renato volpone
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domenica 31 marzo 2013
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la passione dopo duemila anni
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SU RE ovvero la "Passione" di Cristo. Una passione dolorosa, povera, scarna, come effettivamente ha dovuto essere, fortemente sottolineata da uno strettissimo dialetto sardo che rende ancora più aspra la sofferenza della salita al Golgota. Una passione cosi lontana dai fasti delle cattedrali, sottolineata da Columbu con le citazioni più sferzanti di tutto il doloroso cammino. Sono i sacerdoti cattivi che condannano il Cristo e un popolo che richiama su di sé la maledizione "se è innocente che il suo sangue ricada su di noi tutti e sui nostri figli". I testimoni davanti a Pilato non hanno visto, ma sentito, sentito che distruggerà il Tempio e in tre giorni ne costruirà uno nuovo, ma più di questo hanno sentito che lui è contro i ricchi, è dalla parte dei poveri che fomenta per ribellarsi e rovesciare il governo dei ricchi.
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SU RE ovvero la "Passione" di Cristo. Una passione dolorosa, povera, scarna, come effettivamente ha dovuto essere, fortemente sottolineata da uno strettissimo dialetto sardo che rende ancora più aspra la sofferenza della salita al Golgota. Una passione cosi lontana dai fasti delle cattedrali, sottolineata da Columbu con le citazioni più sferzanti di tutto il doloroso cammino. Sono i sacerdoti cattivi che condannano il Cristo e un popolo che richiama su di sé la maledizione "se è innocente che il suo sangue ricada su di noi tutti e sui nostri figli". I testimoni davanti a Pilato non hanno visto, ma sentito, sentito che distruggerà il Tempio e in tre giorni ne costruirà uno nuovo, ma più di questo hanno sentito che lui è contro i ricchi, è dalla parte dei poveri che fomenta per ribellarsi e rovesciare il governo dei ricchi. Un Cristo Re e Rivoluzionario, che muore sulla croce, non bello come lo dipingono le icone cristiane, ma uomo come noi. Che muore sulla croce e nella carne e il suo cadavere è dolorosamente gonfio delle torture inflitte. Grande è il dolore della madre. I mantelli neri stagliati nel vento, le rocce della dolorosa salita, i silenzi, gli ulivi, il tradimento, il rinnegare, le umane debolezze, le paure, le storture, le false verità, la povertà dello spirito umano. Il film ti fa ripiombare con il freddo delle immagini indietro di duemila anni, ma la crocifissione è più attuale che mai, lo spettatore si rende conto che se il processo si svolgesse oggi avrebbe le stesse dinamiche e lo stesso risultato: duemila anni di storia che non sono serviti a nulla, la cattiveria dl genere umano è primitiva, incancellabile per la totale assenza di umiltà e di dedizione al prossimo. Un film che ti penetra nell'animo, ti senti il dito puntato contro, anche tu sei colpevole ogni volta che condanni o punti il dito per paura della diversità o contro qualcuno che vuole il bene comune a prescindere da ogni tornaconto perché ne diffidi in quanto tu non lo faresti. Alla fine capisci veramente la sofferenza del Cristo e il suo grande, forse vano, sacrificio: "Padre mio perché devo affrontare questa prova ?"
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giairo
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venerdì 22 marzo 2013
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un grido silenzioso che assorda le coscienze
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Su Re non è un film struggente che punta a commuovere e a scuotere lo spettatore. Sia per ambientazioni, per la scelta dei costumi e della lingua usata nei dialoghi, si distingue e propone come il racconto personale ed intimo dell' ingiusta condanna e dell' altrettanto iniquo processo che condusse al patibolo Gesù Nazareno, il Re dei Giudei , l' uomo dei dolori che, "maltrattato si lasciò umiliare... e che, come agnello condotto al macello, non aprì la sua bocca ( Is.: 53 , 7-8). A predominare la scena è il silenzio delle coscienze di oggi come di allora che assistono inermi e passive all'esecuzione di una condanna satisfattoria pagata con il sangue scaturito dalle piaghe dell' innocente da cui- tutti noi- siamo stato guariti.
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Su Re non è un film struggente che punta a commuovere e a scuotere lo spettatore. Sia per ambientazioni, per la scelta dei costumi e della lingua usata nei dialoghi, si distingue e propone come il racconto personale ed intimo dell' ingiusta condanna e dell' altrettanto iniquo processo che condusse al patibolo Gesù Nazareno, il Re dei Giudei , l' uomo dei dolori che, "maltrattato si lasciò umiliare... e che, come agnello condotto al macello, non aprì la sua bocca ( Is.: 53 , 7-8). A predominare la scena è il silenzio delle coscienze di oggi come di allora che assistono inermi e passive all'esecuzione di una condanna satisfattoria pagata con il sangue scaturito dalle piaghe dell' innocente da cui- tutti noi- siamo stato guariti. Nolente o volente, allo spettatore viene imposto di ascoltare, di udire e tradurre il rumore di quelle laconiche parole sussurrate e spesso onomatopeiche insieme ai suoni non accostati volutamente all'immagine visiva ma pur sempre impiegato come rapidi feed-back a fatti ed esperienze inscritti nella memoria di ciascuno. Il regista Giovanni Columbu non investe sul valore estetico degli interpreti, men che meno su quello dell'attore protagonista che, lungi dall'esser stimato per "apparenza e bellezza", rievoca alla mente la tragicità e deformità espressive echeggianti nei volti cupi e angosciati di alcuni ritratti di F.Goya. Non a caso, per tutta la durata del film, si susseguono una appresso all'altra, inquadrature che si stringono sempre più sui volti che, scavati e incisivi, sono colti nella loro drammaticità e disarmonia, quasi si volesse dare la "parola" alla loro anima per rendere la pellicola meno patinata e più vicina alla imperfetta umanità. Oltre ai primissi piani e alla ricerca dei dettagli ( inquadrature delle mani, dei piedi, di oggetti della vita quotidiana..) si spazia verso inquadrature a tutto campo di un paesaggio brullo e desolato, a tratti lunare e di un cielo carico di pioggia e di lamento, riflesso dell'atmosfera satura e claustrofobica che si respira. A seconda delle scene, il narratore sembrerebbe Gesù stesso che osserva, inerme e avvilito senza opporre resistenza a chi gli dà la morte ; delle altre, la prospettiva narrante sembrerebbe provenire dalle fila degli astanti che assistettero allo straziante castigo e che, probabilmente gridarono, in mezzo alla folla concitata, in difesa di Barabba. Eppure, nonostante il tentativo del regista di porsi in antitesi rispetto a grandi registi del passato che hanno raccontato la Passio cristi senza (quasi) mai aggiungere o togliere nulla alla lettera del Vangelo per far emergere uno fra tutti, il messaggio messanico di un Dio fattosi Uomo; anche Columbu ricade nella tentazione di invocare i suoi predecessori con il rischio di fare involontariamente una parodia . Senza troppe dissimulazioni, nell'incipit al film, egli cita la fonte (: Profeta Isaia, 54), come fece M. Gibson ne La passione, quasi a voler giustificare e tracciare fin da subito lo spartiacque e al comtempo il taglio che darà al racconto: in primis la scelta di scritturare volti poco noti e che non spiccano per attrattiva. Non sappiamo se la sua sia una sottile provocazione o nobile proposito di rendere ancor più vicino e attuale al fedele di oggi, come di domani la vita e la testimonianza di Gesù Cristo; vero è che per alcuni versi, la potenza descrittiva e realistica della fotografia limita l'identificazione di chi osserva, favorendo involontariamente un distacco, un'impermeabilizzazione al veicolarsi dei sentimenti di compassione, dolore e commozione a cui siamo abituti. E' come se mancasse il pathos, quel brivido che corre lungo la schiena e che consente allo spettatore di immergersi nella scena.
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fabiofeli
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lunedì 8 aprile 2013
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il re di tutte le genti fuori dagli schemi
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Su Re di Giovanni Columbu
Necessita di una giornata di sedimentazione il racconto cinematografico di Columbu sull’ultimo giorno di vita di Gesù, come viene descritta nei 4 Vangeli.
E’ una sacra rappresentazione popolare che rompe molti degli stilemi fin qui utilizzati nel cinema per descrivere l’argomento. In Lingua Sarda ‘su RE’ significa ‘il Re’, il Re di Giudei, ma anche l’unico vero Re. Non pronuncia molte parole Gesù oltre a quelle che esprimono la necessità che il destino si compia: le parole della Comunione e il triplice, drammatico‘Ho sete’.
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Su Re di Giovanni Columbu
Necessita di una giornata di sedimentazione il racconto cinematografico di Columbu sull’ultimo giorno di vita di Gesù, come viene descritta nei 4 Vangeli.
E’ una sacra rappresentazione popolare che rompe molti degli stilemi fin qui utilizzati nel cinema per descrivere l’argomento. In Lingua Sarda ‘su RE’ significa ‘il Re’, il Re di Giudei, ma anche l’unico vero Re. Non pronuncia molte parole Gesù oltre a quelle che esprimono la necessità che il destino si compia: le parole della Comunione e il triplice, drammatico‘Ho sete’. Anche gli altri personaggi dicono poche parole, molto spesso posano ieratici ed una voce fuori campo recita in lingua Sarda (con sottotitoli) battute familiari a chi ha dimestichezza con i Vangeli. Sembra di visitare una chiesa romanica ricca di affreschi affiancati, percorsa dalla mano di un Cavallini o un Masaccio, o guardare le devozioni semplici e quasi rozze di una Via Crucis dipinte da un pittore medievale sconosciuto, o addirittura i “quadri viventi” delle processioni del Venerdì Santo in Sardegna. Immediato il parallelo con Il Vangelo secondo San Matteo di Pasolini, capolavoro uscito nel 1964, nel quale gli elementi di ‘scandalo’ e di rottura dell’iconografia classica fino ad allora rappresentata nel cinema erano molteplici: un Cristo dai connotati mediterranei (Enrique Irazoqui); paesaggi desertici o primitivi (Sud Italia e Sassi di Matera); la madre del regista per il ruolo della Madonna e noti scrittori per le parti di contorno (Ginzburg, Agamben, Gatto, Siciliano); Il Kirie e l’Halleluja della Missa Luba (modernissima messa cantata dei Baluba).
In ‘Su Re’ Gesù (Fiorenzo Mattu) non ha un viso attraente: ha un foltissimo barbone nero e l’occhio appannato. Gli attori sono non professionisti e diversi di loro sono pastori sardi; un solo nome noto (quello dello scrittore Gavino Ledda), ma non sappiamo dire se si tratti proprio del letterato o sia solo una omonimia. I luoghi dell’azione sono tutti sardi: desertici e pastorali come il Supramonte, brulle scogliere dalle quali il mare sembra essersi appena ritirato, continuamente battute dal vento, oppure siti archeologici nuragici come il complesso di Barumini ; la musica suggestiva di Arvo Paart, minimalista sacro estone dell’inizio del secolo scorso (dall’Africa di Pasolini al Nord Europa!). Infine il totale sconvolgimento dell’ordine temporale degli avvenimenti mostrati, con ripetizioni di azioni già mostrate quasi a sottolinearne la centrale drammaticità: i “deo sono” (sono io); i colpi del martello sui chiodi della croce seguiti dall’urlo strozzato di Gesù; l’incredulità, lo scherno e la sfida del popolo nei confronti di su Re; l’agonia con i ripetuti “ho sete” e la lancia nel costato, che ricordano la lezione di Eizenstein; il quadro della morte di Gesù con la prospettiva del Cristo nell’avello di Mantegna.
Un’opera densa e primordiale con una fotografia bellissima. Un film da non mancare.
Valutazione ***1/2
FabioFeli
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flyanto
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lunedì 1 aprile 2013
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una nuova versione della passione di gesù cristo
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Film in cui viene rappresentata per l'ennesima volta l'episodio della Passione di Cristo ma qui essa è presentata in una forma abbastanza discosta da quella tradizionale. La performance infatti è eseguita da semplici pastori sardi e non da attori professionisti, la locazione degli eventi non è quella solita dei territori desertici palestinesi od israeliani, o per lo meno di ambientazione ed atmosfera orientale, bensì del brullo e selvaggio ma affascinante entroterra della Sardegna. I dialoghi, che ripropongono abbastanza fedelmente gli episodi riportati dalle Sacre Scritture vengono però pronunciati in uno stretto dialetto sardo (fortunatamente sottotitolato e tradotto nella lingua italiana) ed infine la figura di Gesù Cristo risulta ben distante da quella riprodotta dall' iconografia classica ed a cui noi siamo abituati, e cioè di un uomo emaciato, piuttosto bello ed interessante nel volto, con i capelli lunghi, insomma la tipica figura del Nazareno, a cui fa posto invece una del tutto nuova di un uomo piuttosto grassottello, molto peloso e con la faccia e gli occhi gonfi.
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Film in cui viene rappresentata per l'ennesima volta l'episodio della Passione di Cristo ma qui essa è presentata in una forma abbastanza discosta da quella tradizionale. La performance infatti è eseguita da semplici pastori sardi e non da attori professionisti, la locazione degli eventi non è quella solita dei territori desertici palestinesi od israeliani, o per lo meno di ambientazione ed atmosfera orientale, bensì del brullo e selvaggio ma affascinante entroterra della Sardegna. I dialoghi, che ripropongono abbastanza fedelmente gli episodi riportati dalle Sacre Scritture vengono però pronunciati in uno stretto dialetto sardo (fortunatamente sottotitolato e tradotto nella lingua italiana) ed infine la figura di Gesù Cristo risulta ben distante da quella riprodotta dall' iconografia classica ed a cui noi siamo abituati, e cioè di un uomo emaciato, piuttosto bello ed interessante nel volto, con i capelli lunghi, insomma la tipica figura del Nazareno, a cui fa posto invece una del tutto nuova di un uomo piuttosto grassottello, molto peloso e con la faccia e gli occhi gonfi. Nel complesso il film girato da Giovanni Columbu non è assolutamente un'opera da sottovalutare e senza dubbio merita un certo elogio soprattutto per ciò che concerne l'originalità della rappresentazione. Personalmente ho preferito altre rappresentazioni dell' episodio della Passione di Cristo, prima fra tutte quella indimenticabile ed altamente più poetica e suggestiva de "Il Vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini. Cmq, per chi è interessato, ripeto, ad una nuova presentazione di uno degli episodi del Vangelo, è consigliata vivamente.
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(di grogu)
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