laulilla
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venerdì 10 dicembre 2010
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il pianeta lapo
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Il pianeta Lapo è un luogo di fantasia, ma in questo film coincide con quella specie di non luogo, in cui vengono confinati, dopo il referendum che ha sancito la vittoria dei SI nello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco, i lavoratori più riottosi, quelli che hanno votato NO, quelli che il servizio di spionaggio interno ha segnalato come pericolosi nemici del "bene" (che è la competitività sui mercati internazionali), quelli che i giudici del lavoro hanno reintegrato e che sta lì a indicare che non è vero che si vogliano ridurre i costi, mentre è vero che si vogliono negare diritti e conquiste civili. L'azienda non teme gli sprechi che derivano dal tenere inutilizzati lavoratori che un giudice ha doverosamente costretto a riprendere in fabbrica, così come non teme di pagare il servizio di delazione che incastri i lavoratori, obbligandoli a rendere conto non solo del loro lavoro, ma di quel che pensano, o della pretesa di avvalersi di diritti che la legge prevede.
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Il pianeta Lapo è un luogo di fantasia, ma in questo film coincide con quella specie di non luogo, in cui vengono confinati, dopo il referendum che ha sancito la vittoria dei SI nello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco, i lavoratori più riottosi, quelli che hanno votato NO, quelli che il servizio di spionaggio interno ha segnalato come pericolosi nemici del "bene" (che è la competitività sui mercati internazionali), quelli che i giudici del lavoro hanno reintegrato e che sta lì a indicare che non è vero che si vogliano ridurre i costi, mentre è vero che si vogliono negare diritti e conquiste civili. L'azienda non teme gli sprechi che derivano dal tenere inutilizzati lavoratori che un giudice ha doverosamente costretto a riprendere in fabbrica, così come non teme di pagare il servizio di delazione che incastri i lavoratori, obbligandoli a rendere conto non solo del loro lavoro, ma di quel che pensano, o della pretesa di avvalersi di diritti che la legge prevede. Apprendiamo, anzi, che non solo si pagano molti sorveglianti, ma addirittura i sorveglianti dei sorveglianti, sfiorando il grottesco. C'è davvero poco da ridere in questa tragedia farsesca in cui si denuncia il fatto che sta facendosi strada l'idea che sia del tutto normale e accettabile un mondo alla rovescia di cui la risalita al contrario della scala mobile è una geniale metafora. i lavoratori sono costretti a muoversi per eseguire i compiti loro assegnati alla catena di montaggio in senso contrario allo scorrere della catena medesima, col rischio concreto di farsi male. Tutto per il "bene", si intende. Dove questa concezione di "bene" si fa strada, però, avvengono gravi devastazioni umane oltre che territoriali, come è già avvenuto per la cittadina polacca, che ha già dato e che ora dovrebbe essere soppiantata proprio da Pomigliano.
Bravo Paolo Rossi e anche il regista, che hanno raccontato, con un film a metà fra il documentario e l'opera di fantasia, finalmente, un pezzo d'Italia, assolutamente rappresentativo dell'intero paese.
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reservoir dogs
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venerdì 10 dicembre 2010
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le scale mobili al contrario
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Pomigliano D'arco; così come la "pulzella d'Orléans"(Giovanna) anche la cittadina con i suoi abitanti, è stata sacrificata per un "volere più alto".
Il viaggiatore Paolo Rossi si addentra nella luogo col preciso scopo di creare un film sui lavoratori in catena di montaggio e sulla situazione del paese nei confronti del colosso Automobilistico (Fiat-Alfa): se per rappresentare il cinema delle origini il genere principe era quello comico, oggi è necessario quello fantascentifico che più giustifica (ma non accetta) le condizioni.
Attraverso interviste al sindaco, al parroco, ad un sindacalista e a più famiglie di lavoratori si passa dal surrealismo che Bunuel trovava attraverso i sogni ad un "surrealismo civile" che troviamo invece innestato nella quotidianità di queste persone.
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Pomigliano D'arco; così come la "pulzella d'Orléans"(Giovanna) anche la cittadina con i suoi abitanti, è stata sacrificata per un "volere più alto".
Il viaggiatore Paolo Rossi si addentra nella luogo col preciso scopo di creare un film sui lavoratori in catena di montaggio e sulla situazione del paese nei confronti del colosso Automobilistico (Fiat-Alfa): se per rappresentare il cinema delle origini il genere principe era quello comico, oggi è necessario quello fantascentifico che più giustifica (ma non accetta) le condizioni.
Attraverso interviste al sindaco, al parroco, ad un sindacalista e a più famiglie di lavoratori si passa dal surrealismo che Bunuel trovava attraverso i sogni ad un "surrealismo civile" che troviamo invece innestato nella quotidianità di queste persone.
Ed è proprio quel surrealismo che il regista Massimiliano Carboni vuole impressionare sulla pellicola; il nastro e gli ingranaggi che "divoravano" Chaplin (Tempi Moderni) si sono trasformati in scale mobili che devono essere salite al contrario mentre si lavora.
Al festival di Torino, alla presentazione del film, Marchionne è mancato alla proiezione nonostante fosse stato invitato.
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francesco2
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domenica 12 dicembre 2010
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ridotte capacità cinematografiche
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E'purtroppo il pur simpatico (?) Paolo Rossi che dà e si dà una risposta, quando all'inizio di quest'opera risponde :"Questo non è "Report". Il rischio di operazioni simili è proprio lessere meta-cinematografiche senza esprimere qualcosa di compiuto: un pò è lo stesso che si diceva(O si dice?) quando certi cantanti intonavano delle presunte "Non-canzoni".Forse erano polemiche gratuite, o comunque se quelle non erano "Canoni" nel senso stretto qualcuno poteva valutarle espressioni artistiche. Questo “Cine-documentario" invece andrebbe fatto vedere ai critici di Moore, magari troppo anti-bushiano ma molto più incisivo nel mettere alla berlina i potenti, o a quelli del più discutibile, ma curioso, "Religolous".
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E'purtroppo il pur simpatico (?) Paolo Rossi che dà e si dà una risposta, quando all'inizio di quest'opera risponde :"Questo non è "Report". Il rischio di operazioni simili è proprio lessere meta-cinematografiche senza esprimere qualcosa di compiuto: un pò è lo stesso che si diceva(O si dice?) quando certi cantanti intonavano delle presunte "Non-canzoni".Forse erano polemiche gratuite, o comunque se quelle non erano "Canoni" nel senso stretto qualcuno poteva valutarle espressioni artistiche. Questo “Cine-documentario" invece andrebbe fatto vedere ai critici di Moore, magari troppo anti-bushiano ma molto più incisivo nel mettere alla berlina i potenti, o a quelli del più discutibile, ma curioso, "Religolous". Rossi all'inizio scimmiotta male la Guzzanti, lasciando parlare questo sindaco "Di destra" (Ma dice poi cose irragionevoli?), ma rischia di assomigliare al (vero o presunto) Fazio che finisce per accondiscendere senza vivacità, tranne l'intervento del collaboratore citato prima. Successivamente, quando parlano il prete ed una "Passante", sembra di assistere a tratti al miglior Lerner di "Milano,Italia". Ci annoiamo (Un pò) di meno, grazie a frasi come "Delle guerre dei poveri la storia non parla mai". Ma a parte momenti divertenti come la scena di Carlo Marx vestito da Nino D'Angelo, o battute come "Sceglievano il film ,ma quello sbagliato" Rossi comincia a vivacchiare di spunti estemporanei. Quando canta la filastrocca rap contro Marchionne fa il verso al bruttino film "Fame chimica", anche se per un attimo forse richiama "Su la testa!", che lo fece conoscere tanti anni fa. Poi, dopo una "Divertente" ironia sulla catena di montaggio chapliniana, ci propina un ballo ed una discussione lunga e noiosissima su presente efuturo di Pomigliano, nell'illusione ingenua che riprendere le cose sia sufficiente a far cinema o a documentare. E invece non è vera non solo la prima cosa, ma -Quel che è peggio- forse neanche la seconda. Perché forse il documentarista non si illude che riprendere abbia un significato, ma opera sempre una selezione, tranne non ci si illuda di fare cinema- documentario (pensiamo al pessimo “Lavorare con lentezza”), e si opti invece per documentare captando (Eccellenti, in questo senso, talune scene di “Teatro di guerra” di Martone come del resto quasi tutto il film, che riprende la lavorazione di uno spettacolo teatrale senza mai rinunciare a essere cinema).
Esaurita la speranza, per quanto credo in buona fede, che ci si possa improvvisare documentatori, resta solo un omaggio(Pirotecnico in tutti i sensi, purtroppo) alla catena di montaggio di fordiana e chapliniana memoria, alla quale Rossi e c. rendono omaggio nell’ultimo atto della loro “Docufiction”, nell’ingenuità –Forse- che , siccome il cinema è la “Settima arte” e fonde varie forme di espressione artistica, possa essere anche cinema un incontro tra forme di espressione diverse. Purtroppo non (sempre) è così.
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