giuseppe simeone
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martedì 20 dicembre 2011
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il crollo delle illusioni
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Durante le primarie presidenziali il candidato Morris è assistito nei rapporti con la stampa dal giovane e carismatico Stephen Myers e dal più anziano e rodato Paul Zara. Stephen appoggia e crede in pieno nell'ideologia portata avanti dal suo candidato, ma gli eventi lo porteranno a vacillare...
Un avvincente film di genere che pur faticando in prima battuta a prendere il via, diventa sempre più avvincente, non risparmiando colpi di scena e stravolgimenti; nel finale l'esplosione della tensione sfocia in un amaro faccia a faccia con il pubblico, che viene esternato dallo sguardo disilluso e glaciale dell'eccellente Gosling; la scelta da fare è fra un'comportamento etico ed il posto di lavoro, ma a cosa serve l'etica stessa se l'eccellenza del proprio paese (che dovrebbe essere la politica) nè è priva e anzi la rifiuta?
La chiara riflessione che viene posta è dura e pungente ed è il personaggio di Morris il tramite attraverso il quale si esterna: bravissimo infatti il Clooney regista a trasformare il Clooney attore, che subisce una letterale metamorfosi stile Dorian Grey (grazie anche all'aiuto dell'ottima fotografia) e che trova il suo perfezionamento nella scena del confronto tra i due attori principali in un anonima cucina di un pub.
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Durante le primarie presidenziali il candidato Morris è assistito nei rapporti con la stampa dal giovane e carismatico Stephen Myers e dal più anziano e rodato Paul Zara. Stephen appoggia e crede in pieno nell'ideologia portata avanti dal suo candidato, ma gli eventi lo porteranno a vacillare...
Un avvincente film di genere che pur faticando in prima battuta a prendere il via, diventa sempre più avvincente, non risparmiando colpi di scena e stravolgimenti; nel finale l'esplosione della tensione sfocia in un amaro faccia a faccia con il pubblico, che viene esternato dallo sguardo disilluso e glaciale dell'eccellente Gosling; la scelta da fare è fra un'comportamento etico ed il posto di lavoro, ma a cosa serve l'etica stessa se l'eccellenza del proprio paese (che dovrebbe essere la politica) nè è priva e anzi la rifiuta?
La chiara riflessione che viene posta è dura e pungente ed è il personaggio di Morris il tramite attraverso il quale si esterna: bravissimo infatti il Clooney regista a trasformare il Clooney attore, che subisce una letterale metamorfosi stile Dorian Grey (grazie anche all'aiuto dell'ottima fotografia) e che trova il suo perfezionamento nella scena del confronto tra i due attori principali in un anonima cucina di un pub.
Da applausi il cast stellare tra cui spiccano i soliti noti ed anche una piacevole sorpresa nella fondamentale interpretazione della bella Evan Rachel Wood.
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pepito1948
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martedì 20 dicembre 2011
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clooney, il grillo parlante
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Clooney fa parte, come noto, di quel drappello di cineasti americani, come Redford, Penn, Tim Robbins e Susan Sarandon, che si sono schierati apertamente con i progressisti - che in quel Paese significano Partito Democratico- alcuni dei quali hanno deciso di concretizzare la loro lotta (anche) passando dietro la macchina da presa. Per la verità da tempo si susseguono film di denuncia del mondo politico USA ed i suoi intrighi, ma Clooney ha fatto un ulteriore passo avanti, descrivendo come il sistema di potere con tutte le sue debolezze, i suoi voltafaccia, gli inganni, la retorica di promesse utopistiche, l’opportunismo sfrenato, si sia infiltrato anche nella roccaforte di chi si oppone da sempre alle malefatte, agli scandali, ai loschi legami con le lobbies dominanti degli avversari repubblicani, ed al conservatorismo gretto e guerrafondaio dei vari Nixon, Reagan, Bush: e lo ha fatto non ovviamente da avversario, ma da grillo parlante, ammonendo la comunità americana sul pericolo -che in parte è già realtà- di un inquinamento dilagante di pratiche e metodi che poco hanno a che fare con la democrazia.
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Clooney fa parte, come noto, di quel drappello di cineasti americani, come Redford, Penn, Tim Robbins e Susan Sarandon, che si sono schierati apertamente con i progressisti - che in quel Paese significano Partito Democratico- alcuni dei quali hanno deciso di concretizzare la loro lotta (anche) passando dietro la macchina da presa. Per la verità da tempo si susseguono film di denuncia del mondo politico USA ed i suoi intrighi, ma Clooney ha fatto un ulteriore passo avanti, descrivendo come il sistema di potere con tutte le sue debolezze, i suoi voltafaccia, gli inganni, la retorica di promesse utopistiche, l’opportunismo sfrenato, si sia infiltrato anche nella roccaforte di chi si oppone da sempre alle malefatte, agli scandali, ai loschi legami con le lobbies dominanti degli avversari repubblicani, ed al conservatorismo gretto e guerrafondaio dei vari Nixon, Reagan, Bush: e lo ha fatto non ovviamente da avversario, ma da grillo parlante, ammonendo la comunità americana sul pericolo -che in parte è già realtà- di un inquinamento dilagante di pratiche e metodi che poco hanno a che fare con la democrazia. L'anticamera dell'esercizio del potere (presidenziale) sono appunto le primarie, dove si fanno i giochi (sporchi), si fissano le oscillanti alleanze non proprio sulla base della comunanza di alti principi ed ideali, si tenta di tutto per accaparrarsi il consenso di chi conta (in termini di voti), si sprecano le coltellate che possono anche uccidere e su tutte le nefandezze una prevale e condiziona i risultati: il ricatto, secondo il principio che chi ha potere molto spesso ha qualcosa da nascondere, e non può permettere che altri scoperchino la pentola, pagando il dovuto prezzo. Pur di raggiungere l'obiettivo finale, negli apparati che muovono i fili al di là delle apparenze tutti sono potenzialmente contro tutti, bianchi e neri, giovani alle prime armi e gente esperta ed attempata; la lealtà, quando pure è presente, tende a cedere scricchiolando alle altrui lusinghe quando l'alternativa è o dentro o fuori, o io o altri. E, come spesso accade, in questo contesto in perenne dinamica, i migliori si rivelano i peggiori e viceversa, in una corsa al ribasso generale che fa impallidire, se non altro per gli interessi in gioco, il miserevole, piccolo mondo di casa nostra.
Nel film di Clooney il conflitto tra bene e male, tra onestà e nequizia è ben reso dal personaggio principale, il capo ufficio stampa dello staff di uno dei due candidati (il Morris dello stesso Clooney) in cui crede ciecamente finchè il suo idolo viene smascherato e, davanti alla prospettiva di restare senza lavoro (e potere) dopo essere stato brutalmente allontanato per una mossa sbagliata, non esita a perdere la sua verginità morale fino a quel momento a fatica ma dignitosamente conservata. Disillusione, vendetta, consapevolezza che la rettitudine non paga in una lotta che non fa prigionieri sono untori troppo forti per evitare il contagio di una peste che uccide i più deboli e mette a dura prova gli incorruttibili. In questo contesto l'unica medicina per uscirne da vincitore, seppure amara e con qualche controindicazione, è il ricatto, e lo sguardo freddo, cinico e impietrito del protagonista nel silenzio generale e sul fondo inquietante di una sala oscura, diretto verso la telecamera sembra offrire su un piatto allo spettatore il peso sofferto della scelta effettuata e chiedergli almeno le attenuanti generiche sul giudizio finale riguardo ad un sistema dilagante fatto di ingranaggi, di morse, di catene da cui è arduo uscire moralmente vivi.
Clooney, alla quarta opera da regista, è ormai un autore maturo ed è abile nel creare la giusta suspance e nel dosare l'alternanza di colpi di scena, dando all'azione un ritmo incalzante come in un thrilling, nonostante qualche passaggio farraginoso nella sceneggiatura, ed il cast, a cominciare dall’ottimo Gosling e dai sempre incisivi Giamatti e Seymour Hoffman, è di alto spessore. Insomma un film interessante, anche se non è paragonabile al perfetto "Good night, and good look" sugli orrori del maccartismo, seconda e per ora insuperata opera da regista del bel George.
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steph.
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sabato 24 dicembre 2011
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congiura a catena per un ottimo gosling
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Avvalendosi di una sceneggiatura (firmata anche dallo stesso Clooney)tratta da un’opera teatrale, Le idi di marzo è un buon film che fa un’altrettanto buona anatomia politica. Al centro del turbine generato dalle primarie tra i candidati democratici in Ohio c’è Stephen (Ryan Gosling), brillante responsabile della campagna elettorale del governatore Morris, interpretato da Clooney. Stephen crede in quello che fa e lo fa molto bene. Al punto da essere richiesto persino dai responsabili del candidato avversario. Con una semplice telefonata e con la conoscenza di una stagista, tanto giovane quanto disillusa, inizia per Stephen un percorso di disvelamento delle più crude dinamiche politiche e di vita, che lo condurrà a rivalutare il suo atteggiamento entusiasta eppure ancora troppo ingenuo e idealista in un mondo in cui c’è ben poco da idealizzare.
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Avvalendosi di una sceneggiatura (firmata anche dallo stesso Clooney)tratta da un’opera teatrale, Le idi di marzo è un buon film che fa un’altrettanto buona anatomia politica. Al centro del turbine generato dalle primarie tra i candidati democratici in Ohio c’è Stephen (Ryan Gosling), brillante responsabile della campagna elettorale del governatore Morris, interpretato da Clooney. Stephen crede in quello che fa e lo fa molto bene. Al punto da essere richiesto persino dai responsabili del candidato avversario. Con una semplice telefonata e con la conoscenza di una stagista, tanto giovane quanto disillusa, inizia per Stephen un percorso di disvelamento delle più crude dinamiche politiche e di vita, che lo condurrà a rivalutare il suo atteggiamento entusiasta eppure ancora troppo ingenuo e idealista in un mondo in cui c’è ben poco da idealizzare. Tutto è concesso e niente è come sembra. Stephen lo imparerà a sue spese, in un film senza tregua, dove la congiura, per riprendere il titolo, è costantemente in evoluzione. Molto bravo Gosling, questo è decisamente il suo anno.
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pipay
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domenica 18 dicembre 2011
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quanta inutile banalità e quanta ingenuita!
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Sembra quasi impossibile che qualcuno abbia sritto una commedia teatrale e che Clooney si sia ispirato a questo lavoro per farne un film. La sceneggiatura sembra scritta da un ragazzetto, da un novellino alle prime armi che poco o nulla sa delle vere spietate macchinazioni e dei segreti più insospettabili che costituiscono il substrato della politica. In questa pellicola si assiste a un banale gioco di sgambetti che fanno perno su fatti risibili e comunque già visti e sentiti (la stagista che, maldestra e senza curarsi di prendere le opportune precauzioni rimane incinta dopo aver avuto un rapporto con il candidato democristiano; uno dei collaboratori che dapprima viene escluso per comportamento illecito, poi riesce a farsi riabilitare grazie a una specie di balale ricatto ecc.
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Sembra quasi impossibile che qualcuno abbia sritto una commedia teatrale e che Clooney si sia ispirato a questo lavoro per farne un film. La sceneggiatura sembra scritta da un ragazzetto, da un novellino alle prime armi che poco o nulla sa delle vere spietate macchinazioni e dei segreti più insospettabili che costituiscono il substrato della politica. In questa pellicola si assiste a un banale gioco di sgambetti che fanno perno su fatti risibili e comunque già visti e sentiti (la stagista che, maldestra e senza curarsi di prendere le opportune precauzioni rimane incinta dopo aver avuto un rapporto con il candidato democristiano; uno dei collaboratori che dapprima viene escluso per comportamento illecito, poi riesce a farsi riabilitare grazie a una specie di balale ricatto ecc.) Si salva solo la regia, abbastanza curata.
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[+] finalmente uno che lo dice,,,
(di luana)
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(di jaylee)
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olgadik
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sabato 17 dicembre 2011
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un titolo italiano azzeccato!
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Si comincia dal titolo che mi piace molto almeno per due motivi: centra l’argomento principale, suggerisce tanti riferimenti culturali. C’è la fiducia tradita, la corruzione in agguato, il conflitto generazionale, la riflessione sulla storia che riguardo al potere si colora nel tempo di sangue vero o simbolico, c’è Shakespeare con tutto il potere evocativo del suo Giulio Cesare. Buona idea quindi quella del regista di accantonare la titolatura originale, legata alla pièce teatrale da cui il film prende le mosse. Ma a parte ciò Clooney attribuisce alla matrice teatrale grande importanza se ad affiancarlo nella stesura del testo, ne ha scelto l’autore Beau Willimon.
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Si comincia dal titolo che mi piace molto almeno per due motivi: centra l’argomento principale, suggerisce tanti riferimenti culturali. C’è la fiducia tradita, la corruzione in agguato, il conflitto generazionale, la riflessione sulla storia che riguardo al potere si colora nel tempo di sangue vero o simbolico, c’è Shakespeare con tutto il potere evocativo del suo Giulio Cesare. Buona idea quindi quella del regista di accantonare la titolatura originale, legata alla pièce teatrale da cui il film prende le mosse. Ma a parte ciò Clooney attribuisce alla matrice teatrale grande importanza se ad affiancarlo nella stesura del testo, ne ha scelto l’autore Beau Willimon. La sceneggiatura è un elemento forte del racconto, tesa e senza cadute di interesse, classica così come lo è il modo di dirigere dell’autore, che nella sua quarta opera mantiene l’assunto e il linguaggio degli altri film impegnati, ammodernandolo un po’ rispetto al primo Good night e… L’obiettivo di Clooney è mostrarci i volti dell’America di oggi, con un saldo ancoraggio nel passato glorioso di un cinema pragmatico come quello americano e perciò fatto di cose, non senza ideali sullo sfondo. Certamente le Idi di marzo è la declinazione più amara del suo discorso, non ideologico ma attento a valori universali; nella narrazione non è difficile cogliere anche la delusione verso l’era di Obama così come l’ha vissuta il nostro regista e credo molti americani. Ma proprio nel continuare con film di denuncia Cloney mostra ancora attaccamento a un grado di idealismo più basso ma non del tutto domato. Per il resto nella storia che vede impegnati due candidati democratici nelle primarie per le elezioni presidenziali, niente di nuovo che non sia merce ordinaria con piccole variazioni di costumi e abitudini, ovunque si collochi la lotta per il potere. Si tratti oggi di potere finanziario o di potere politico la musica non cambia. Compromessi che arrivano al fondo dell’anima, caduta di riferimenti umanitari, menzogna mascherata da parole alte, vittime sacrificali nel senso più crudo o metaforico del termine, cinismo diffuso a piccole o grandi dosi. A parlarci di tutto ciò il regista chiama un bel gruppo di star. Prima di tutti se stesso, ormai cinquantenne, con qualche caduta e ruga in più sul viso ma comunque convincente e brillante; lo affianca un giovane antagonista (Ryan Gosling) nel ruolo del suo addetto stampa, intenso e vero soprattutto nei primi piani centrati sullo sguardo che si fa sempre più opaco e smorto. Tra gli altri la giovane stagista, ingenua ma non troppo (Evan Rachel Wood), sostenuta da un ottimo phisique du rôle, coi collaterali ma provetti interpreti P. Seymour Hoffman e Paul Giamatti. Ryan Gosling è certo più che una promessa, ma tutti gli attori citati sono ottimi, efficace anche la fotografia sobria, elegante il commento musicale, elementi che contribuiscono tutti ad animare quel teatro della politica solo in apparenza meno cruento delle Idi di marzo di classica memoria, ambientato in una Detroit giustamente grigia.
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