesto sociologico o politico di rilievo, puntando decisamente ad intrattenere lo spettatore sul versante della facile identificazione con gli eroi di turno e con le loro sacrosante motivazioni di riscatto e di vendetta.
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Alle testa di una eterogenea compagine di uomini partita per liberare il suo vice e una giovane moglie rapiti da una primitiva e feroce tribù di pellerossa antropofagi, lo sceriffo del piccolo e tranquillo villaggio di Brigth Hope si renderà ben presto conto che le ostili condizioni ambientali e il divario delle forze in campo gioca decisamente a suo sfavore e che solo l'astuzia ed il fattore sopresa gli consentiranno una qualche possibilità di successo. Massacro finale.
Nel panorama un pò ridicolo delle rivisitazioni del genere in chiave ironica o metafilmica degli ultimi anni (dal western lisergico Blueberry - 2004 di Jan Kounen allo sci-fi western di Cowboys & Aliens - 2011 - di Jon Favreau passando per la mistica eroica di Jonah Hex - 2010 di Jimmy Hayward) e che guardano più al mondo del fumetto che ad un consolidato immaginario cinematografico, questo anomalo horror-western dal piglio beffardo e dall'andamento lento sembra uno strano oggetto del desiderio uscito dalla penna di un Sergio Bonelli qualsiasi (Zagor) e dalla fantasia decisamente macabra della cannibal-exploitation alla Ruggero Deodato degli anni 70/80 ( Cannibal Holocaust - 1980) piuttosto che alle mutazioni morfogenetiche di strani umanoidi in cattività (Le colline hanno gli occhi - 1977 - Wes Craven), mantenendo comunque fede ai caposaldi di un cinema d'avventura dove la semplicità delle caratterizzazioni e la basilare linearità della trama non sembrano agitare alcun sottotesto sociologico o politico di rilievo, puntando decisamente ad intrattenere lo spettatore sul versante della facile identificazione con gli eroi di turno e con le loro sacrosante motivazioni di riscatto e di vendetta. Non particolarmente brillante da un punto di vista dell'ignizione del meccanismo drammatico o dell'esasperazione delle componenti action, sembra ricercare nel lassismo del montaggio (la parte centrale del racconto è solo una sequenza circadiana di una faticosa transumanza negli impervi territori desertici tex-mex) e nella laconica fiacchezza dei dialoghi una sua speciosa cifra autoriale, affidando al carisma di attori dalla sicura presenza scenica (il Kurt Russel un pò imbolsito di 'Grosso guiao a Cinatown') ed alla desolazione di una scenografia meravigliosamente fotografata gli unici motivi di interesse capaci trattenerci davanti allo schermo per la spropositata durata di 133' facendoci resistere alla facile tentazione di abbandonare anzitempo la visione. Abdicando ad una reale volontà di sottolineare la sua natura politicamente scorretta (misogina, razzista, reazionaria) ci presenta una interessante figura femminile di emancipazione culturale (una conturbante dottoressa del West) ed una pittoresca quanto immaginaria tribù di cannibali trogloditi per poi farli scomparire inopinatamente dallo schermo per quasi tutta la durata del film e ripresentandoceli in un finale dove le competenze dell'una e la sconsideratezza dell'altra giocheranno un ruolo fondamentale per trarre d'impaccio la strampalata compagine di eroi senza speranza da cui sembrano salvarsi solo i soggetti apparentemente più deboli e inoffensivi (una donna, uno storpio ed un vecchio) e riservando alla virile prestanza dei due condottieri più quotati l'ingloriosa fine di orrende mutilazioni. Quando lo scalpo è la cosa meno dolorosa che ti possono fare gli indiani. Premiato al Sitges - Catalonian International Film Festival 2015.
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alex62
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giovedì 12 novembre 2015
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il primitivo che è in noi
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Di solito non mi piacciono gli horror e tanto meno gli "splatter", ma questa volta, senza esagerare i meriti di questo spietato western, ultimo rampollo di una famiglia recente - che va ingrandendosi - di piccoli film apparentemente di genere, potrebbe suggerire qualcosa di molto interessante. Il protagonista è uno dei più sfortunati (ma talentuosi) attori di Hollywood, che ha mancato recentemente l'occasione di un rilancio in grande stile con l'ultimo Tarantino, ma che aveva già trascorsi violenti (da personaggio, intendiamoci) che risalgono ai suoi primi successi, quando divenne attore-simbolo di John Carpenter e poi subornati in Grindhouse sempre di Tarantino (2007).
Si tratta di Kurt Russel, compagno di una delle più grandi attrici comiche americane, Goldie Hawn.
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Di solito non mi piacciono gli horror e tanto meno gli "splatter", ma questa volta, senza esagerare i meriti di questo spietato western, ultimo rampollo di una famiglia recente - che va ingrandendosi - di piccoli film apparentemente di genere, potrebbe suggerire qualcosa di molto interessante. Il protagonista è uno dei più sfortunati (ma talentuosi) attori di Hollywood, che ha mancato recentemente l'occasione di un rilancio in grande stile con l'ultimo Tarantino, ma che aveva già trascorsi violenti (da personaggio, intendiamoci) che risalgono ai suoi primi successi, quando divenne attore-simbolo di John Carpenter e poi subornati in Grindhouse sempre di Tarantino (2007).
Si tratta di Kurt Russel, compagno di una delle più grandi attrici comiche americane, Goldie Hawn. Lui è perfettamente in parte, ma il film non lascia spazio alle doti attoriali (praticamente non c'è neanche un primo piano!), per concentrarsi su una suspence spasmodica, ottenuta con mezzi rudi, con uno stile ruvido e senza orpelli.
Ci ritroviamo nell'età della pietra (ma non è un viaggio nel tempo) dove la distanza tra vita e morte si annulla e si risveglia in noi l'atavica paura, connaturata alla specie homo, di trasformarci in preda: Proprio di finire mangiati. Le fiabe dei fratelli Grimm ci avevano agghiacciati da fanciulli con questa orrenda prospettiva e questa sceneggiatura ce la ripropone nuda e cruda, con la massima dose di effetti realistici, ma con poco sangue.
Non è un film per serate solitarie...
Ma ora arrischiamoci a leggerne la potenza simbolica, per sottolineare la virtù evocativa e visionaria di qualsiasi genere cinematografico, anche di quello minore e criptico.
Ci sono dei "selvaggi", che più selvaggi non si può...addirittura trogloditi, usciti direttamente dall'età della pietra e antropofagi! Vivono in una caverna e per riprodursi usano donne catturate, schiavizzate e accecate. Contro questi mostri si erge la Civiltà, simboleggiata da una donna-medico (assolutamente impossibile in America nel'800 e nel West!), totalmente fuori luogo e tempo proprio per sottolinearne il valore simbolico. Una donna, tra l'altro, sicura di sé e delle sue ragioni, che riesce a sopravvivere a un viaggio tremendo in balia dei trogloditi. Accanto a lei, l'altro eroe, il marito "azzoppato" (Patrick Wilson) che nonostante tutto vuole salvarla. Due ladri assassini, avendo profanato le tombe dei cannibali li hanno attirati su di loro.
Non fa venire in mente qualcosa? Gli occidentali hanno portato la guerra in luoghi "lontani" dalla civiltà, dove i "selvaggi" aspettavano di essere civilizzati...almeno ce l'hanno data da intendere così... Ma la reazione provocata è incontrollabile e risveglia in uomini e donne civilissimi, paure che si credevano bandite per sempre. Risveglia una Belva assetata di sangue!
Può mietere vittime ovunque, può fare strage tra gli innocenti e l'unico modo possibile per fermarla, pare quello di portare il genocidio tra i trogloditi: ucciderli tutti, non lasciare superstiti. Alcune super-potenze (Russia, USA) ce lo dicono senza giri di parole: l'unica soluzione è abbatterli tutti...
Ma, anche se tutto dovesse andare secondo i piani, i "nostri" saranno capaci di ritornare alla LORO "civiltà", dopo aver visto quello di cui i loro progenitori erano capaci?! E dopo quello che loro hanno fatto ai "selvaggi"?
Di riprendere le loro vite "normali", sapendo che a 5 giorni di cammino, appena oltre le colline, ci sono ancora altri divoratori di carne umana?
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