miguel angel tarditti
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domenica 17 maggio 2015
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“el miedo y yo nacimos gemelos”, hobbes
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“LEVIATHAN”, dirección de Andrei Zvyagintsev, (Rusia)
El poder absoluto es un sistema enfermo, nefasto de gobierno, es el reino de la oscuridad, donde las libertades individuales no cuentan.
El filósofo ingles Thomas Hobbes escribió en 1651 su mas notable obra llamada “El Leviatan”, donde con su filosofía absolutista define a un sistema de gobierno donde el poder del estado se ubica en la cúspide de una pirámide dictatorial que reina inclusive por encima de la misma iglesia.
Es el filósofo político del absolutismo.
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“LEVIATHAN”, dirección de Andrei Zvyagintsev, (Rusia)
El poder absoluto es un sistema enfermo, nefasto de gobierno, es el reino de la oscuridad, donde las libertades individuales no cuentan.
El filósofo ingles Thomas Hobbes escribió en 1651 su mas notable obra llamada “El Leviatan”, donde con su filosofía absolutista define a un sistema de gobierno donde el poder del estado se ubica en la cúspide de una pirámide dictatorial que reina inclusive por encima de la misma iglesia.
Es el filósofo político del absolutismo.
Suya es la expresión: “El miedo y yo nacimos gemelos”, y no la expresó porque hubiera adivinado que su teoría de gobierno sería una negra bandera de miedo, de terror, de prepotencia del estado, sino porque su nacimiento fue prematuro a raíz del terror que experimentó su madre al aproximarse a las costas británicas la invencible Armada Española.
Por suerte la gran mayoría de los pueblos desautorizó su teoría política, y adoptó la Democracia, que si bien es imperfecta y degenera en algunas enfermedades, es el mejor sistema que tenemos, y donde podemos sentirnos personas con derechos y con deberes que nos da lo que llamamos libertad o libre albedrío.
El film, es una metáfora sobre la Rusia de Putin, donde la corrupción, la mafia del poder, la injusticia social, el no respeto de los derechos individuales, rige, como en el reino del absolutismo hobbesiano, como reino de las tinieblas.
La metáfora se puede por supuesto aplicar a todo régimen dictatorial, repudiable y enfermo de poder hegemónico, y ejemplos en nuestro universo occidental y oriental, tenemos a granel.
El film ruso es de una narrativa lineal, simple, pero de un efecto paralizador. Diría angustiante. No existe en él la Justicia, ni existe un Dios protector del hombre. Existe solo la panacea del vodka. Vodka que funciona como un dios, que “distrae” a sus protagonistas, sacándolos de la pesadilla que les toca vivir.
Excelentes los actores, más aún si consideramos que la mayoría de las escenas son jugadas en estado de permanente embriaguez. Todos!
Al finalizar la proyección quedé algunos minutos sepultado en la butaca, sin fuerzas para pararme y afrontar la vida que corría afuera, que por suerte estaba lejos de las imágenes finales del filme: un paisaje helado, aislado de todo, de una soledad abrumadora, de muerte, que transmite claramente lo que el hombre puede sentir cuando la injusticia de la sociedad, degenerada en un cáncer ramificado, quita al ciudadano hasta el oxigeno vital.
Sali a la calle, respiré profundo y me sentí libre.
Festejemos nuestra Democracia, que aunque imperfecta, nos permite gritar, respirar, amar, exigir, votar, cambiar, denunciar, elegir!
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[+] un collasso antropologico
(di giank51)
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flyanto
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mercoledì 13 maggio 2015
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quando ormai si perde tutto
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Al protagonista della storia raccontata in "Leviathan" non c'è nulla che vada per il verso giusto, anzi, una continua serie di avvenimenti negativi che determineranno la sua condanna definitiva. Kolia, questo è il nome del protagonista, è un uomo vedovo che si è risposato con una bella donna giovane, ha un figlio adolescente avuto dal primo matrimonio che è piuttosto ribelle e maleducato, soprattutto nei confronti della seconda moglie del padre, ed una situazione economica affatto positiva. Infatti tutti i suoi possedimenti terreni ed edili gli sono stati confiscati dallo Stato in quanto, sebbene egli si sia rivolto ad un vecchio compagno giovanile, ormai divenuto un importante avvocato a Mosca, non è riuscito a vincere le numerose cause sollevate contro l'arrogante e corrotto sindaco desideroso delle sue terre e dunque a breve egli dovrà traslocare dalla propria casa con tutta la sua famiglia.
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Al protagonista della storia raccontata in "Leviathan" non c'è nulla che vada per il verso giusto, anzi, una continua serie di avvenimenti negativi che determineranno la sua condanna definitiva. Kolia, questo è il nome del protagonista, è un uomo vedovo che si è risposato con una bella donna giovane, ha un figlio adolescente avuto dal primo matrimonio che è piuttosto ribelle e maleducato, soprattutto nei confronti della seconda moglie del padre, ed una situazione economica affatto positiva. Infatti tutti i suoi possedimenti terreni ed edili gli sono stati confiscati dallo Stato in quanto, sebbene egli si sia rivolto ad un vecchio compagno giovanile, ormai divenuto un importante avvocato a Mosca, non è riuscito a vincere le numerose cause sollevate contro l'arrogante e corrotto sindaco desideroso delle sue terre e dunque a breve egli dovrà traslocare dalla propria casa con tutta la sua famiglia. Nel contempo la giovane moglie, con cui è in crisi, lo tradisce con l'avvocato amico e, dopo la di lei morte avvenuta in circostanze poco chiare, Kolia viene accusato di omicidio e conseguentemente arrestato e condannato a 15 anni di carcere, lasciando il proprio figlio in affido ad una coppia di amici.
Andrej Zvyagintsev in "Leviathan"costruisce una storia ben differente, e sicuramente più pessimista, da quella della sua poetica pellicola d'esordio "Il Ritorno" con cui vinse nel 2003 il Leone d' Oro alla Mostra Cinematografica di Venezia. Sono passati infatti undici anni e sicuramente, da quanto viene esposto in questo film dal regista russo, la situazione politica ed economica della Russia non è certamente migliorata, anzi, quello che più, appunto, si evince da questa vicenda è proprio la situazione di profonda crisi e di corruzione morale che porta alla rovina il paese e la sua popolazione che diviene inattaccabile o facilmente espugnabile, a seconda della parte a cui si appartiene, se a quella dei potenti politicamente ed economicamente od a quella degli onesti lavoratori lontani dalla corruzione e dunque viventi nella povertà. E nel corso dell'evolversi di tutta la vicenda e del lottare invano come, appunto, il Giobbe della parabola, da parte del protagonista, Zvyagintsev denuncia apertamente ed in maniera precisa e rigorosa, quale è la sua regia, il marcio e le condizioni pessime della Russia, non lasciando intravvedere alcuna possibilità di miglioramento o di riscatto. Per Giobbe c'era la speranza in Dio, per Kolia nemmeno più quella in quanto anche la Chiesa non si salva affatto.
Ben fatto, scarno, crudo e, forse, un pò troppo minuzioso e dunque lento per ciò che concerne alcune parti iniziali: con una ventina di minuti in meno il film sarebbe stato perfetto ma, comunque, ugualmente apprezzabile e consigliabile.
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dario bottos
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domenica 10 maggio 2015
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"qual'è il tuo dio?"
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Oggi 10 maggio 2015, San Giobbe.
Kolya, il protagonista del film, come il Giobbe dell’Antico Testamento cui lo paragona il pope della remota cittadina del nord della Russia in cui vive, perde in poco tempo ogni cosa: la casa, il fratello, la donna, il figlio, la libertà, la speranza. Non è Dio a metterlo alla prova, ma le angherie di un potere politico corrotto senza rimedio, il senso di impotenza affogato nell’alcol, la disintegrazione del nucleo familiare ultima zattera nelle tempeste dell’esistenza. L’uomo è annichilito, sopraffatto dal maglio di un fato crudele.
La cifra metaforica del film è scoperta, forse troppo scoperta. La denuncia del potere, un potere non raffinato e subdolo ma cialtrone e malavitoso, non ha la forza di un Elio Petri o ma è inserita in una simbologia naturalistica-panteistica, molto russa, dove il dio è il fato precristiano, e i suoi strumenti sono una natura possente dominata dall’acqua – reminiscenza tarkovskiana? – e delle regole di convivenza sconvolte dall’arbitrio e dalla prevaricazione brutale.
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Oggi 10 maggio 2015, San Giobbe.
Kolya, il protagonista del film, come il Giobbe dell’Antico Testamento cui lo paragona il pope della remota cittadina del nord della Russia in cui vive, perde in poco tempo ogni cosa: la casa, il fratello, la donna, il figlio, la libertà, la speranza. Non è Dio a metterlo alla prova, ma le angherie di un potere politico corrotto senza rimedio, il senso di impotenza affogato nell’alcol, la disintegrazione del nucleo familiare ultima zattera nelle tempeste dell’esistenza. L’uomo è annichilito, sopraffatto dal maglio di un fato crudele.
La cifra metaforica del film è scoperta, forse troppo scoperta. La denuncia del potere, un potere non raffinato e subdolo ma cialtrone e malavitoso, non ha la forza di un Elio Petri o ma è inserita in una simbologia naturalistica-panteistica, molto russa, dove il dio è il fato precristiano, e i suoi strumenti sono una natura possente dominata dall’acqua – reminiscenza tarkovskiana? – e delle regole di convivenza sconvolte dall’arbitrio e dalla prevaricazione brutale. Il Leviatano rimanda a questa duplice lettura: simbolo biblico delle forze naturali, e simbolo dell’antropologia politica negativa di Hobbes (“homo homini lupus”).
Non c’è speranza, tutto è degrado: gli uomini, la loro società, la loro stessa civiltà. Forse l’ultimo remoto barlume sta in quell’accostamento a Giobbe, che dopo la terribile prova riebbe in sovrabbondanza ciò che aveva perduto. Ma dove ,e quando, e quale mai sarà quella giustizia che potrà risarcire il novello Giobbe?
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[+] quello che non mette l'apostrofo
(di feanor1986)
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giank51
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sabato 9 maggio 2015
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il disfacimento della russia attuale
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Quello che rende il film interessante non è tanto la vicenda di Kolia in sè. Sopprusi , tradimenti, violenze, politici corrotti non mancano in giro per il mondo. In questi film però esce uno spaccato di società russa sconvolgente. E' una autentica denuncia dello sviluppo post-comunista di questo paese. Tutta la narrazione è regolarmente scandita da automatismi, da coazioni: la bottiglia di Vodka compare ad ogni occasione critica; è la compagna anche delle riunioni notturne dei ragazzi nella chiesa diroccata (in una scena il regista si sofferma ironicamente su un affresco di San Giovanni); le conversazioni sono scandite dall'accensione della sigaretta.
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Quello che rende il film interessante non è tanto la vicenda di Kolia in sè. Sopprusi , tradimenti, violenze, politici corrotti non mancano in giro per il mondo. In questi film però esce uno spaccato di società russa sconvolgente. E' una autentica denuncia dello sviluppo post-comunista di questo paese. Tutta la narrazione è regolarmente scandita da automatismi, da coazioni: la bottiglia di Vodka compare ad ogni occasione critica; è la compagna anche delle riunioni notturne dei ragazzi nella chiesa diroccata (in una scena il regista si sofferma ironicamente su un affresco di San Giovanni); le conversazioni sono scandite dall'accensione della sigaretta. Alcool e fumo sono i fulcri della socializzazione. Seppur immersi nella miseria, tutti sfoderano cellulari di varia caratura; Kolia cercherà con il suo cellulare la moglie ormai annegata. E ' pregnante l'odore del business ad ogni costo. Severa è la denuncia nei confronti della chiesa ortodossa che pure sembra essere l'unico baluardo al dialgare della barbarie e della immoralità. Ma il messaggio cristiano non è veicolato dall' autorità religiosa (vedasi il discorso finale del vescovo in pompa magna) ma da un umile pope che tenta di redimere Kolia con le citazioni dal libro di Giobbe (dove tra l'altro compare il Leviatano). Questo sembra dunque essere diventata la Russia, sembra volerci dire il regista: un mostro il Leviatano o anche, in un'altra accezione, il caos.
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brian77
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sabato 9 maggio 2015
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regista vero
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Potrà piacere di più o di meno, avvincere o annoiare, ma una cosa è certa: questo è un regista vero!!!
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zarar
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venerdì 8 maggio 2015
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un moderno giobbe nella russia di putin
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Il film è la storia di una lotta titanica, impossibile, masochista di un individuo contro un potere che lo sovrasta ed è troppo più forte di lui: lo stato ‘Leviatano’ di Thomas Hobbes attualizzato nella Russia di Putin. Qui affarismo, corruzione, ipocrisia, ottusità burocratica nel migliore dei casi, vera e propria violenza e criminalità nel peggiore, si intrecciano come le spire del mostro biblico nella realtà politica e burocratica, nella magistratura e nella polizia, - last but not least – nella stessa Chiesa ortodossa, tutti complici nello schiacciare freddamente sacrosanti diritti individuali quando intralciano i loro interessi.
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Il film è la storia di una lotta titanica, impossibile, masochista di un individuo contro un potere che lo sovrasta ed è troppo più forte di lui: lo stato ‘Leviatano’ di Thomas Hobbes attualizzato nella Russia di Putin. Qui affarismo, corruzione, ipocrisia, ottusità burocratica nel migliore dei casi, vera e propria violenza e criminalità nel peggiore, si intrecciano come le spire del mostro biblico nella realtà politica e burocratica, nella magistratura e nella polizia, - last but not least – nella stessa Chiesa ortodossa, tutti complici nello schiacciare freddamente sacrosanti diritti individuali quando intralciano i loro interessi. Ma è anche qualcosa di più: è la storia un individuo travolto da un destino ostile che va al di là del suo conflitto con il potere, e che non gli lascerà scampo fin nei suoi affetti più cari, togliendogli – moderno e torturato Giobbe - tutto di tutto, amici, moglie, figlio, fino alla sua personale libertà. Lui è Kolja, che in una sperduta località dell’estremo Nord della Russia, sul mare di Barents, fa l’impossibile per difendere contro un progetto di speculazione edilizia la sua casa. Barricato nel suo elementare senso di giustizia, rischia tutto e perde tutto nell’impresa. Kolja non è l’eroe solare che tutela un suo idillio verde ‘tutto natura’ contro il cemento. In questo senso la storia ci tocca ancora più profondamente e ne intuiamo il valore simbolico: quello che egli difende è davvero qualcosa di minimale, un bene ed una vita a cui è già difficile dare un valore. La natura in mezzo a cui Kolja vive è infatti quanto di più triste si possa immaginare, nella sua pallida mezza luce che non è mai sole o buio pieno; la sua casa un po’ squinternata è aperta a tutti i venti, schiacciata sotto un cielo basso e livido, tra rocce nude e incombenti, esposta ad un mare di piombo che si frantuma rabbiosamente contro scogli enormi (ricordo flash: ‘L’uomo di Aran’). Sulla spiaggia uno scheletro di balena, sullo sfondo il buco nero di una chiesa diroccata… Lo stesso Kolja non ha il taglio dell’eroe: è un buon diavolo, ma non sempre capisce bene quel che fa e quel che vuole, o i problemi di sua moglie e suo figlio, beve troppo ed è portato a reazioni incontrollate. Intorno personaggi che si muovono come altrettanti automi, apaticamente indifferenti o posseduti da un’ossessione, prepotentemente esibita contro gli altri o inespressa e autodistruttiva. Proprio perché Kolja ha così poco, sentiamo ancora di più la forza del suo diritto e la sua sconfitta. Non per caso, molto di più che gli attori, parla in questo film lo scenario in cui sono immersi, sempre carico di una sua vitalità minacciosa, simbolo perfetto del mostro biblico personaggio–chiave del film: una fotografia bellissima e potenti inquadrature ci restituiscono molto bene nel paesaggio livido e tormentato e nell’impostazione delle singole scene il senso di un potere oscuro e minaccioso, della violenza inaspettata, dell’inesorabile sproporzione delle forze, dell’indifferenza cieca, del caso che può colpirti tanto quanto la deliberata cattiveria. Da segnalare la scena della lettura delle sentenze in tribunale: un pezzo di bravura da non dimenticare.
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[+] un’astratta parabola umana, dolente e disperata…
(di antonio montefalcone)
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