zarar
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venerdì 8 maggio 2015
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un moderno giobbe nella russia di putin
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Il film è la storia di una lotta titanica, impossibile, masochista di un individuo contro un potere che lo sovrasta ed è troppo più forte di lui: lo stato ‘Leviatano’ di Thomas Hobbes attualizzato nella Russia di Putin. Qui affarismo, corruzione, ipocrisia, ottusità burocratica nel migliore dei casi, vera e propria violenza e criminalità nel peggiore, si intrecciano come le spire del mostro biblico nella realtà politica e burocratica, nella magistratura e nella polizia, - last but not least – nella stessa Chiesa ortodossa, tutti complici nello schiacciare freddamente sacrosanti diritti individuali quando intralciano i loro interessi.
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Il film è la storia di una lotta titanica, impossibile, masochista di un individuo contro un potere che lo sovrasta ed è troppo più forte di lui: lo stato ‘Leviatano’ di Thomas Hobbes attualizzato nella Russia di Putin. Qui affarismo, corruzione, ipocrisia, ottusità burocratica nel migliore dei casi, vera e propria violenza e criminalità nel peggiore, si intrecciano come le spire del mostro biblico nella realtà politica e burocratica, nella magistratura e nella polizia, - last but not least – nella stessa Chiesa ortodossa, tutti complici nello schiacciare freddamente sacrosanti diritti individuali quando intralciano i loro interessi. Ma è anche qualcosa di più: è la storia un individuo travolto da un destino ostile che va al di là del suo conflitto con il potere, e che non gli lascerà scampo fin nei suoi affetti più cari, togliendogli – moderno e torturato Giobbe - tutto di tutto, amici, moglie, figlio, fino alla sua personale libertà. Lui è Kolja, che in una sperduta località dell’estremo Nord della Russia, sul mare di Barents, fa l’impossibile per difendere contro un progetto di speculazione edilizia la sua casa. Barricato nel suo elementare senso di giustizia, rischia tutto e perde tutto nell’impresa. Kolja non è l’eroe solare che tutela un suo idillio verde ‘tutto natura’ contro il cemento. In questo senso la storia ci tocca ancora più profondamente e ne intuiamo il valore simbolico: quello che egli difende è davvero qualcosa di minimale, un bene ed una vita a cui è già difficile dare un valore. La natura in mezzo a cui Kolja vive è infatti quanto di più triste si possa immaginare, nella sua pallida mezza luce che non è mai sole o buio pieno; la sua casa un po’ squinternata è aperta a tutti i venti, schiacciata sotto un cielo basso e livido, tra rocce nude e incombenti, esposta ad un mare di piombo che si frantuma rabbiosamente contro scogli enormi (ricordo flash: ‘L’uomo di Aran’). Sulla spiaggia uno scheletro di balena, sullo sfondo il buco nero di una chiesa diroccata… Lo stesso Kolja non ha il taglio dell’eroe: è un buon diavolo, ma non sempre capisce bene quel che fa e quel che vuole, o i problemi di sua moglie e suo figlio, beve troppo ed è portato a reazioni incontrollate. Intorno personaggi che si muovono come altrettanti automi, apaticamente indifferenti o posseduti da un’ossessione, prepotentemente esibita contro gli altri o inespressa e autodistruttiva. Proprio perché Kolja ha così poco, sentiamo ancora di più la forza del suo diritto e la sua sconfitta. Non per caso, molto di più che gli attori, parla in questo film lo scenario in cui sono immersi, sempre carico di una sua vitalità minacciosa, simbolo perfetto del mostro biblico personaggio–chiave del film: una fotografia bellissima e potenti inquadrature ci restituiscono molto bene nel paesaggio livido e tormentato e nell’impostazione delle singole scene il senso di un potere oscuro e minaccioso, della violenza inaspettata, dell’inesorabile sproporzione delle forze, dell’indifferenza cieca, del caso che può colpirti tanto quanto la deliberata cattiveria. Da segnalare la scena della lettura delle sentenze in tribunale: un pezzo di bravura da non dimenticare.
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[+] un’astratta parabola umana, dolente e disperata…
(di antonio montefalcone)
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ninoraffa
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lunedì 9 ottobre 2017
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silenzio nel turbine
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Intorno al quinto secolo avanti Cristo, lo sconosciuto autore del Libro di Giobbe racconta che Satana dopo un giro per la Terra, va a visitare Dio proponendogli di mettere alla prova Giobbe. Secondo il diavolo, Giobbe è giusto e pio perché Dio lo gratifica di ogni ricchezza e felicità, ma se la sua sorte cambiasse sarebbe pronto a ribellarsi. Il Padre Eterno accetta la sfida, concedendo a Satana potere sul malcapitato, che in brevissimo tempo perde figli, casa, ricchezze e salute, ritrovandosi coperto di piaghe nella polvere. Giobbe, ignaro dei celesti conciliaboli, s’interroga sulla ragione delle sue disgrazie: secondo gli amici ha dei peccati nascosti da scontare, la moglie invece deride la sua fede malriposta spronandolo a maledire Dio; ma lui dal fondo del dolore continua a rivendicare la sua innocenza e insieme la fedeltà all’Eterno.
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Intorno al quinto secolo avanti Cristo, lo sconosciuto autore del Libro di Giobbe racconta che Satana dopo un giro per la Terra, va a visitare Dio proponendogli di mettere alla prova Giobbe. Secondo il diavolo, Giobbe è giusto e pio perché Dio lo gratifica di ogni ricchezza e felicità, ma se la sua sorte cambiasse sarebbe pronto a ribellarsi. Il Padre Eterno accetta la sfida, concedendo a Satana potere sul malcapitato, che in brevissimo tempo perde figli, casa, ricchezze e salute, ritrovandosi coperto di piaghe nella polvere. Giobbe, ignaro dei celesti conciliaboli, s’interroga sulla ragione delle sue disgrazie: secondo gli amici ha dei peccati nascosti da scontare, la moglie invece deride la sua fede malriposta spronandolo a maledire Dio; ma lui dal fondo del dolore continua a rivendicare la sua innocenza e insieme la fedeltà all’Eterno. Alla fine è Dio stesso a troncare ogni discussione: appare nel turbine senza dare altra spiegazione che la sua ineffabile trascendenza; quindi premia Giobbe con la guarigione, il raddoppio delle sue originarie ricchezze e altri 140 anni di vita prospera circondato da una numerosa rinnovata discendenza.
E’ stato osservato che da millenni andiamo narrando varianti di poche storie fondamentali; e forse il senso di queste ripetizioni non è nelle trame ormai scontate, ma negli esiti e nelle condizioni di contorno che riflettono il mutare dei tempi. Dal Vecchio Testamento alla Russia post-sovietica, Andrei Zvyagintsev in “Leviathan” racconta il suo Giobbe senza scomodare le potenze celesti. Kolja, ex militare, con un debole per l’alcol e la mano pesante, vive a nord, sul mare di Barents, insieme al figlio e alla seconda moglie, Lilya, in una casa isolata costruita con le sue mani. Il corrotto sindaco del posto – diretto spiritualmente nei suoi crimini dall’amico vescovo e protetto dall’icona di Putin appesa in ufficio – mette gli occhi sulla proprietà di Kolja per una speculazione edilizia, avendo buon gioco ad espropriarla per pochi soldi con la complicità di magistratura e polizia. Kolja quindi si rivolge all’ex commilitone Dimitri, adesso avvocato a Mosca, che arriva dalla capitale confidando più in un dossier compromettente raccolto sul sindaco, che sulla giustizia.
Leviatano: per Giobbe (e Melville) mostruosa creatura degli abissi, incarnazione del caos primordiale, e per estensione, l’imperscrutabile potere di Dio di domare e ordinare le forze cosmiche; quindi per Hobbes il simbolo dello Stato Assoluto, concentrazione di ogni potere religioso e civile in nome dell’ordine sociale. Sulla stessa scia, il Leviatano di Zvyagintsev è in tutta evidenza lo Stato post sovietico, mostro tentacolare nutrito di mazzette e appalti, spogliato della sua antica grandezza metafisica, e per questo altrettanto temibile del suo arcano progenitore, ma insieme ignobile e meschino.
Leviatano: balena in ebraico moderno. L’ottima fotografia del film, ben accordata alla colonna sonora, torna sullo scheletro bianco di un cetaceo sulla spiaggia desolata; e poi relitti rugginosi di navi ed edifici; i denti della pala meccanica che alla fine divorano pezzo a pezzo la casa di Kolja; la luce livida che bagna un mare funebre; un paesaggio roccioso che mette a nudo le ossa della terra. Ma il mostro non sta solo fuori: serpeggia dentro i protagonisti nella vodka che ne accompagna la caduta, o nel doppio tradimento di Lilya e Dimitri, inconsapevoli autori tra le stesse lenzuola della rovina propria e di Kolja.
“Siamo tutti innocenti, fino a prova contraria… ma chi darà mai questa prova? e a chi?“ chiede Dimitri a Lilya. Lei risponde: “Credi in Dio?” E lui: “Perché siete tutti fissati con Dio? Io sono avvocato, credo ai fatti.” Nel mondo di Zvyagintsev la nuova superstizione dei fatti sostituisce quella vecchia, ma insieme al peccato inevitabilmente scompare ogni possibile innocenza o redenzione. I fatti senza Dio, o anima, o spirito, o senso, o giudizio, in qualsiasi modo vogliamo chiamarlo, non consentono altro finale. I ragazzi vanno a bere e fumare tra i ruderi di una chiesa diroccata, sotto un San Giovanni Battista mezzo scrostato che già rassegna il collo alla spada; nella pompa liturgica della cattedrale, il Vescovo rimesta Chiesa e Patria arringando in nome di Cristo e Verità i suoi oligarchi. Dio nel film è una ricorrente comparsa – nei discorsi farisaici del prelato politicante, nelle domande attonite dei protagonisti, nelle parole accorate del povero Pope – ma è solo figura dipinta, ripetizione di qualcosa sentita dire di sfuggita, favola, riflesso, eredità perduta, forse ricordo di gente che un tempo ci aveva creduto. Neppure rimpianto, che sarebbe già qualcosa. Meno che mai speranza. Nella Russia del XXI secolo, come nella maggior parte dei nostri luoghi, nessuno attende una voce nel turbine che risollevi Giobbe dalla polvere.
Film consigliato. Ottima regia e interpretazione senza sbavature. Leggibile a più livelli: sul piano politico, efficace primo piano del volto ordinario e sinistro di certi modelli statali capitalistico-autoritari ai quali si guarda con sempre maggiore interesse dalle nostre parti. Inquietante, e abbastanza nota, rappresentazione di una realtà alternativa – e competitiva – rispetto alle nostre declinanti democrazie.
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dario bottos
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domenica 10 maggio 2015
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"qual'è il tuo dio?"
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Oggi 10 maggio 2015, San Giobbe.
Kolya, il protagonista del film, come il Giobbe dell’Antico Testamento cui lo paragona il pope della remota cittadina del nord della Russia in cui vive, perde in poco tempo ogni cosa: la casa, il fratello, la donna, il figlio, la libertà, la speranza. Non è Dio a metterlo alla prova, ma le angherie di un potere politico corrotto senza rimedio, il senso di impotenza affogato nell’alcol, la disintegrazione del nucleo familiare ultima zattera nelle tempeste dell’esistenza. L’uomo è annichilito, sopraffatto dal maglio di un fato crudele.
La cifra metaforica del film è scoperta, forse troppo scoperta. La denuncia del potere, un potere non raffinato e subdolo ma cialtrone e malavitoso, non ha la forza di un Elio Petri o ma è inserita in una simbologia naturalistica-panteistica, molto russa, dove il dio è il fato precristiano, e i suoi strumenti sono una natura possente dominata dall’acqua – reminiscenza tarkovskiana? – e delle regole di convivenza sconvolte dall’arbitrio e dalla prevaricazione brutale.
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Oggi 10 maggio 2015, San Giobbe.
Kolya, il protagonista del film, come il Giobbe dell’Antico Testamento cui lo paragona il pope della remota cittadina del nord della Russia in cui vive, perde in poco tempo ogni cosa: la casa, il fratello, la donna, il figlio, la libertà, la speranza. Non è Dio a metterlo alla prova, ma le angherie di un potere politico corrotto senza rimedio, il senso di impotenza affogato nell’alcol, la disintegrazione del nucleo familiare ultima zattera nelle tempeste dell’esistenza. L’uomo è annichilito, sopraffatto dal maglio di un fato crudele.
La cifra metaforica del film è scoperta, forse troppo scoperta. La denuncia del potere, un potere non raffinato e subdolo ma cialtrone e malavitoso, non ha la forza di un Elio Petri o ma è inserita in una simbologia naturalistica-panteistica, molto russa, dove il dio è il fato precristiano, e i suoi strumenti sono una natura possente dominata dall’acqua – reminiscenza tarkovskiana? – e delle regole di convivenza sconvolte dall’arbitrio e dalla prevaricazione brutale. Il Leviatano rimanda a questa duplice lettura: simbolo biblico delle forze naturali, e simbolo dell’antropologia politica negativa di Hobbes (“homo homini lupus”).
Non c’è speranza, tutto è degrado: gli uomini, la loro società, la loro stessa civiltà. Forse l’ultimo remoto barlume sta in quell’accostamento a Giobbe, che dopo la terribile prova riebbe in sovrabbondanza ciò che aveva perduto. Ma dove ,e quando, e quale mai sarà quella giustizia che potrà risarcire il novello Giobbe?
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[+] quello che non mette l'apostrofo
(di feanor1986)
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maria cristina nascosi sandri
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giovedì 4 giugno 2015
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homo homini lupus....
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LEVIATHAN, ultimo film di Andrey Zvyagintsev - Commento di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Non è un titolo casuale, come nulla è casuale nel cinema di Andrey Zvyagintsev, ad iniziare dalla splendida opera prima di 12 anni fa, IL RITORNO, che vinse a Venezia il Leone d’oro.
Homo homini lupus - ammoniva il secentesco filosofo inglese Thomas Hobbes, autore dell’opera il LEVIATANO, che, peraltro, culturalmente, religiosamente e profondamente, fa riferimento all’omonimo libro di Giobbe.
Ed anche qui il potere del potere, il mèta-potere, quello che rende l’uomo più simile alla bestia che a quel Dio cui vorrebbe ispirarsi ed aspirare, la fa da padrone.
Nulla cambia mai sotto il sole, o, gattopardianamente, tutto cambia perché alla fine nulla, in realtà, cambi.
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LEVIATHAN, ultimo film di Andrey Zvyagintsev - Commento di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Non è un titolo casuale, come nulla è casuale nel cinema di Andrey Zvyagintsev, ad iniziare dalla splendida opera prima di 12 anni fa, IL RITORNO, che vinse a Venezia il Leone d’oro.
Homo homini lupus - ammoniva il secentesco filosofo inglese Thomas Hobbes, autore dell’opera il LEVIATANO, che, peraltro, culturalmente, religiosamente e profondamente, fa riferimento all’omonimo libro di Giobbe.
Ed anche qui il potere del potere, il mèta-potere, quello che rende l’uomo più simile alla bestia che a quel Dio cui vorrebbe ispirarsi ed aspirare, la fa da padrone.
Nulla cambia mai sotto il sole, o, gattopardianamente, tutto cambia perché alla fine nulla, in realtà, cambi.
Il male, la menzogna prevalgono sempre nei poteri, sia laici che clericali, spesso, troppo spesso, conniventi da che mondo e mondo, sotto tutti i cieli, orientali ed occidentali, del nostro martoriato eppur ancora meraviglioso pianeta.
E nemmeno qui esiste eccezione.
Un film amaro, senza consolazione, né, tantomeno, un lieto fine – e come potrebbe esserci?
Anche la splendida natura del freddo e glaciale Mare di Barents che fa da murmure corollario al plot, come la musica di Philip Glass, è partecipe della fatale tragedia che da sempre si perpetua: il potere che malefico, anti-esistenza, anti-vita, qualsiasi forma di vita e di evoluzione, cresce su se stesso e ‘sembra’ non aver mai fine...
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giank51
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sabato 9 maggio 2015
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il disfacimento della russia attuale
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Quello che rende il film interessante non è tanto la vicenda di Kolia in sè. Sopprusi , tradimenti, violenze, politici corrotti non mancano in giro per il mondo. In questi film però esce uno spaccato di società russa sconvolgente. E' una autentica denuncia dello sviluppo post-comunista di questo paese. Tutta la narrazione è regolarmente scandita da automatismi, da coazioni: la bottiglia di Vodka compare ad ogni occasione critica; è la compagna anche delle riunioni notturne dei ragazzi nella chiesa diroccata (in una scena il regista si sofferma ironicamente su un affresco di San Giovanni); le conversazioni sono scandite dall'accensione della sigaretta.
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Quello che rende il film interessante non è tanto la vicenda di Kolia in sè. Sopprusi , tradimenti, violenze, politici corrotti non mancano in giro per il mondo. In questi film però esce uno spaccato di società russa sconvolgente. E' una autentica denuncia dello sviluppo post-comunista di questo paese. Tutta la narrazione è regolarmente scandita da automatismi, da coazioni: la bottiglia di Vodka compare ad ogni occasione critica; è la compagna anche delle riunioni notturne dei ragazzi nella chiesa diroccata (in una scena il regista si sofferma ironicamente su un affresco di San Giovanni); le conversazioni sono scandite dall'accensione della sigaretta. Alcool e fumo sono i fulcri della socializzazione. Seppur immersi nella miseria, tutti sfoderano cellulari di varia caratura; Kolia cercherà con il suo cellulare la moglie ormai annegata. E ' pregnante l'odore del business ad ogni costo. Severa è la denuncia nei confronti della chiesa ortodossa che pure sembra essere l'unico baluardo al dialgare della barbarie e della immoralità. Ma il messaggio cristiano non è veicolato dall' autorità religiosa (vedasi il discorso finale del vescovo in pompa magna) ma da un umile pope che tenta di redimere Kolia con le citazioni dal libro di Giobbe (dove tra l'altro compare il Leviatano). Questo sembra dunque essere diventata la Russia, sembra volerci dire il regista: un mostro il Leviatano o anche, in un'altra accezione, il caos.
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mattiabertaina
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martedì 19 maggio 2015
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senso di incompiuto
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Rabbia, vendetta, violenza, corruzione, tradimenti, nessuna speranza. Il lavoro del cineasta russo Zvyagintsev, Golden Globes come Miglior film straniero miscela in un’opera ambiziosa politica e società, sacro e profano, passato e contemporaneo. Kolia, un uomo che da sempre vive su di un promontorio che si affaccia sul Mar di Barents, ha un figlio ed una seconda moglie. Il suo lavoro di meccanico gli ha sempre garantito la sussistenza e la sua officina è tutto ciò che gli serve per portare a casa il necessario da vivere. Sulla strada di Kolia c’è però il sindaco della piccola cittadina, un viscido e corrotto affarista, abituato a gestire i suoi traffici con denaro ed intimidazioni. Il Leviathan di Zvyagintsev strizza l’occhio ai grandi classici della letteratura, con un deciso balzo alle scritture bibliche e alla storia di quel Giobbe che trovò sulla sua strada Satana.
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Rabbia, vendetta, violenza, corruzione, tradimenti, nessuna speranza. Il lavoro del cineasta russo Zvyagintsev, Golden Globes come Miglior film straniero miscela in un’opera ambiziosa politica e società, sacro e profano, passato e contemporaneo. Kolia, un uomo che da sempre vive su di un promontorio che si affaccia sul Mar di Barents, ha un figlio ed una seconda moglie. Il suo lavoro di meccanico gli ha sempre garantito la sussistenza e la sua officina è tutto ciò che gli serve per portare a casa il necessario da vivere. Sulla strada di Kolia c’è però il sindaco della piccola cittadina, un viscido e corrotto affarista, abituato a gestire i suoi traffici con denaro ed intimidazioni. Il Leviathan di Zvyagintsev strizza l’occhio ai grandi classici della letteratura, con un deciso balzo alle scritture bibliche e alla storia di quel Giobbe che trovò sulla sua strada Satana. Qui persiste una assenza totale di trascendenza, nessun diavolo, ancor più rarefatta la possibilità di appellarsi alla chiesa, impersonata da uno scaltro e smaliziato padre spirituale ortodosso, più attento ai beni materiali che alla cura delle anime. La testardaggine con la quale Kolia si oppone ai poteri forti andando incontro al Sindaco (che impersonifica il Leviatano di Hobbesiana memoria) e agli uomini in divisa (soggiogati da superiori e uomini di politica) è il preludio di una sconfitta già scritta, un pronostico prevedibile di una disfatta. La regia, asciutta e senza esasperazioni, si muove lucida, dirigendo un cast di qualità, facendo affiorare da una storia apparentemente circoscritta ai freddi mari russi del nord, una attualità ed una universalità non comuni. Il riferimento a Putin ed alla sua continua propaganda emerge con dirompenza ma il Leviathan si presta ad una lettura su più livelli; assenza di punti di riferimento, una visione pessimistica del presente e nessuna garanzia per ciò che sarà il futuro. Leviathan è una storia di relitti, relitti animali (l’enorme scheletro di balena che giganteggia sulla locandina) e relitti umani, dalla moglie malinconica e dal senso mortifero, all’avvocato di Mosca, deciso e sicuro nella professione, inconsistente nella vita privata, lo stesso protagonista è un relitto, così come la sua casa, entrata nei piani di esproprio dell’Amministrazione comunale. Leviatano letto forse come simbolismo allegorico, come caos primordiale dove non esiste un ordine e tutto è in balia del caso e del disordine. Questo è l’oggi di Zvyagintsev, raccontato con realismo e tinte fosche. Ciò che il Leviathan tocca soltanto tangenzialmente è lo sviluppo dei personaggi nello svolgersi del plot, ingabbiati nelle loro situazioni sì, ma senza nessun sostanziale cambiamento. Anche l’approfondimento e la chiusura di alcuni situazioni sono state relegate al fuori campo, facendo perdere forza e rigore alla struttura stessa che sorregge il film.
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flyanto
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mercoledì 13 maggio 2015
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quando ormai si perde tutto
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Al protagonista della storia raccontata in "Leviathan" non c'è nulla che vada per il verso giusto, anzi, una continua serie di avvenimenti negativi che determineranno la sua condanna definitiva. Kolia, questo è il nome del protagonista, è un uomo vedovo che si è risposato con una bella donna giovane, ha un figlio adolescente avuto dal primo matrimonio che è piuttosto ribelle e maleducato, soprattutto nei confronti della seconda moglie del padre, ed una situazione economica affatto positiva. Infatti tutti i suoi possedimenti terreni ed edili gli sono stati confiscati dallo Stato in quanto, sebbene egli si sia rivolto ad un vecchio compagno giovanile, ormai divenuto un importante avvocato a Mosca, non è riuscito a vincere le numerose cause sollevate contro l'arrogante e corrotto sindaco desideroso delle sue terre e dunque a breve egli dovrà traslocare dalla propria casa con tutta la sua famiglia.
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Al protagonista della storia raccontata in "Leviathan" non c'è nulla che vada per il verso giusto, anzi, una continua serie di avvenimenti negativi che determineranno la sua condanna definitiva. Kolia, questo è il nome del protagonista, è un uomo vedovo che si è risposato con una bella donna giovane, ha un figlio adolescente avuto dal primo matrimonio che è piuttosto ribelle e maleducato, soprattutto nei confronti della seconda moglie del padre, ed una situazione economica affatto positiva. Infatti tutti i suoi possedimenti terreni ed edili gli sono stati confiscati dallo Stato in quanto, sebbene egli si sia rivolto ad un vecchio compagno giovanile, ormai divenuto un importante avvocato a Mosca, non è riuscito a vincere le numerose cause sollevate contro l'arrogante e corrotto sindaco desideroso delle sue terre e dunque a breve egli dovrà traslocare dalla propria casa con tutta la sua famiglia. Nel contempo la giovane moglie, con cui è in crisi, lo tradisce con l'avvocato amico e, dopo la di lei morte avvenuta in circostanze poco chiare, Kolia viene accusato di omicidio e conseguentemente arrestato e condannato a 15 anni di carcere, lasciando il proprio figlio in affido ad una coppia di amici.
Andrej Zvyagintsev in "Leviathan"costruisce una storia ben differente, e sicuramente più pessimista, da quella della sua poetica pellicola d'esordio "Il Ritorno" con cui vinse nel 2003 il Leone d' Oro alla Mostra Cinematografica di Venezia. Sono passati infatti undici anni e sicuramente, da quanto viene esposto in questo film dal regista russo, la situazione politica ed economica della Russia non è certamente migliorata, anzi, quello che più, appunto, si evince da questa vicenda è proprio la situazione di profonda crisi e di corruzione morale che porta alla rovina il paese e la sua popolazione che diviene inattaccabile o facilmente espugnabile, a seconda della parte a cui si appartiene, se a quella dei potenti politicamente ed economicamente od a quella degli onesti lavoratori lontani dalla corruzione e dunque viventi nella povertà. E nel corso dell'evolversi di tutta la vicenda e del lottare invano come, appunto, il Giobbe della parabola, da parte del protagonista, Zvyagintsev denuncia apertamente ed in maniera precisa e rigorosa, quale è la sua regia, il marcio e le condizioni pessime della Russia, non lasciando intravvedere alcuna possibilità di miglioramento o di riscatto. Per Giobbe c'era la speranza in Dio, per Kolia nemmeno più quella in quanto anche la Chiesa non si salva affatto.
Ben fatto, scarno, crudo e, forse, un pò troppo minuzioso e dunque lento per ciò che concerne alcune parti iniziali: con una ventina di minuti in meno il film sarebbe stato perfetto ma, comunque, ugualmente apprezzabile e consigliabile.
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filippo catani
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sabato 23 maggio 2015
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un giobbe moderno alla deriva
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In una cittadina russa un uomo è deciso a tutto pur di non farsi espropriare la casa dal sindaco che per quel terreno avrebbe altri progetti. Quando l'uomo, tramite il fratello che è avvocato, minaccia il sindaco di svelare le trame corruttive di cui è al centro, si apriranno le porte dell'abisso.
Il regista gioca su vari piani in questa intensa e livida pellicola ma senza dubbio i registri preferiti sono quelli politico-religiosi. Questo un po' per la connivenza tra il patriarca ortodosso e il sindaco e un po' per il protagonista che si troverà a perdere tutto e tutti e finirà con l'interrogarsi sui terribili disegni divini. Inutile nascondere anche le pesanti critiche che il regista muove alla società russa attuale mostrando come nella piccola cittadina in questione il sindaco manovra a suo piacimento sia gli organi di polizia che quelli giudiziari e ha poi a disposizione personaggi perlomeno discutibili per svolgere il lavoro sporco.
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In una cittadina russa un uomo è deciso a tutto pur di non farsi espropriare la casa dal sindaco che per quel terreno avrebbe altri progetti. Quando l'uomo, tramite il fratello che è avvocato, minaccia il sindaco di svelare le trame corruttive di cui è al centro, si apriranno le porte dell'abisso.
Il regista gioca su vari piani in questa intensa e livida pellicola ma senza dubbio i registri preferiti sono quelli politico-religiosi. Questo un po' per la connivenza tra il patriarca ortodosso e il sindaco e un po' per il protagonista che si troverà a perdere tutto e tutti e finirà con l'interrogarsi sui terribili disegni divini. Inutile nascondere anche le pesanti critiche che il regista muove alla società russa attuale mostrando come nella piccola cittadina in questione il sindaco manovra a suo piacimento sia gli organi di polizia che quelli giudiziari e ha poi a disposizione personaggi perlomeno discutibili per svolgere il lavoro sporco. A margine di questo vi è anche una riflessione dolente sulla società e sul ruolo delle donne che assisstono più o meno impotenti alle incredibili bevute e violenze che subiscono praticamente impotenti e senza che nessuno si preoccupi minimamente dei loro sentimenti o degli alienanti lavori che devono svolgere per portare qualche soldo a casa. Se però dopo la prova per il Giobbe bibblico arrivò la ricompensa, per il nostro protagonista resta solo da bere un amarissimo calice fatto di delusione e disillusione che portano ad una estrema solitudine. Ottimo il cast, colonna sonora ridotta all'osso e meravigliosa fotografia che ci restituisce le lande desolate ma anche questo senso di vuoto in cui tutti i protagonisti si muovono.
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ennas
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martedì 22 settembre 2015
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il mondo di kolya
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Uno degli elementi caratterizzanti “ Leviathan” è l’ambiente in cui si svolge il film. .L’ apertura prolungata sul paesaggio ci trasmette una vertigine di solitudine e di vuoto, metafora di una condizione umana che travalica i confini di spazio e tempo Siamo all’estremo nord e una strepitosa fotografia ce lo mostra, nella luce e nei colori ma, ci rivela anche il volto di una natura primordiale e arcigna, indifferente al destino degli umani: relitti di vario genere sono sparsi su un terreno arido e roccioso. Kolja vive qui, con la giovane seconda moglie e con Roma, il figlio avuto dal matrimonio precedente, in una casa in riva a questo mare, qui è nato, qui vi lavora nella sua officina.
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Uno degli elementi caratterizzanti “ Leviathan” è l’ambiente in cui si svolge il film. .L’ apertura prolungata sul paesaggio ci trasmette una vertigine di solitudine e di vuoto, metafora di una condizione umana che travalica i confini di spazio e tempo Siamo all’estremo nord e una strepitosa fotografia ce lo mostra, nella luce e nei colori ma, ci rivela anche il volto di una natura primordiale e arcigna, indifferente al destino degli umani: relitti di vario genere sono sparsi su un terreno arido e roccioso. Kolja vive qui, con la giovane seconda moglie e con Roma, il figlio avuto dal matrimonio precedente, in una casa in riva a questo mare, qui è nato, qui vi lavora nella sua officina. Il sindaco del paese vuole requisire la sua proprietà per lucrosi progetti edilizi e Kolja vive questa ingiunzione come un attentato alla propria vita, al proprio mondo. In questa lotta sempre impari, tra il cittadino Kolja che si sente colpire ingiustamente e un potere avido e corrotto,il regista e un cast formidabile di attori, ci inchiodano alla poltrona per due ore e venti di visione che volano. Questi personaggi sono perennemente attaccati ai cellulari, cittadini del pianeta, interconnessi, dai poli ai deserti. Il potere ingiusto e prevaricante, evocato dal titolo, è una somma di poteri: legislativo-giudiziario-religioso-locale, con reciproche omertose complicità e sostegni. L’individuo comune, Kolja,è impotente nella sua lotta contro il sopruso, i suoi rifugi estremi, la casa, l’officina, sono merce obsoleta, da demolire. In questa storia scorrono fiumi di alcool (vodka), ad offuscare l’impotenza e la cattiva coscienza. Si possono impallinare tracannando, i potenti del passato, si può brindare alla propria tracotanza, dimenticando che gli imperi vanno in crisi e crollano. Ma un vecchio serpente, striscia per la trama dell’intero film, nominato solo qua e la di straforo: il denaro, simbolo e strumento di potere. La mercificazione è infatti, secondo me, la cifra simbolica che fa da sottofondo allo svolgersi degli eventi. Dimitri, l’amico ex commilitone di Kolja, arrivato da Mosca per prendere le sue difese, combatterà il nemico con le sue stesse armi: non la rivendicazione del diritto ma il ricatto di rivelazioni scandalose. Così, come la contropartita che chiederà al sindaco rapace sarà monetaria :un risarcimento ritenuto più congruo alla perdita di Kolja del proprio mondo. La logica mercantile non determinerà soltanto la violenza e la sopraffazione del debole Kolia e del suo difensore Dimitri ma serpeggerà ovunque, inquinando i rapporti umani esistenti nel film. Si assiste allo sfilacciarsi progressivo dei legami fra i personaggi, in un crescendo, fino al tragico epilogo. Viene in mente la società liquida, teorizzata da un famoso sociologo. L’ambiguità palese nei rapporti di amicizia, amore, solidarietà diventa norma, tutto si fa aleatorio. Gli amici che si prenderanno cura di Roma, durante l’assenza del padre, hanno contribuito, forse senza rendersene conto fino in fondo, alla condanna di Kolja. E’ uno sguardo severo e pessimista che il regista Zvyaginstev ci consegna con questo film e non può essere altrimenti,date le premesse. Rendiamo omaggio alla sua bravura , a quella del suo cast e dei suoi collaboratori, per averci così magistralmente filmato il mondo di Kolja, il nostro mondo, da vedere e meditare.
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sabato 25 gennaio 2020
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la vittoria del caos
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Agghiacciante film sull'assenza (non il silenzio) di Dio, sul trionfo del caos (il Leviatano del titolo) che schiaccia i giusti e dà ragione e successo agli arroganti, agli ipocriti, ai prevaricatori. E quale racconto ci può sembrare più attuale di questo? In una cittadina della Russia settentrionale, sulle rive del Mare di Barents, un sindaco corrotto e disonesto espropria la terra del vedovo Kolja per sue speculazioni edilizie. Kolja chiede aiuto all'amico Dimitri, avvocato di Mosca, che trova le prove della corruzione del sindaco. Potrebbe concludersi bene per il nostro Kolja, ma il tradimento della sua compagna (che lo tradisce proprio con Dimitri) e le trame sordide del sindaco in combutta con il pope della chiesa ortodossa, precipitano Kolja in una tragedia senza uscita.
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Agghiacciante film sull'assenza (non il silenzio) di Dio, sul trionfo del caos (il Leviatano del titolo) che schiaccia i giusti e dà ragione e successo agli arroganti, agli ipocriti, ai prevaricatori. E quale racconto ci può sembrare più attuale di questo? In una cittadina della Russia settentrionale, sulle rive del Mare di Barents, un sindaco corrotto e disonesto espropria la terra del vedovo Kolja per sue speculazioni edilizie. Kolja chiede aiuto all'amico Dimitri, avvocato di Mosca, che trova le prove della corruzione del sindaco. Potrebbe concludersi bene per il nostro Kolja, ma il tradimento della sua compagna (che lo tradisce proprio con Dimitri) e le trame sordide del sindaco in combutta con il pope della chiesa ortodossa, precipitano Kolja in una tragedia senza uscita. Novello Giobbe, Kolja non è messo alla prova da Satana con il consenso di Dio (come nel racconto biblico), ma dal caos che regna sovrano sulla nostra Terra, luogo bellissimo (come mostrano le splendide immagini del film) ma deserto, freddo, vuoto. Dove di Dio è rimasta solo la carcassa. Ottimo film, ma desolante.
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