Titolo originale La piel que habito.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 120 min.
- Spagna 2011.
- Warner Bros Italia
uscita venerdì 23settembre 2011.
- VM 14 -
MYMONETROLa pelle che abito
valutazione media:
3,12
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
La svolta in Almodavora e sicuramente non ha deluso il suo pubblico. Come tutti i grandi artisti anche il regista si è lasciato affascinare dal mito della "creatura" nata da mano umana invece che divina e proprio per questo considerata nell'inconscio come portatrice di paura e orrore. Mito d'altronde raccontato nel suo massimo dal romanzo di Mary Shelley.
Quello che però spiazza nel film di Almodovar é anche questa volta l'assenza di giudizio nei confronti dei suoi personaggi. Il dottor Ledgar nel piccolo mondo chiuso della sua villa compie atti feroci e mostruosi, privi di umanità. Ma colmo di umanità ci appare invece il suo personaggio.
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La svolta in Almodavora e sicuramente non ha deluso il suo pubblico. Come tutti i grandi artisti anche il regista si è lasciato affascinare dal mito della "creatura" nata da mano umana invece che divina e proprio per questo considerata nell'inconscio come portatrice di paura e orrore. Mito d'altronde raccontato nel suo massimo dal romanzo di Mary Shelley.
Quello che però spiazza nel film di Almodovar é anche questa volta l'assenza di giudizio nei confronti dei suoi personaggi. Il dottor Ledgar nel piccolo mondo chiuso della sua villa compie atti feroci e mostruosi, privi di umanità. Ma colmo di umanità ci appare invece il suo personaggio. Solo, disperato, tragicamente attaccato ad un amore profondo mai ricambiato che dalla moglie passa poi alla figlia. E quando alla fine "la donna che ama" lo tradisce "di nuovo", pur con la sua bestialità, è lui che ci sembra la vittima di tutta la storia.
Il mito insomma viene ribaltato: come si può provare orrore per il "nuovo Frankenstein" quando ci appare nelle vesti di una magnifica donna dalle labbra sensuali e gli occhi profondi? In questo caso sembra quasi che la mano umana abbia corretto un errore divino, dando a quell'essere umano il più perfetto involucro immaginabile (questo grazie anche alla bellissima Elena Anaya che davvero no fa sentire la mancanza di Penelope Cruz e anzi ci ricorda la sua assenza solo quando si presenta con l'ironica battuta : "Mi chiamo Vera. Vera Cruz").
Immancabile naturalmente la firma del regista, il suo tocco inconfondibile che riconosciamo nella grottesca e bizzarra entrata in scena dell'uomo vestito da tigre: il kitch almodovariano a cui siamo tanto affezionati.
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Cupissimo e claustrofobico, il nuovo lavoro del grande Pedro Almodòvar è una rete inestricabile di passaggi nei meandri della mente umana, che trascina lo spettatore in una spirale interminabile di follia. Tutto il film è un affresco horror sulle capacità labili della psiche, sui suoi controsensi e i suoi difetti, sulla capacità che ha di produrre qualcosa di aberrante, ma nello stesso tempo così semplice e naturale. E' un gioco di specchi e di ruoli, tutto è in eterno movimento, in divenire, un principio così caro e così sfruttato da Almodòvar nella grandissima quantità dei suoi lavori, e che usa per spiazzare continuamente in modo da caricare ogni aspetto visivo di tensione.
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Cupissimo e claustrofobico, il nuovo lavoro del grande Pedro Almodòvar è una rete inestricabile di passaggi nei meandri della mente umana, che trascina lo spettatore in una spirale interminabile di follia. Tutto il film è un affresco horror sulle capacità labili della psiche, sui suoi controsensi e i suoi difetti, sulla capacità che ha di produrre qualcosa di aberrante, ma nello stesso tempo così semplice e naturale. E' un gioco di specchi e di ruoli, tutto è in eterno movimento, in divenire, un principio così caro e così sfruttato da Almodòvar nella grandissima quantità dei suoi lavori, e che usa per spiazzare continuamente in modo da caricare ogni aspetto visivo di tensione. Il regista spagnolo riesce sempre a ricavare una trama inestricabile con un numero esiguo di personaggi, e, secondo la vecchia regola del genere noir, risolverla via via che si va verso il finale. Il puzzle è completato da salti indietro e in avanti nel tempo, e tutto alla fine viene celato, come un sipario che si chiude durante la scena madre di un'opera. Da segnalare, per la loro grandissima dinamicità, la colonna sonora imponente e la bravura impressionante di Antonio Banderas, perfetto nell'incarnare un cocktail esplosivo di perversione e follia incontrollata. Di sicuro si parlerà a lungo del fatto che questo film non sarà ricordato per essere qualcosa di indispensabile, ma di certo l'importanza stilistica e narrativa è notevole. Lascia a bocca aperta per quanto ogni inquadratura riesca ancor di più a rendere ambiguo e contorto ciò che all'apparenza potrebbe anche non esserlo, sulla scia di maestri visionari e conturbanti come Cronenberg e Lynch. Per concludere, siamo abbastanza lontani dai suoi capolavori, ma con quest'ennesimo film Almodòvar continua comunque ad incarnare l'espressione più alta dello stile cinematografico europeo contemporaneo.
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Almodovar o si ama o si detesta ma è innegabile che ha uno stile unico e riconoscibile. Nella trama del film le tinte forti del melodramma ci sono tutte, ma qui c'è anche una nuova eleganza formale che sposta l'occhio dalla romantica e polverosa visione dei sentimenti e dei drammi umani a cui il regista ci ha abituati per virare verso una visione più contemporanea, cupa ed inquietante, dove tutto scorre dietro monitor e pareti di vetro. Forse non c'è più possibilità di salvezza per chi si perde. Chi orchestra tutta la storia è un pragmatico uomo di scienza con il suo chirurgico piano di vendetta, che utilizza la tecnologia per mantenere il controllo sugli altri ma anche per rimanere distante da se stesso.
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Almodovar o si ama o si detesta ma è innegabile che ha uno stile unico e riconoscibile. Nella trama del film le tinte forti del melodramma ci sono tutte, ma qui c'è anche una nuova eleganza formale che sposta l'occhio dalla romantica e polverosa visione dei sentimenti e dei drammi umani a cui il regista ci ha abituati per virare verso una visione più contemporanea, cupa ed inquietante, dove tutto scorre dietro monitor e pareti di vetro. Forse non c'è più possibilità di salvezza per chi si perde. Chi orchestra tutta la storia è un pragmatico uomo di scienza con il suo chirurgico piano di vendetta, che utilizza la tecnologia per mantenere il controllo sugli altri ma anche per rimanere distante da se stesso. E non è un caso che proprio quando i suoi sentimenti avranno il sopravvento su questo glaciale controllo per lui sarà la fine. il film è supportato da una meravigliosa e funzionale fotografia, e come spesso accade nelle storie che racconta questo regista tutti i tasseli si ricompongono verso la fine del film per restituirci il senso del tutto.
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Il film di Almodòvar narra le vicende di Robert Ledgard, chirurgo estetico di successo e all'avanguardia. Ledgard ha perso la moglie in circostanze drammatiche, dopo un incidente automobilistico da cui venne tratta miracolosamente in salvo, carbonizzata nei lineamenti e sfigurata nell’anima.
Il medico sviluppa così ossessivamente l’idea di costruire una pelle sostitutiva e più resistente al calore di quella umana; sperimentando, trova nella pelle dei suini quella compatibilità coi tessuti umani di cui necessita. A quel punto gli manca una cavia, e ne trova una nel presunto stupratore di sua figlia, una ragazza malata e profondamente instabile, che in breve lascerà anch’essa le spoglie mortali, segnata dal perverso pensiero che fosse stato il padre a molestarla.
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Il film di Almodòvar narra le vicende di Robert Ledgard, chirurgo estetico di successo e all'avanguardia. Ledgard ha perso la moglie in circostanze drammatiche, dopo un incidente automobilistico da cui venne tratta miracolosamente in salvo, carbonizzata nei lineamenti e sfigurata nell’anima.
Il medico sviluppa così ossessivamente l’idea di costruire una pelle sostitutiva e più resistente al calore di quella umana; sperimentando, trova nella pelle dei suini quella compatibilità coi tessuti umani di cui necessita. A quel punto gli manca una cavia, e ne trova una nel presunto stupratore di sua figlia, una ragazza malata e profondamente instabile, che in breve lascerà anch’essa le spoglie mortali, segnata dal perverso pensiero che fosse stato il padre a molestarla.
Ledgard/Frankenstein non si accontenta però di cambiar pelle al malcapitato Vicente, ma ne muta sesso e connotati, fino a modellarlo sui lineamenti della moglie perduta, fino a farlo diventare Vera.
Banderas è perfetto nel ruolo del chirurgo dalla doppia pelle: in realtà Ledgard è un folle maniaco che asseconda se stesso con la rassicurazione auto referenziata della professione medica; la sua casa/laboratorio, al tempo stesso prigione e museo, è il luogo in cui si trasforma nello scienziato pazzo cui tutto è concesso, è il luogo in cui la sua creatura si forma, cresce e si sviluppa; è poi l’ambiente in cui si muove la madre Marilia, governante e carceriera di Vera, complice del figlio anche nella pazzia sperimentatrice, vissuta con asettica naturalezza ed estrema lucidità.
Il delirio conduce il protagonista a ricreare l’involucro di chi non c’è più, a trovare conforto visivo ed eccitazione nell’estetica di un corpo che in realtà contiene un’altra persona; Ledgard si prende cura del benessere di quel corpo, senza considerare il ragazzo che in esso alberga; Vicente, dal canto suo, è intrappolato in una cella che non è la sua, ma è sempre vigile e presente, come un’ombra vacua, dietro occhi inquieti e spaventati: mentre Vera regala esteriormente sguardi di compiacimento, Vicente continua a guardarsi dentro, a osservarsi, laddove nessuno può inserire bisturi o intervenire chirurgicamente.
L’opera è ricca di simbolismi, e occorre fare uno sforzo d'immaginazione per andare oltre il contesto di superficie. I personaggi, in tal caso, somigliano a caricature uscite da una storia a fumetti: sono esagerati, esasperati, quasi eroici nelle loro caratteristiche, e le atmosfere e le ambientazioni -altrettanto accentuate- accompagnano questa sensazione, grazie a una costruzione scenica che oscilla fra realtà e immaginazione.
La casa/laboratorio -ad esempio- è la mente di Ledgard, con quella serie di porte candide che nascondono e incastrano e rivelano la logica del mostro; è un labirinto perverso costruito anch’esso in modo chirurgico, è il sotterraneo di un Batman malvagio.
Un personaggio interessante è poi quella del malfattore Zeca, che nelle sue sembianze di tigre rappresenta una specie di interferenza, atta a rompere visivamente l’impianto perfetto e schematico della casa di Ledgard, e a dissestare in modo definitivo gli equilibri sottili di un gioco a tre morboso e inquietante.
Ottimi i primi piani sui particolari della sala operatoria, sui ferri del mestiere, lindi e scintillanti, e sulle manie chirurgiche e di perfezione di un uomo solo e malato, che tramuta la propria scienza in forma artistica, che sfoga il dolore sulla pelle di un giocattolo che si rivela mortale.
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L’ultimo film di Almodovar e’ impressionante. La prima cosa che mi viene di getto dopo averlo visto e’: “E dopo di questo, cosa?”. Tremendamente cupo, mi ricorda “Il Cigno Nero” per i pugni allo stomaco che a tratti tira allo spettatore. Stupri, orge, operazioni mediche, sangue, assassinii, imprigionamenti, non manca nulla. La toccante fotografia e’ l’unica ad accarezzare gli occhi, insieme alla recitazione ad altissimi livelli. Un gesto, su tutti, quando il ragazzo pur non essendo riuscito nel suo intento, strafatto, ricopre la ragazza denudata con grande dignita’, prima di passare da carnefice a vittima.
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L’ultimo film di Almodovar e’ impressionante. La prima cosa che mi viene di getto dopo averlo visto e’: “E dopo di questo, cosa?”. Tremendamente cupo, mi ricorda “Il Cigno Nero” per i pugni allo stomaco che a tratti tira allo spettatore. Stupri, orge, operazioni mediche, sangue, assassinii, imprigionamenti, non manca nulla. La toccante fotografia e’ l’unica ad accarezzare gli occhi, insieme alla recitazione ad altissimi livelli. Un gesto, su tutti, quando il ragazzo pur non essendo riuscito nel suo intento, strafatto, ricopre la ragazza denudata con grande dignita’, prima di passare da carnefice a vittima. Per un istante ho quasi pensato che Almodovar avesse voluto rispondere a Polansky, alla battuta: “Vittime e Carnefici non sono la stessa cosa” di Carnage, con un bel sonoro sì, grande quanto lo schermo del cinematografo.
Il tema dell’identita’ sessuale, di vivere un corpo che non senti come tuo, una prigione sessuale, credo non sia mai stato vivo in questo film come in altri dello stesso regista. Lo consiglio sicuramente alle persone adulte e di larghe vedute, specialmente sui temi cari ad Almodovar. Niente di peggio di sentirsi un commento omofobico mentre guardi il film dal ragazzo della coppia vicina di sedile! Non mi e’ solo chiaro oltre al nome cosa centra Antonio Banderas con il film.. bravo, ma era necessaria una icona sexy?
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[+] un gesto di tenerezza in un mondo di orrore (di anna cinzia)[ - ] un gesto di tenerezza in un mondo di orrore
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La pelle che abito,
di Pedro Almòdovar
anno di produzione 2011,
Antonio Banderas è Robert Ledgard ;
Elena Anaya è Vera;
Marisa Parades è Marilia ;
Jan Cornet è Vincente;
Roberto Alamo è Zeca ;
Blanca Suarez è Norma.
La mia lettura parte dalla recensione associata alla locandina del film per approdare ad un diverso sentire;rispettando l'opinione altrui le diverse sfumature che si colgono sono ,nella condivisione e nel confronto ,occasione di arricchimento per tutti noi .
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La pelle che abito,
di Pedro Almòdovar
anno di produzione 2011,
Antonio Banderas è Robert Ledgard ;
Elena Anaya è Vera;
Marisa Parades è Marilia ;
Jan Cornet è Vincente;
Roberto Alamo è Zeca ;
Blanca Suarez è Norma.
La mia lettura parte dalla recensione associata alla locandina del film per approdare ad un diverso sentire;rispettando l'opinione altrui le diverse sfumature che si colgono sono ,nella condivisione e nel confronto ,occasione di arricchimento per tutti noi .
il senso del film?
Nessun senso assoluto ma quello che ognuno di noi vuole vederci.
Comunque tutto ci porta nell'arte visiva, sonora dove l'essere nel dolore sperimenta "la dimensione della propria cella di esistenza ".
Senza entrare nei particolari della storia che è assolutamente vostra,la complessità del narrato ha dei sicuri contorni surreali,di depravazione,di dolore, infelicità,ma anche impalcature di sentimenti,aspettative di felicità,dimensioni estetiche e filosfiche .
Cosa ci affascina di questo film ?La vlglia di Pedro Almodòvar di ricercare sempre un percorso bruciante, intenso, estetico, sensuale e coinvolgente.
Appagante è la recitazione della bella Elena Anaya come quella di Antonio Banderas; una nota meritoria anche per Jan Cornet.
I contenuti musicali sono di alto profilo, perfetta sinergia con le immagini;evidente una traccia melodrammatica, emotiva per la collaborazione di Alberto Iglesias.
Il film, assolutamente da vedere, anche nel titolo, sembra essere alla ricerca di un contatto spirituale, con la struttura energetica del nostro essere. La pelle che ci abita........ suggerisce l'esistenza di una forza esterna all'immanenza corporea.
Questo film vale quattro stelle d'oro per'l'equilibrio estetico e di originalità che riesce a mettere in scena
buona visone
weach illuminati
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Ancora il cinema nel cinema, come e quello degli "Abbracci spezzati". Dove, almeno, l'omaggio alla settima arte poteva apparire più convincente, senza corpi e corposi esseri impegnati (?) a contemplare le azioni altrui in un ambiente claustrofobico. Un'altra ricostruzione di corpi in agonia, già intravista in "Parla con lei", esempio molto più profondo di agonia (forse) delle coscienze. Il finale era discutibile, ma si discerneva senza spocchia, e con ben altra profondità, su temi come l'amore, il rapporto tra uomo e donna, il passato visto come eterno presente, Ed anche li, guarda caso, i primi esempi di cinema nel cinema.
Ogni artista cita sempre sé stesso? Sarà anche cosi, ma qui non mancano neanche echi del melo raffreddato che è "La mala educacion", senza scomodare l'amore sadico del simpatico "legami", che ormai risale ad un quarto di secolo fa.
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Ancora il cinema nel cinema, come e quello degli "Abbracci spezzati". Dove, almeno, l'omaggio alla settima arte poteva apparire più convincente, senza corpi e corposi esseri impegnati (?) a contemplare le azioni altrui in un ambiente claustrofobico. Un'altra ricostruzione di corpi in agonia, già intravista in "Parla con lei", esempio molto più profondo di agonia (forse) delle coscienze. Il finale era discutibile, ma si discerneva senza spocchia, e con ben altra profondità, su temi come l'amore, il rapporto tra uomo e donna, il passato visto come eterno presente, Ed anche li, guarda caso, i primi esempi di cinema nel cinema.
Ogni artista cita sempre sé stesso? Sarà anche cosi, ma qui non mancano neanche echi del melo raffreddato che è "La mala educacion", senza scomodare l'amore sadico del simpatico "legami", che ormai risale ad un quarto di secolo fa. Di sostanza, tuttavia, cosa rimane, nonostante quel cocktail di sentimenti - spiritualità, amore carnale, vendetta- a cui siamo ormai abituati in trent'anni di Almodovar? Mi è parso che persino figure come quelle interpretate dalla Paredes, o quel suo figlio vestito da extraterrestre, appaiono datate. Non ho visto "Gli amanti passeggeri", ma non sarà che è proprio un regista in (ri)creazione, in tutti i sensi?
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto.
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto. L'ambiguità fra esteriorià ed interiorità propostaci da Almodovar è secondo me da rivedere sotto un aspetto psicoanalitico. In ogni caso, un film eccellente da vedere e rivedere almeno una seconda volta.
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[+] lascia un commento a annamaria vergara »[ - ] lascia un commento a annamaria vergara »
Nessun dubbio sul talento del regista e sulle totali capacità di guida per i suoi protagonisti.Certo stiamo parlando di una delle firme più originali e geniali almeno degli ultimi 20 anni.Resta sempre,infilzato come una spina nel fianco,un interrogativo magari scomodo e spiazzante,comunque direi essenziale.Quali sarebbero i messaggi da trasmettere?Quelli che una sorta di nuovo dottor Frankenstein,con tecniche molto più evolute,possa davvero riuscire a creare la perfetta bellezza,il perfetto modello di riferimento della razza umana?In certe scene Banderas,a dirla tutta,con un protagonista così fanatico ed esaltato,oltre che di perversione e ferocia rara,mi pareva un po' frenato,poco convinto.
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Nessun dubbio sul talento del regista e sulle totali capacità di guida per i suoi protagonisti.Certo stiamo parlando di una delle firme più originali e geniali almeno degli ultimi 20 anni.Resta sempre,infilzato come una spina nel fianco,un interrogativo magari scomodo e spiazzante,comunque direi essenziale.Quali sarebbero i messaggi da trasmettere?Quelli che una sorta di nuovo dottor Frankenstein,con tecniche molto più evolute,possa davvero riuscire a creare la perfetta bellezza,il perfetto modello di riferimento della razza umana?In certe scene Banderas,a dirla tutta,con un protagonista così fanatico ed esaltato,oltre che di perversione e ferocia rara,mi pareva un po' frenato,poco convinto.E,in molte scene,mi tornava alla mente il "Dottor Morte",Mengele,nei campi di sterminio,e i suoi deliranti esperimenti(riportati in una sorta di film fantasma "My father" con il vecchio Heston,regia di Egidio Eronico alcuni anni fa,che non credo di esagerare a dire che avremmo visto in tutta Italia,forse in qualche centinaio di persone).Certo,l'epoca e il contesto sono diversissimi:ma vedo in questo fanatico dottore,ascendenti letterari e anche cinematografici numerosi e anche mitici,in un certo senso;ci sta dentro anche un po' di Jekyll e Hyde,un po' del "Gabinetto del Dottor Caligaris",solo per fermarsi ai più celebri.Come mi confermava il collega di spagnolo,c'e poi sempre questa ossessione di morte,questo dna ispanico che direttamente o indirettamente trasuda da molte situazioni;ad esso si accompagna la ossessione,fateci caso,per ambienti dai colori estremi,nero,rosso fuoco(o sangue),bianco e molto di lugubre e notturno.Tanto,forse troppo,di viscerale,di compiaciutamente estremo,nel dramma,come nella trasgressione.Film così,registi così,certamente non lasciano indifferenti ma,dopo aver messo spietatamente a nudo le crudeltà,le miserie,le perversioni della specie umana,all'uscita,cosa resta in mano?La coscienza delle nostre potenziali infinite negatività e abiezioni?Se per "educare",stimolare lo spettatore,si pesca a piene mani in questo repertorio,non potrebbe venire il dubbio di essere davanti,semplicemente ad un geniale e speciale tipo di "voyeurisme"?Guardare tutti dal buco della serratura le arditissime trasgressioni dei personaggi,ci rende migliori,più sani,più sensibili?
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Robert Ledgard (Antonio Banderas) è un rinomato chirurgo plastico che da alcuni anni, a causa delle tragedie familiari che si sono abbattute su di lui e che continuano a tormentarlo, ha abbandonato la sala operatoria per dedicarsi al campo della ricerca scientifica. Il suo scopo principale sembra essere quello di creare una pelle transgenica capace di resistere agli attacchi provenienti dal mondo esterno in maniera migliore e più efficiente rispetto alla pelle umana. In particolare Ledgard, che dopo una conferenza racconta come sua moglie sia morta carbonizzata in seguito a un incidente stradale, desidera creare una pelle capace di resistere alle alte temperature in modo da restituire un tessuto cutaneo agli ustionati e prevenire il ripetersi del danno.
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Robert Ledgard (Antonio Banderas) è un rinomato chirurgo plastico che da alcuni anni, a causa delle tragedie familiari che si sono abbattute su di lui e che continuano a tormentarlo, ha abbandonato la sala operatoria per dedicarsi al campo della ricerca scientifica. Il suo scopo principale sembra essere quello di creare una pelle transgenica capace di resistere agli attacchi provenienti dal mondo esterno in maniera migliore e più efficiente rispetto alla pelle umana. In particolare Ledgard, che dopo una conferenza racconta come sua moglie sia morta carbonizzata in seguito a un incidente stradale, desidera creare una pelle capace di resistere alle alte temperature in modo da restituire un tessuto cutaneo agli ustionati e prevenire il ripetersi del danno.
Fin da subito risulta evidente che i metodi adottati dal chirurgo vanno ben al di là dei limiti imposti dalla bioetica. Se questa è apparentemente la sinossi del nuovo film scritto e diretto da Pedro Almodóvar, non è su Ledgard e sulle sue vicissitudini che il regista concentra la propria attenzione bensì, come le prime immagini del film dichiarano apertamente, sull'enigmatico personaggio di Vera (Elena Anaya) la giovane donna che vive segregata all'interno della villa del chirurgo e su cui questi sperimenta il risultato delle proprie ricerche.
Adesso, poiché chiunque mastichi un minimo il linguaggio cinematografico e le tecniche di scrittura cinematografica sa benissimo che la storia di un film è il percorso emotivo compiuto dal protagonista durante il corso della narrazione e poiché il protagonista non è Ledgard bensì Vera, risulta evidente come la sinossi riportata in questa recensione e la sinossi riportata sostanzialmente in qualsiasi altro articolo possiate leggere su Internet o sulla carta stampata si limitino a descrivere la cornice del film e non a riassumerne la storia. Ma allora, direte voi, perché tutti si sono concentrati sulla cornice e non sulla storia del film? La risposta è evidente, ma non è semplice. Almodóvar stesso sembra operare una certa confusione all'interno della propria pellicola fra la storia e la cornice della storia.
In più occasioni l'autore iberico prende una direzione per poi abbandonarla e imboccarne un'altra apparentemente del tutto svincolata dalla precedente. Questo stile però non può sorprendere chiunque conosca la filmografia di Almodóvar. Inoltre, è il caso di chiarirlo fin da subito, le inversioni di rotta compiute dal regista non si limitano soltanto alla storia narrata, ma coinvolgono il film in tutta la sua interezza.
Almodóvar affronta tematiche che poi non sviluppa, introduce personaggi che poi abbandona, imbocca la strada di un genere cinematografico, ma poi compie un'inversione di marcia e ne prende un'altra che a sua volta conduce a un binario morto. Si è data tanto da fare la critica europea a decantare le lodi di un regista sessantenne che, forte di una solidissima carriera alle spalle, decide di accettare nuove sfide cimentandosi con un genere cinematografico nuovo alla sua produzione. In particolare in tanti, forse in troppi, hanno affermato che questa volta Almodóvar ha deciso di girare un thriller.
"La Piel que Habito" è la trasposizione cinematografica del libro "Mygale" (in italiano "Tarantola") dello scrittore francese Thierry Jonquet scritto nel 1984. L'opera letteraria si basa su un'idea di fondo potente, originale e dall'impatto emotivo dirompente introno alla quale si sviluppa la storia narrata. Il taglio narrativo è netto e preciso così come sono nette e precise le scelte dell'autore.
In "Mygale" non ci sono ambiguità. Si tratta di un libro che racconta la vendetta operata dal suo protagonista, analizzandone il percorso emotivo che trasforma la sua sete d'odio in un bisogno d'amore. [-]
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