radiofreccia
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mercoledì 16 febbraio 2011
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recensione o compilazione?
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Cinque righe di sinossi, altrettante dedicate ad una citazione del regista e sei per un commento che prende in esame la cinematografia senza alcun riferimento puntuale (se non l'accenno al vento) al film.
Sembra (?) quasi un copia/incolla da un press kit.
Se a Zappoli scoccia impegnarsi di più per una recensione mi offro volontario per un bel viaggio spesato a Berlino.
Con scarsa stima,
Giovanni.
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(di epidemic)
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alessandro rega
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venerdì 27 settembre 2013
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un lento viaggio verso la fine
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Questo film del 2011, diretto da Béla Tarr, è un lento viaggio verso la fine…verso la morte.
Il film è diviso in 6 giorni nei quali assistiamo alla vita quotidiana di un vetturino e della sua giovane figlia.
Essi, lavorano dalla mattina fino alla sera per continuare a restare in vita e a poter magiare patate bollite ed a bere acqua del pozzo.
É angosciante pensare che fanno tutto questo solo per la vita e, soprattutto, che non possono godere dei piaceri di essa.
Eppure, la storia di questi due non è altro che un’allegoria della vita dell’essere umano in generale che compie solo un lento viaggio verso la morte…e, questo viaggio è la vita.
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Questo film del 2011, diretto da Béla Tarr, è un lento viaggio verso la fine…verso la morte.
Il film è diviso in 6 giorni nei quali assistiamo alla vita quotidiana di un vetturino e della sua giovane figlia.
Essi, lavorano dalla mattina fino alla sera per continuare a restare in vita e a poter magiare patate bollite ed a bere acqua del pozzo.
É angosciante pensare che fanno tutto questo solo per la vita e, soprattutto, che non possono godere dei piaceri di essa.
Eppure, la storia di questi due non è altro che un’allegoria della vita dell’essere umano in generale che compie solo un lento viaggio verso la morte…e, questo viaggio è la vita.
Come ha detto lo stesso Tarr, con questo film ha cercato di riprodurre la vita…perché l’uomo compie sempre le stesse azioni aspettandosi qualcosa di nuovo che non arriva mai…e questo è il modo in cui trascorre la vita.
In effetti, per tutto il film vediamo i due personaggi che lavorano e ripetono le azioni quotidiane…è angosciante ma è anche ironico…perché tutto ciò noi lo vediamo in 149 minuti…ma questi equivalgono alla durata della vita intera..senza che nemmeno noi ce ne accorgiamo.
C’è poco dialogo tra il padre e la figlia (poverella….lavora tantissimo) e parlano solo nei momenti in cui succede qualcosa di inaspettato…perché, che si voglia o no, nella vita succede sempre.
Gli zingari, il conoscente che passa per la casa e preannuncia l’apocalisse in un discorso molto inquietante.
E, man mano, ci avviciniamo sul serio alla fine del mondo.
In Satantango la speranza è rappresentata dai rivoluzionari Irimias e Petrina mentre qui essa non esiste.
O meglio, non esiste per quei due ma Bela Tarr ci fa capire che in generale per l’essere umano c’è..proprio così: gli zingari non sono altro che il desiderio di libertà, infatti loro stanno per emigrare in America…alla ricerca della loro felicità.
Ad ogni giorno che passa, la speranza diminuisce e il cavallo di famiglia non mangia più, il pozzo si secca…fino ad arrivare al sole che si spegne e ai due “protagonisti” che si decidono a non magiare più e a morire…solo il vetturino ha ancora una timida speranza quasi stupida…e, poco prima che l’ultimo fotogramma del film si sfochi, afferma :- dobbiamo mangiare.
É assurdo come l’uomo voglia sempre ad ogni costo ripetere le stesse situazioni aspettando che qualcosa cambi…è come se tutti fossimo affetti da disturbi di tipo ossessivo-compulsivi. E, Bela Tarr, mette in risalto in modo spietato ed angosciante la pesantezza dell’umanità e della vita. Forse, in modo addirittura più chiaro e coerente di ciò che voleva fare in “Satantango”.
Certo l’opera era molto più lunga, perché è vero le le sequenze sono lunghissime ma è pur vero che sono tante e quindi è pure difficile mantenere una certa costanza e calibratura all’intera opera…è chiaro che è comunque un film che va visto (e rivisto9 e quando stai più di 7 ore a vederlo un po’ ti affezioni pure…si crea quasi un legame d’affetto con la pellicola, sebbene non sia un sentimentale.
Bela Tarr ha dichiarato che questo è il suo ultimo film…spero che non sia perché non ha l’opportunità e i consensi per continuare a fare film di questo tipo perché essi sono quasi perfetti e densi di una grande espressività espressa soprattutto attraverso i piano sequenza che sono tipici del regista ungherese.
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tarantinofan96
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mercoledì 4 novembre 2015
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un capolavoro assoluto sulla fine di tutto.
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Sei giorni nella vita di un occhiere e di sua figlia alle prese con la loro vita e con il loro cavallo, che sembra ormai lasciarsi morire lentamente di fame nella sua stalla, mentre il vento all'esterno sta lentamente spazzando via tutto. Il testamento al mondo della settima arte di Béla Tarr è un film che parla della FINE. La fine dell'umanità, del mondo. La fine del cinema, del suo cinema. La musica malinconica e apocalittica, che scandisce le gesta, le parole (poche) e i vari momenti della vita dei protagonisti e del loro cavallo, unita alla bellissima fotografia in bianco e nero, rende il tutto ancora più tedio e uggioso.
'Il cavallo di Torino' è un film sulla fine di tutto.
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Sei giorni nella vita di un occhiere e di sua figlia alle prese con la loro vita e con il loro cavallo, che sembra ormai lasciarsi morire lentamente di fame nella sua stalla, mentre il vento all'esterno sta lentamente spazzando via tutto. Il testamento al mondo della settima arte di Béla Tarr è un film che parla della FINE. La fine dell'umanità, del mondo. La fine del cinema, del suo cinema. La musica malinconica e apocalittica, che scandisce le gesta, le parole (poche) e i vari momenti della vita dei protagonisti e del loro cavallo, unita alla bellissima fotografia in bianco e nero, rende il tutto ancora più tedio e uggioso.
'Il cavallo di Torino' è un film sulla fine di tutto. Un capolavoro assoluto da vedere, ma non per tutti. Béla Tarr è uno dei migliori cineasti di sempre.
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etmovie
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sabato 20 maggio 2017
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anche il niente ciclico succede
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Non sono un critico cinematografico, che è il motivo per cui non mi fido a dare la quinta stella ad un'opera sulla quale non trovo termini di confronto (il settimo sigillo? mah... no, entrambi sono dei percorsi in bianco e nero verso la fine inesorabile, ma nel cavallo di torino l'accettazione è notevolmente più passiva, ineluttabile. Il deserto dei tartari? No, qui non c'è nemmeno un attesa di alcunchè;
Eppure Tarr deve aver avuto fiducia che due ore e mezza in cui non succede niente (o meglio: il niente che succede continua a ripetersi, solo lievemente e raffinatamente tramontando) possono coinvolgere lo spettatore fin dall'inizio e non mollarlo più.
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Non sono un critico cinematografico, che è il motivo per cui non mi fido a dare la quinta stella ad un'opera sulla quale non trovo termini di confronto (il settimo sigillo? mah... no, entrambi sono dei percorsi in bianco e nero verso la fine inesorabile, ma nel cavallo di torino l'accettazione è notevolmente più passiva, ineluttabile. Il deserto dei tartari? No, qui non c'è nemmeno un attesa di alcunchè;
Eppure Tarr deve aver avuto fiducia che due ore e mezza in cui non succede niente (o meglio: il niente che succede continua a ripetersi, solo lievemente e raffinatamente tramontando) possono coinvolgere lo spettatore fin dall'inizio e non mollarlo più. Forse l'imprinting che ti aggancia fin dall'inizio è la corsa del cavallo verso casa: la fatica del cavallo, dopo la quale deciderà irremovibilmente di lasciarsi morire, è angosciata, sofferente: non solo fisicamente, o almeno questo mi è stato trasferito, se al prolungarsi della scena pensavo "fatelo fermare, smettetela, io non resisto più".
E, dalla ciclicità di vita esasperatamente essenziale che inizia dopo (in realtà non è una ripetizione perfetta: i dettagli si sfuocano e si smorzano ogni volta uin po' di più, solo la scena dell'alba buia finale risale in nitidezza) io non mi sono più staccato fino alla fine (anzi, ho dovuto prendere una pausa a due terzi per riprendere un po' di energia).
chapeau al regista, anche per la libertà di stile
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