flatout
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sabato 26 settembre 2015
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ritorno del cannibal movie su grande schermo
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Ritorna sul grande schermo il Cannibal Movie all'italiana, quei film efferati girati tra fine anni '70 ed inizio anni '80. Devo dire che la mia cultura di genere alla visione di questo film è relativamente limitata, si, mi sono informato, ma i più non li ho visti. L'unico è stato il bellissimo Cannibal Holocaust, che non colpiva lo spettatore solamente per violenza su animali e persone, ma per il forte messaggio sociale: una presa di coscienza sull'uomo, il progresso e l'industria cinematografica.
Ora, prima di iniziare la recensione devo dire che non è un cazzo di remake del film di deodato.
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Ritorna sul grande schermo il Cannibal Movie all'italiana, quei film efferati girati tra fine anni '70 ed inizio anni '80. Devo dire che la mia cultura di genere alla visione di questo film è relativamente limitata, si, mi sono informato, ma i più non li ho visti. L'unico è stato il bellissimo Cannibal Holocaust, che non colpiva lo spettatore solamente per violenza su animali e persone, ma per il forte messaggio sociale: una presa di coscienza sull'uomo, il progresso e l'industria cinematografica.
Ora, prima di iniziare la recensione devo dire che non è un cazzo di remake del film di deodato.
La cosa che mi ha più disturbato di questo The Green Inferno è l'ambiguitá del messaggio, sia ambientalista che progressista (in senso negativo), non è chiaro quale sia il fine effettivo del film: dal finale fa intendere un pensiero giusto e ambientalista, dallo svolgimento il contrario.Tutti i personaggi sono stereotipati: il fattone, la ragazza hopauraditutto, il tipo grasso ucciso per primo, la vergine ecc. Ma non è momento di giocare altre carte? Si è un omaggio, ma ormai ci si è stancati di questi luoghi comuni.
Altra pecca sono appunto gli indios, i cannibali, il punto cardine del film, efferati e vendicativi per la distruzione del loro luogo natio..e quindi mangiano le persone? Il cannibalismo, come si vede anche in cannibal holocaust (in cui i protagonisti non vengono mangiati ma semplicemente uccisi), avviene per una determinata cultura, non perché "mi hai fatto girare le balle". Nella pellicola si trova solamente un gussto perverso alla violenza, usare un semplice pretesto per mostrare più efferatezze possibile (che poi non sono manco tante dato che non succede nulla nei primi 50 minuti, che sono una prova fallita di dare un qualsivoglia spessore ai personaggi). Gli attori: a parte Lorenza Izzo gli altri sono poco più che amatoriali, e a volte cadono nel ridicolo.
Il V.M. 18 non lo vede manco col binocolo.
Per finire le scene di violenza sono ben fatte ma non colpiscono lo spettatore come magari è successo nei due film precedenti del regista, in questo è più gratuita e il messaggio sociale che negli hostel si intravedeva, qua si perde e lascia il film nell'anonimato facendo dimenticare il film allo spettatore poco dopo averlo visionato.
(Il voto sarebbe una stella e mezzo)
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parieaa
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domenica 4 ottobre 2015
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se questo è un film vm 18....
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Sebbene fosse scontato non attendersi un nuovo capolavoro del genere horror, sicuramente si poteva dare di più. Perchè, se da un lato è pur vero che il budget era davvero irrisorio (specialmente viste le ambientazioni) e che questo ha portato a dover risparmiare all'osso su qualsiasi cosa (il cast tutto è davvero terribile, in primis il "carismatico" capo spedizione, che nella vita reale non avrebbe convinto neanche una nonnina a farsi aiutare ad attravarsare la strada), ma è pur vero anche che Eli Roth è riuscito a fare decisamente meglio (ovviamente nei limiti del suo genere filmico) e dubito che gli altri suoi lavori abbiano avuto fondi da blockbuster.
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Sebbene fosse scontato non attendersi un nuovo capolavoro del genere horror, sicuramente si poteva dare di più. Perchè, se da un lato è pur vero che il budget era davvero irrisorio (specialmente viste le ambientazioni) e che questo ha portato a dover risparmiare all'osso su qualsiasi cosa (il cast tutto è davvero terribile, in primis il "carismatico" capo spedizione, che nella vita reale non avrebbe convinto neanche una nonnina a farsi aiutare ad attravarsare la strada), ma è pur vero anche che Eli Roth è riuscito a fare decisamente meglio (ovviamente nei limiti del suo genere filmico) e dubito che gli altri suoi lavori abbiano avuto fondi da blockbuster. The Green Inferno parte in maniera estremamente lenta, tanto che all'intervallo (a 45' su 90') praticamante non era successo ancora nulla di rilevante, se non il trascinarsi sullo schermo di storie superflue e mal recitate. Però se l'attesa fosse valsa la pena sarebbe stato pure perdonabile...e invece no. Le scene d'azione sono scarne e quelle di violenza molto poco violente, o comunque molto meno di quanto fosse lecito aspettarsi, soprattutto pensando che questo è un film ispirato a Cannibal Holocaust (e quello si che era un film molto violento). Poi bisogna parlare anche del ,da me, odiatissimo politically correct, che sta raggiungeno livelli davvero ridicoli e insopportabili, quanto ipocriti (insomma gli indios ritratti così sono davvero poco attendibili e si può far vedere un uomo smembrato brutalmente, ma pensare di far vedere una donna o un uomo nudi è blasfemia pura...assurdo), che rappresenta ormai un vero bavaglio al libero pensiero e azione; se poi pensiamo che è pur sempre un film vm 18 è ancora più ridicolo. Carina la colonna sonora e anche la denuncia sociale, che però resta troppo nascosta e troppo timida, a mio parere (probabilmente acora per esigenze di correttezza...). Insomma se questa è la fine meschina che deve fare questo genere cinematografico, tanto vale che finiscano di produrlo. Ma io spero di no. Voto reale una stella e mezzo.
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zero99
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giovedì 5 novembre 2015
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chissà che sapore ha la carne umana
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Mi aspettavo di meglio da questo film, però tuttosommato mi è abbastanza piaciuto. Di violenza ce nè poca, forse in 2 scene, per il resto ordinaria amministrazione. La storia è scontata ma è in funzione del massacro degli indigeni/cannibali a danno dei poveri mal capitati di turno. Alla fine è un film che scorre bene e che intrattiene il giusto, anche se mi aspettavo di più. il fatto che sia stato vietato ai minori di 18 anni non ho capito il perchè, dato che non si vede nulla di scioccante, al massimo lo avrei vietato ai minori di 14.
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tarantinofan96
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martedì 29 settembre 2015
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non male
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‘The Green Inferno’ è probabilmente il film di Eli Roth in cui emerge di più il lato politico: il regista ne ha per tutti, dagli ambientalisti alle grandi multinazionali, dai governi fino agli indigeni, che a prima vista possono sembrare i peggiori di tutti, ma in realtà è tutto inserito su un piano di rapporti causa-conseguenza che fa riflettere lo spettatore in maniera non banale. Il film ha la sua buona dose di momenti violenti e sanguinolenti, ma probabilmente c'era da aspettarsene un po’ di più (tra l’altro ho l’impressione che una scena sia stata parzialmente tagliata, quella delle formiche, correggetemi se sbaglio…).
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‘The Green Inferno’ è probabilmente il film di Eli Roth in cui emerge di più il lato politico: il regista ne ha per tutti, dagli ambientalisti alle grandi multinazionali, dai governi fino agli indigeni, che a prima vista possono sembrare i peggiori di tutti, ma in realtà è tutto inserito su un piano di rapporti causa-conseguenza che fa riflettere lo spettatore in maniera non banale. Il film ha la sua buona dose di momenti violenti e sanguinolenti, ma probabilmente c'era da aspettarsene un po’ di più (tra l’altro ho l’impressione che una scena sia stata parzialmente tagliata, quella delle formiche, correggetemi se sbaglio…).
Eli Roth mescola il tutto anche con qualche momento ironico e qualche altro un po’ trash, che non stonano più di tanto il lavoro nel suo insieme, non come un paio di scene che secondo me si potevano evitare o modificare leggermente.
‘The Green Inferno’ è un bel film horror, divertente, non stupido e appoggiato dalla solita “pubblicità ingannevole”, chiamiamola così, che però si spera che porti più gente possibile a vederlo, anche perché è un bene che film come questi incassino piuttosto che i soliti horror POV e mockumentary che sono tutti uguali e fanno tutti schifo (o quasi). Oltre al fatto che poi potrebbero distribuire ‘Knock Knock’ (ultimo film di Eli Roth) anche in Italia.
Quindi andate a vedere ‘The Green Inferno’, non aspettatevi granché, soltanto un buon film horror che comunque rimane all’altezza dei precedenti lavori di Eli Roth.
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cinestabe
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giovedì 18 febbraio 2016
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the green inferno _ il film peggiore di eli roth.
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Eli Roth, è noto per aver diretto Pellicole come il bellissimo CABIN FEVER ed il Cult HOSTEL. Gli elementi che rendono riconoscibili i suoi film, sono: un'atmosfera malsana; una critica (magari velata) alla Politica; e la violenza "estrema". Ma tutto ciò è presente nel film in questione?
A mio modestissimo parere, senza ombra di dubbio, no. La storia vede come protagonista Justine, studentessa americana che si prende una cotta per Alejandro, leader di un gruppo di studenti ambientalisti. Alla ragazza viene proposto di diventare membro del gruppo e di andare, insieme agli altri attivisti, nell'Amazzonia Peruviana per fermare la distruzione (effettuata a scopo di lucro) di una parte della Foresta Amazzonica e per evitare l'estinzione di una tribù locale.
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Eli Roth, è noto per aver diretto Pellicole come il bellissimo CABIN FEVER ed il Cult HOSTEL. Gli elementi che rendono riconoscibili i suoi film, sono: un'atmosfera malsana; una critica (magari velata) alla Politica; e la violenza "estrema". Ma tutto ciò è presente nel film in questione?
A mio modestissimo parere, senza ombra di dubbio, no. La storia vede come protagonista Justine, studentessa americana che si prende una cotta per Alejandro, leader di un gruppo di studenti ambientalisti. Alla ragazza viene proposto di diventare membro del gruppo e di andare, insieme agli altri attivisti, nell'Amazzonia Peruviana per fermare la distruzione (effettuata a scopo di lucro) di una parte della Foresta Amazzonica e per evitare l'estinzione di una tribù locale. Lei, accetterà immediatamente.
Questo è l'incipit non solo del peggior film in assoluto di Eli Roth, ma anche
di uno tra i peggiori film distribuiti tra il 2010 e il 2015. Si tratta di una Pellicola
inutile, in cui non c'è assolutamente nulla di salvabile, eccetto la bellissima e
brava Lorenza Izzo che, però, veste i panni di un personaggio che, per quanto sia il più importante di tutto il film, risulta "vuoto" esattamente come tutti gli altri. Anche la storia risulta poco credibile: una ragazza, può essere così impulsiva da seguire un gruppo di attivisti fino alla Foresta Amazzonica, solo perché le piace un ragazzo che è pure impegnato sentimentalmente? Dai, non ci credo.
La parte migliore (per quanto poco riuscita) risulta proprio quella in cui gli indigeni uccidono i vari personaggi, forse proprio perché ciò avvia lo spettatore verso la fine della suddetta Pellicola. Ma poi arriva anche il finale, tremendo e totalmente insensato, di cui non ne parlo approfonditamente solo per evitare di dare rivelazioni riguardanti la trama, per quanto essa sia prevedibilissima.
Il film è, come se tutto ciò non bastasse, pure strutturato malissimo per quanto riguarda la "narrazione". Prima di arrivare al centro dell'azione, passano più di quaranta minuti; e la parte finale dura più di dieci minuti. Le scene di violenza e di tensione le ho trovate fin troppo veloci e "tagliate" e, di conseguenza, non mi hanno dato nemmeno il tempo di provare inquietudine o fastidio. Proprio non si direbbe che si tratta di un film del regista di HOSTEL, ovvero uno tra i film più disturbanti del primo decennio dei '2000, in cui la dose di dialoghi era equivalente, sia per quantità che per qualità, a quella della violenza. La critica alla Politica, elemento di cui Roth, indiscutibilmente, si è sempre potuto vantare, nel film in questione non è per niente velata. Anzi, è troppo "spiegata"! L'autocompiacimento del regista, non riguarda solamente le scene di violenza (poco riuscite e, di conseguenza, ben poco impressionanti), ma, soprattutto, il voler rendere il Male l'elemento che manda avanti il mondo intero, con complotti ovunque. Lo ha fatto apposta, Eli, per deridere i "complottisti"? Oppure è lui stesso un "complottista"?
Sinceramente, non l'ho ben capito. La fotografia, sarebbe potuta essere l'unico elemento tecnico veramente valido di THE GREEN INFERNO, data la location e dati i colori di cui sono dipinti i corpi degli indigeni. Eppure, persino sotto questo aspetto, il regista statunitense amico di Tarantino, è riuscito a deludere. Ah, le musiche? Ridicole.
Insomma, THE GREEN INFERNO, è un film pessimo. Non mi ha lasciato nulla, se non l'amaro in bocca. Consigliato solo a chi non ha nulla da vedere e/o a chi non ha mai visto CANNIBAL HOLOCAUST.
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gianleo67
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mercoledì 9 dicembre 2015
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invito a pranzo...con il morto
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Attratta dal fascino del carismatico leader di un'associazione ambientalista, la giovane Justine si lascia coinvolgere nella pericolosa azione dimostrativa che un gruppo di studenti mette in atto contro il disboscamento dell'amazzonia peruviana. Non fa in tempo a rendersi conto di essere stata strumentalizzata, che l'aereo che li riporta a casa precipita nel folto della foresta pluviale, lasciando lei e gli altri sopravvissuti alla mercè di una primitiva e isolata tribù di feroci cannibali.
Omaggio dichiarato dello spericolato e tarantiniano Eli Roth alla Cannibal-exploitation di Ruggero Deodato, questo action-adventure dall'anima splatter segue nè più nè meno che il consolidato rapporto del genere con l'esile sottotesto politico a base di ironici contrappassi culturali e con il grand-guignol di un divertimento un pò infantile a base di efferatezze e squartamenti vari che avevano rappresentato il leit-motive vincente tanto del suo esordio nel lungo (Cabin Fever 2002) quanto e soprattutto delle sue due più riuscite prove successive (Hostel 2005 e Hostel II 2007).
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Attratta dal fascino del carismatico leader di un'associazione ambientalista, la giovane Justine si lascia coinvolgere nella pericolosa azione dimostrativa che un gruppo di studenti mette in atto contro il disboscamento dell'amazzonia peruviana. Non fa in tempo a rendersi conto di essere stata strumentalizzata, che l'aereo che li riporta a casa precipita nel folto della foresta pluviale, lasciando lei e gli altri sopravvissuti alla mercè di una primitiva e isolata tribù di feroci cannibali.
Omaggio dichiarato dello spericolato e tarantiniano Eli Roth alla Cannibal-exploitation di Ruggero Deodato, questo action-adventure dall'anima splatter segue nè più nè meno che il consolidato rapporto del genere con l'esile sottotesto politico a base di ironici contrappassi culturali e con il grand-guignol di un divertimento un pò infantile a base di efferatezze e squartamenti vari che avevano rappresentato il leit-motive vincente tanto del suo esordio nel lungo (Cabin Fever 2002) quanto e soprattutto delle sue due più riuscite prove successive (Hostel 2005 e Hostel II 2007).
Se la cosa più apprezzabile di un'operazione del genere resta la prima componente, legata alla messa alla berlina dei luoghi comuni più retrivi sui pregiudizi che le moderne società civilizzate nutrono sul loro ambiguo rapporto tanto con lo sfruttamento delle risorse naturali (gli smartphone non si creano dal nulla) quanto con le millenarie tradizioni di culture che l'impeto colonialista non è riuscito a spazzare via dalla faccia della terra (l'infibulazione, questa sconosciuta), quello che ne abbassa le velleità sotto il livello di guardia è comunque l'esilità di uno script che utilizza questi contenuti esclusivamente come pretesto per la messa in scena delle solite dinamiche adolescenziali (gli studenti americani non cresceranno mai) ed il loro morboso rapporto con il sesso e con la morte, finendo per dare in pasto ad un target di ragazzini non accompagnati lo spauracchio un pò telefonato delle consuete orge a base di sangue e violenza che ogni horror che si rispetti dovrebbe avere. Costruito nei tre atti più un epilogo (a sorpresa?) che conduce la sua virginale protagonista in una discesa agli inferi (e ritorno) dell'abiezione e della perversione umane, è attraversato dal moralismo un pò grossolano che ci fa vedere l'ipocrita doppiezza dei buoni propositi dell'uomo civilizzato come un orrore ben più sconcertante e pericoloso delle discutibili abitudini alimentari di nativi antropofagi isolati nel folto di un eden verdeggiante e impenetrabile e riproducendo, con un pò di malizia cinefila, la roulette russa a cui prigionieri di guerra alla Michael Cimino sono destinati nella snervante attesa che gli hanno riservato dei carcerieri che sconoscono la convenzione di Ginevra. Oltre che le membra degli opulenti e ben nutriti studenti americani, ad essere tagliate con l'accetta sembrano anche le esili psicologie di personaggi mossi sempre da un secondo fine (la ragazza che vorrebbe perdere la verginità con il ragazzo carismatico, il grassone che gli va dietro, il leader cinico e spregiudicato, etc.) e le facili scorciatoie di un sentimentalismo a buon mercato che pretende che la irresistibile fame di un antropofago in fasce sia subordinato all'incanto per un ciondolo zufolante. Tra momenti di discutibile gusto e incongruenze un pò risibili (lui che si basturba per combattere lo stress e lei che si taglia la gola per il rimorso di un pasto immondo) ci si trascina verso un finale prevedibile che prelude all'inevitabile (?) sequel. Flagellato dalle vicissitudini di una distribuzione un pò in bolletta è stato proiettato in anteprima alla trentottesima edizione del Toronto International Film Festival 2013. Quando il buon selvaggio pensa che quelli veramente buoni siete voi.
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onufrio
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lunedì 29 agosto 2016
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welcome to the green inferno
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L'immensa campagna pubblicitaria, il sangue che scorre a fiumi e tanto altro ancora, lasciavano presagire un qualcosa di terribilmente orrendo (in senso positivo per gli amanti del genere) e conoscendo il caro regista Roth ci si aspettava soltanto che questo. Invece il film parte lento, si prende il suo comodo per oltre tre quarti d'ora per poi finalmente ritrovarsi al punto tanto atteso, ed è lì che a parte qualche due scene, lo spettatore nonchè ammiratore di Roth rimane un pò perplesso e deluso (sorge il dubbio sul fatto che siano state tagliate un paio di scene). Sicuramente crudo e forte in alcuni momenti, ma niente a che vedere con i vari Hostel girati dallo stesso regista.
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L'immensa campagna pubblicitaria, il sangue che scorre a fiumi e tanto altro ancora, lasciavano presagire un qualcosa di terribilmente orrendo (in senso positivo per gli amanti del genere) e conoscendo il caro regista Roth ci si aspettava soltanto che questo. Invece il film parte lento, si prende il suo comodo per oltre tre quarti d'ora per poi finalmente ritrovarsi al punto tanto atteso, ed è lì che a parte qualche due scene, lo spettatore nonchè ammiratore di Roth rimane un pò perplesso e deluso (sorge il dubbio sul fatto che siano state tagliate un paio di scene). Sicuramente crudo e forte in alcuni momenti, ma niente a che vedere con i vari Hostel girati dallo stesso regista. Evitabile ( ma rispettabile) la ramanzina finale ed iniziale sulla salvaguardia dell'ambiente e sul rispetto dei popoli primitivi.
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gabrykeegan
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sabato 3 ottobre 2015
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una minestra (cannibale) riscaldata bene
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Roth riprende la filosofia di pellicole come "Cannibal Holocaust" e "Mangiati Vivi!" e la rende moderna, omaggiando i suoi ispiratori d'oltreoceano, ma mettendoci il proprio stile personale fatto di situazioni dal gusto stomachevolmente comico, un po' di quel pop-splatter alla Tarantino e una critica alla società odierna in cui la fanno da padrone gli smartphone, l'apparenza e le proteste a colpi di streaming twittato.
Il gruppo di studentelli che si fa trascinare nella rischiosa lotta ambientalista è l'espediente con cui il regista vuole rappresentare quella superficialità americana che tende più a mostrare la propria dedizione alla causa che a informarsi veramente sulle profonde questione morali e naturali che le culture diverse dalla loro portano in dote.
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Roth riprende la filosofia di pellicole come "Cannibal Holocaust" e "Mangiati Vivi!" e la rende moderna, omaggiando i suoi ispiratori d'oltreoceano, ma mettendoci il proprio stile personale fatto di situazioni dal gusto stomachevolmente comico, un po' di quel pop-splatter alla Tarantino e una critica alla società odierna in cui la fanno da padrone gli smartphone, l'apparenza e le proteste a colpi di streaming twittato.
Il gruppo di studentelli che si fa trascinare nella rischiosa lotta ambientalista è l'espediente con cui il regista vuole rappresentare quella superficialità americana che tende più a mostrare la propria dedizione alla causa che a informarsi veramente sulle profonde questione morali e naturali che le culture diverse dalla loro portano in dote.
Si trovano così a fare i conti prima con la loro voglia di fermare le intenzioni della civiltà più evoluta, usando come arma quegli aggeggi tecnologici di cui nessuno di noi può più fare a meno, e poi ad affrontare gli istinti più animaleschi e la cultura di un popolo primitivo che trova del buono in loro, più dal punto di vista gastronomico che relazionale.
Il film comincia in maniera leggera e quasi noiosa,affrontando le tematiche sociali ed esplorando la psicologia dei personaggi, come in un qualsiasi film americano horror, per poi far cadere i protagonisti e lo spettatore stesso nel verde ammaliatore di una delle parti della Terra più inesplorate dall'uomo.
Lì è il contrasto tra il verde e il rosso del sangue delle vittime e dei corpi degli indigeni che, come un semaforo della vita e della morte, scandisce la seconda parte del lungometraggio, fatto di sevizie, pranzi a base di succulenta carne umana e di riti primitivi che risvegliano lo spettatore dal torpore del primo tempo.
Rosso e verde non si mischiano mai veramente, ma sono i colori predominanti di un inferno in cui si rimane scioccati solo se ci si immerge completamente nella storia, ma che non sorprende più di tanto un pubblico ormai abituato a film horror di ogni tipo e a serie tv di zombie, mostri e mutilazioni.
Forse è proprio questa la differenza tra i vecchi cannibal movie italiani e il loro figlio degli Anni Duemila:a quei tempi il trash era di moda per stupire, per mostrare l'altra faccia di un cinema perfettino, fatto di grandi divi e situazioni da favola; nel 2015, per stupire lo spettatore c'è bisogno di qualcosa di più, in un mondo ormai senza veli e che mostra il proprio dark-side costantemente, sia nella realtà dei tg che nella finzione delle rappresentazioni.
Nonostante tutto, l'opera vietata ai minori di 18 anni è un bel tuffo nella nostalgia per gli amanti del genere e dà una ventata di freschezza sanguinosa a chi era rimasto a corto di film splatter sul grande schermo, riprendendo un tema che da tanto tempo non veniva sviscerato con così tanta precisione registica.
Le inquadrature e il montaggio sono sempre puntuali e ottimi dal punto di vista tecnico, la fotografia non è eccessivamente da b-movie, ma anzi, è fatta in modo da rendere più mainstream possibile un film che può tranquillamente essere proiettato al cinema.
Roth ci riporta agli istinti più perversi della psiche umana. Lo fa con l'ironia che lo contraddistingue e con la serietà giusta per raccontare temi scottanti e fraintendibili. Il tutto è realizzato in modo da far disgustare e sorridere allo stesso tempo, estasiare per i luoghi in cui è ambientato il tutto e per confermarci che il nemico più pericoloso per l'umanità è l'umanità stessa.
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giowi
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martedì 17 maggio 2016
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molto poco convincente
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Non sono decisamente un amante del genere horror di serie b,non ero riuscito a vedere Hannibal Holocaust interamente , molto più crudele di questo e per questa ragione un film pessimo è irricevibile, direi al limite della vergogna .Soprattutto per le scene estremamente violente nei confronti di animali e la violenza carnale., Questo film fortunatamente si stacca dal precedente al quale si ispira ma lo fa in una versione più corretta e con un elemento di discussione sulla tematica ecologica. Quindi non ci troviamo semplicemente di fronte ad un regista mediocre come Deodato che aveva usato tutti gli stratagemmi pubblicitari per creare successo su una pellicola veramente scarsa come Cannibal Holocaust.
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Non sono decisamente un amante del genere horror di serie b,non ero riuscito a vedere Hannibal Holocaust interamente , molto più crudele di questo e per questa ragione un film pessimo è irricevibile, direi al limite della vergogna .Soprattutto per le scene estremamente violente nei confronti di animali e la violenza carnale., Questo film fortunatamente si stacca dal precedente al quale si ispira ma lo fa in una versione più corretta e con un elemento di discussione sulla tematica ecologica. Quindi non ci troviamo semplicemente di fronte ad un regista mediocre come Deodato che aveva usato tutti gli stratagemmi pubblicitari per creare successo su una pellicola veramente scarsa come Cannibal Holocaust. Qui siamo di fronte ad un regista horror, con buone capacità ed effetti a gogo che riesce tramite la camera da presa a creare un'atmosfera horror nella sua crudezza ma rimanendo nell'ambito dell'horror talmente horror,da non essere credibile o verosimile . Inoltre la trama non è stata sviluppata bene, sembra che manchi una certa coerenza nei personaggi. Secondo me si poteva fare di meglio , sviluppando il soggetto con meno esagerazione e con qualche scena splatter in meno. Tali scelte sono talmente eccessive da essere a volte ridicole, particolarmente comica la fame chimica che assale i cannibali quando vengono riempiti di mariuana per essere sedati...Insomma una trovata tragicomica., Nel complesso una occasione persa.
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noia1
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domenica 5 marzo 2017
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uno spreco
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Un gruppo di ragazzi decide di andare a protestare contro una costruzione che andrebbe ad intaccare il territorio di alcune tribù indigene, l’atto di protesta sembra andare bene ma tornando a casa l’aeroplano su cui sono a bordo precipita, saranno loro stessi costretti a vedersela faccia a faccia con la vera cinica natura dei genuini indigeni.
Un film il cui aspetto tecnico è sorprendente con effetti speciali esplosivi e con patinati colori sparati che rendono le esagerate spruzzate di sangue veri e propri pugni allo stomaco. Anche il finale è interessante e sembra, più che dar ragione o colpa qua e là, voler piuttosto sbattere in faccia una realtà che è così e basta con un bel colpo di scena e una conclusione che vuole più che altro rappresentare una società senza più uno straccio di principio o idea.
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Un gruppo di ragazzi decide di andare a protestare contro una costruzione che andrebbe ad intaccare il territorio di alcune tribù indigene, l’atto di protesta sembra andare bene ma tornando a casa l’aeroplano su cui sono a bordo precipita, saranno loro stessi costretti a vedersela faccia a faccia con la vera cinica natura dei genuini indigeni.
Un film il cui aspetto tecnico è sorprendente con effetti speciali esplosivi e con patinati colori sparati che rendono le esagerate spruzzate di sangue veri e propri pugni allo stomaco. Anche il finale è interessante e sembra, più che dar ragione o colpa qua e là, voler piuttosto sbattere in faccia una realtà che è così e basta con un bel colpo di scena e una conclusione che vuole più che altro rappresentare una società senza più uno straccio di principio o idea.
Il problema è che anch’io posso fare un bellissimo discorso moralista raccontatomi da un altro ma se nemmeno io stesso che lo pronuncio ci credo allora posso lasciar perdere, non parlo di questioni di etica quanto più di valore della forma finita perché la prima cosa che si vede in un film che vuol fare una morale (o qualcosa di simile) è se il narratore ci creda o meno, paradossalmente qualsiasi stronzata può aver valore purché sia sentita. In questo caso il regista non aveva la minima idea di ciò che stava facendo, l’idea non l’ha coinvolto e ciò si riflette nello svolgimento privo di mordente.
Io capisco l’idea di voler sviluppare l’horror dal terrore dei ragazzi in trappola, ma se per tutta la seconda parte stanno chiusi in una gabbia non ha senso che la prima si svolga come una soap opera. Capisco anche mettere come protagonisti delle macchiette ma non ha senso poi buttar tutto così sul serio, sbadigliavo al veder quei quattro coglioni piagnucolare se per un’ora hanno avuto la profondità d’un pezzo di legno. Come posso essere impaurito o deluso della morte di persone che nella trama nemmeno sono sviluppate? E perché quando vengono chiusi in gabbia invece di uscire qualcosa d’interessante non fanno altro che piagnucolii accompagnati da spettacolari soluzioni quasi più da commedia demenziale (che per di più neanche fa ridere)?
Insomma uno dei motivi per i quali ormai al suono di “cinema commerciale” ci si volta dall’altra parte a priori, film senza un’anima, una specie di filastrocca di quelle che i bambini ripetono a memoria a scuola senza capirci loro stessi un cavolo.
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