dounia
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martedì 6 settembre 2011
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la storia che parla
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Lo spettatore, in questo documentario, si trova di fronte alla grotta Chauvet, nome dello speleologo francese che la scoperse nel 1994, e contiene 500 pitture rupestri che risalgono a 32.000 anni fa. Il regista è riuscito a realizzare simile documentazione attraverso permessi che gli sono stati consentiti, con le persone adeguate (storici dell'arte, archeologi, geologi) e attraverso una telecamera piccola, a luce fredda per non danneggiare l'umidità delle pareti, per poche e quindi pochi giorni, su una stradina stretta fissata. Esso presenta un susseguirsi di immagini che lui accompagna con la sua voce profonda. La grotta, quando è stata scoperta, si credeva fosse come tante altre, invece poi sono stati visti dei disegni che lasciano senza fiato e fanno pensare alla realtà umana.
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Lo spettatore, in questo documentario, si trova di fronte alla grotta Chauvet, nome dello speleologo francese che la scoperse nel 1994, e contiene 500 pitture rupestri che risalgono a 32.000 anni fa. Il regista è riuscito a realizzare simile documentazione attraverso permessi che gli sono stati consentiti, con le persone adeguate (storici dell'arte, archeologi, geologi) e attraverso una telecamera piccola, a luce fredda per non danneggiare l'umidità delle pareti, per poche e quindi pochi giorni, su una stradina stretta fissata. Esso presenta un susseguirsi di immagini che lui accompagna con la sua voce profonda. La grotta, quando è stata scoperta, si credeva fosse come tante altre, invece poi sono stati visti dei disegni che lasciano senza fiato e fanno pensare alla realtà umana. Il regista, da filosofo, ha messo a confronto due mondi: quello di allora e quello di oggi e si è chiesto quale dei due ha più valore. Viene ripresa più volte la piccola statua di una donna il cui sesso è disegnato con un bisonte e si capisce che a quei tempi valorizzavano la fertilità e la osannavano. I bisonti disegnati sulle pareti sono fatti vedere al pubblico come se corressero, se parlassero, se fossero degli esseri umani. Il regista, sempre con la sua voce profonda, mostrando la realtà di tanti anni fa e quella di oggi, e chiedendosi quale delle due è più valida, ha realizzato un documentario che non è una semplice visione passiva dei fatti, ma l'ha reso attivo e ha saputo donare alla persona che lo guarda, oltre che un senso di piacere, una serie di domande.
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max ferrarini
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lunedì 6 agosto 2012
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uno sguardo luminoso sull'immensità della storia.
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Il mondo del rito come forma di comunicazione più antica e intensa che sia mai esistita, come forma ineguagliabile e propria di ogni sentire umano che abbia solcato le infinite onde del tempo. Storia umana come sguardo attento agli eventi che ci hanno preceduto, che hanno portato l'uomo a rappresentare la vita e rappresentarsi egli stesso. Il mito platonico della caverna di un uomo di 300 secoli fa che deve saper uscire per capire, come oggi, e che ha bisogno della mediata immediatezza del simbolo per trasmettere una memoria inafferrabile di sè che sempre gli sfugge.
Rito, celebrazione, afflato spirituale che caratterizza in ultima istanza l'uomo ben più di ogni sua natura razionale.
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Il mondo del rito come forma di comunicazione più antica e intensa che sia mai esistita, come forma ineguagliabile e propria di ogni sentire umano che abbia solcato le infinite onde del tempo. Storia umana come sguardo attento agli eventi che ci hanno preceduto, che hanno portato l'uomo a rappresentare la vita e rappresentarsi egli stesso. Il mito platonico della caverna di un uomo di 300 secoli fa che deve saper uscire per capire, come oggi, e che ha bisogno della mediata immediatezza del simbolo per trasmettere una memoria inafferrabile di sè che sempre gli sfugge.
Rito, celebrazione, afflato spirituale che caratterizza in ultima istanza l'uomo ben più di ogni sua natura razionale. Necessità ultima che gli permette di tendere continuamente al fuggevole senso di sè e del mondo da lui abitato, per aprirsi al futuro senza cadere nella disperazione del presente o nella nostalgia del passato. Credere in un domani che dia senso all'oggi, sensibilità della quale noi siamo forse più incapaci nel nostro grande progresso. Storia, tanto lontana quanto vicina, come il silenzio di una immensa caverna che urla all'uomo di oggi l'assenza di un mondo sotterraneo di cui non possiamo che sentirne la mancanza.
Herzog ci dona una viaggio nel passato che, grazie all'arte del cinema documentaristico più staordinariamente narrativo, ha un ché di fantascientifico e, forse, perfino profetico.
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riccardo tavani
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domenica 11 novembre 2012
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la caverna del cinema preistorico
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Il puro cinema è sempre immagine del mondo che mette in scena se stesso senza l’ausilio di una trama romanzata, di personaggi ed attori. Se Herzog ce lo ha dimostrato in più occasioni, qui ce ne dà un’altra magistrale prova. Nel 1994 lo speleologo Jean-Marie Chauvet, scopre una enorme grotta che prende poi il suo nome. È situata in Francia, lungo il fiume Ardèche e contiene quasi 500 pitture rupestri risalenti a 32000 anni fa. Stando alle conoscenze attuali, le più antiche mai ritrovate. Il crollo di una parete rocciosa aveva completamente sigillato l’ingresso della caverna, scattando, come dice Herzog, come un’istantanea fotografica a quella scena che rimane esattamente così com’era al momento del crollo. Il fascino della caverna è aumentato da colate di calcite, le quali, oltre a formare, uno spettacolare fondale di candide stalattiti e stalagmiti, riveste anche i resti ossei animali, come i crani di diversi orsi, rendendoli dei veri e propri oggetti d’arte vetrificati. In quell’epoca lo scenario geologico dell’Europa era radicalmente diverso da come è ora. Vi era uno strato di ghiaccio di circa 2500 metri di altezza, il livello del mare molto più basso e in Gran Bretagna si poteva arrivare a piedi, perché La Manica era secca. Oltre l’uomo preistorico c’erano cavalli, leoni, mammut. E proprio questi sono affrescati sulle pareti ondulate della caverna. Affrescati, però, con un geniale stile d’animazione cinematografica ante litteram. Ai quadrupedi sono disegnate molte più zampe, per simulare l’effetto della corsa. Se poi pensiamo che l’autore del disegno e i visitatori di allora illuminavano le pareti con torce (delle quali si vedono ancora i segni sulle pareti), lo scorrere della luce sull’insieme produceva davvero un effetto di movimento, che Herzog ci mostra, riproducendolo con le sue lampade per le riprese. Abbiamo detto autore perché si pensa sia uno solo. Su un ampio disco rotondo di roccia sono stati impressi numerosi palmi di mano. Tutti questi palmi hanno il dito mignolo storto. La stessa impronta, con lo stesso dito deformato, si trova in diversi altri punti dell’ambiente sotterraneo. Soprattutto il fascino che Herzog subisce e ci trasmette è quello della improvvisa vicinanza, anzi interiorità, che sentiamo con quest’uomo sepolto sotto gli strati più profondi della nostra corteggia cerebrale e genetica. Perché chiamarlo “Homo Sapiens”, si domanda uno studioso? No, era un uomo spirituale. Un antropologo fa emergere due tratti della sua sensibilità e spiritualità naturale, riassumibili in due concetti salienti: quello di fluidità e quello di permeabilità. Fluidità, perché non c’era per lui un confine rigido tra uomo, animali, acqua del fiume, vegetazione e quelle rocce imponenti. Permeabilità, perché lo spirito e la materia si compenetrano a vicenda e retro agiscono l’una sull’altro. La bellezza stilizzata di quei cavalli e di quei leoni, infatti, ci dice che non si tratta di una mera riproduzione della realtà esteriore, ma di una vera e propria produzione, creazione artistica di un senso interiore, di uno spirito comune del mondo. A un certo punto Herzog chiede all’equipe scientifica e alla sua troupe di fare completo silenzio, per ascoltare il battito, il respiro della caverna. Vuole far percepire anche a noi questo battito remoto, questo barlume di eternità che pulsa sprofondato ma mai spento nelle viscere della Terra come in quelle del nostro essere. Un’opera magistrale nella storia del genere documentario.
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(di kondor17)
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fabian t.
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martedì 26 maggio 2015
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capolavoro oltre i limiti di un documentario
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Inutile, i capolavori si percepiscono immediatamente e non si ha bisogno di tante parole per definirne le qualità palesemente evidenti. Qui poi siamo di fronte al capolavoro nel capolavoro, un documentario - che è più di ciò che potrebbe sembrare - realizzato in uno dei luoghi più misteriosi, pregnanti ed evocativi della storia umana. Herzog riesce, pertanto, ad andare oltre la percezione visiva concedendo inestimabilmente allo spettatore un'esperienza, né più né meno, mistica e illuminante. Attraverso la sua regia, in definitiva, si avverte la sensazione di appartenere tutti a quella grotta e alle sue suggestioni parietali, luogo ancestrale dove ognuno di noi sembra trovare la propria origine e la propria essenza di creatura senziente, come in un intimo e universale ritorno a casa.
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Inutile, i capolavori si percepiscono immediatamente e non si ha bisogno di tante parole per definirne le qualità palesemente evidenti. Qui poi siamo di fronte al capolavoro nel capolavoro, un documentario - che è più di ciò che potrebbe sembrare - realizzato in uno dei luoghi più misteriosi, pregnanti ed evocativi della storia umana. Herzog riesce, pertanto, ad andare oltre la percezione visiva concedendo inestimabilmente allo spettatore un'esperienza, né più né meno, mistica e illuminante. Attraverso la sua regia, in definitiva, si avverte la sensazione di appartenere tutti a quella grotta e alle sue suggestioni parietali, luogo ancestrale dove ognuno di noi sembra trovare la propria origine e la propria essenza di creatura senziente, come in un intimo e universale ritorno a casa.
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andrea alesci
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mercoledì 15 luglio 2015
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l’immaginifico cammino dell’homo spiritualis
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Ci voleva la suadente grazia documentaristica di Werner Herzog per farci compiere un viaggio di 30.000 anni nel nostro passato. Un viaggio nella valle dell’Ardèche per giungere al tempo in cui convivevano lupi, bisonti, mammut, orsi, rinoceronti, renne, cavalli, leoni, ibex. E uomini. Siamo trasportati nell’era del Paleolitico immergendoci con l’occhio privilegiato della telecamera nella grotta Chauvet, scoperta per caso nel 1994 dallo speleologo Jean-Marie Chauvet insieme a Éliette Brunel e Christian Hillaire.
Al cineasta tedesco è stato concesso un permesso speciale per filmare nel giro di pochi giorni l’interno di quella che è una vera e propria capsula del tempo.
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Ci voleva la suadente grazia documentaristica di Werner Herzog per farci compiere un viaggio di 30.000 anni nel nostro passato. Un viaggio nella valle dell’Ardèche per giungere al tempo in cui convivevano lupi, bisonti, mammut, orsi, rinoceronti, renne, cavalli, leoni, ibex. E uomini. Siamo trasportati nell’era del Paleolitico immergendoci con l’occhio privilegiato della telecamera nella grotta Chauvet, scoperta per caso nel 1994 dallo speleologo Jean-Marie Chauvet insieme a Éliette Brunel e Christian Hillaire.
Al cineasta tedesco è stato concesso un permesso speciale per filmare nel giro di pochi giorni l’interno di quella che è una vera e propria capsula del tempo. L’occhio indagatore di Werner Herzog si accompagna a quello di una piccola squadra di scienziati, archeologi, storici dell’arte, paleontologi lungo una stretta passerella in metallo che si snoda fra le stanze della Grotta Chauvet, preservata dai respiri dei turisti che negli anni hanno invece provocato la formazione di muffe nelle Grotte di Lascaux.
In un ambiente illuminato soltanto dalle lampade portatili, ci lasciamo affascinare da dipinti animaleschi che uomini di trecento secoli fa disegnarono sulle pareti. Segni neri che in molti casi si sovrappongono gli uni agli altri in un’illusione di movimento da protocinema: siamo come spettatori racchiusi entro il confine buio di una sala cinematografica. Spettatori di un’animazione che prese vita in una sorta di caverna Platonica: oggi mappata millimetro per millimetro con lo scanner laser, un tempo oscuro luogo ove si materializzavano le visioni di protoartisti. Alla sola luce della fiamma le ombre furono la pima forma di rappresentazione e nel silenzio della grotta i battiti del cuore erano l’unica colonna sonora di momenti a forte intensità spirituale: figure di animali s’imprimevano sulle pareti rocciose, dando compimento materiale alla comprensione del mondo attraverso l’arte.
L’immagine pittorica iscrive la memoria dell’uomo negli oggetti (siano essi pareti, ossa, pezzi di legno) in un legame indissolubile col paesaggio esterno. Rappresentazioni figurative che altri uomini continuarono a disegnare all’interno della Grotta Chauvet anche alcune migliaia di anni più tardi; come se la mano di quegli uomini fosse parte di un grande spirito che descrive la profonda gamma emotiva di un homo spiritualis in continuo divenire.
In quel cinematografo ante litteram v’è graffita una sola componente umana: si tratta di attributi sessuali femminili ghermiti dall’abbraccio di un bisonte, primigenio substrato del Minotauro di Pablo Picasso. Ecco emergere due concetti che marcano l’uomo sin dal Paleolitico: la fluidità, legata alle categorie con cui rappresentiamo il mondo (uomo, donna, alberi, cavalli, etc.), che sono in connessione fra loro e possono trasformarsi; la permeabilità, che fa svanire le barriere tra mondo reale e mondo degli spiriti, consentendo a quelle buie pareti di parlarci.
Quei dipinti potevano parlare allora, e ancora lo fanno adesso: sono memorie di sogni dimenticati, che il montaggio di Herzog ci regala nel finale del documentario in dosate lente panoramiche sulla superficie delle rocce, mentre il suono di un flauto e angeliche voci di donna ci immergono nel mito dell’umanità. Ed è come se tantissimi occhi ci guardassero muti mentre riscopriamo quell’ancestrale forma di comunicazione visuale che travalica persino la potenza della parola. Mentre guardiamo nell’abisso del tempo per continuare a sognare.
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apropositodicinema
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domenica 15 novembre 2015
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grazie, werner!
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Un viaggio all’interno della Grotta Chauvet, in Francia, contenente i dipinti preistorici più antichi scoperti fin'ora, risalenti a 32000 anni fa.
I documentari di Herzog non sono mai soltanto dei documentari, ma sono delle vere e proprie opere cinematografiche che incantano e fanno riflettere. La Grotta Chauvet è la più antica testimonianza dell’arte dell’uomo scoperta fin’ora, il luogo in cui l’animo umano sembra aver preso definitivamente vita per la prima volta. Herzog riflette su questo, contemplando le pitture all’interno della grotta lasciateci dai nostri antenati, accompagnando le splendide immagini con musiche che rendono la visione ancora più affascinante.
Quello di Herzog è un elogio all’arte visiva, quella del passato così come quella odierna, che sembrano non essere molto differenti l’una dall’altra: i tempi cambiano, le tecnologie si sviluppano e i mezzi a disposizione si aggiornano, ma lo scopo dell'arte rimane sempre lo stesso e ancora oggi riusciamo a rimanere estasiati davanti a pitture rupestri di oltre 30 mila anni fa.
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Un viaggio all’interno della Grotta Chauvet, in Francia, contenente i dipinti preistorici più antichi scoperti fin'ora, risalenti a 32000 anni fa.
I documentari di Herzog non sono mai soltanto dei documentari, ma sono delle vere e proprie opere cinematografiche che incantano e fanno riflettere. La Grotta Chauvet è la più antica testimonianza dell’arte dell’uomo scoperta fin’ora, il luogo in cui l’animo umano sembra aver preso definitivamente vita per la prima volta. Herzog riflette su questo, contemplando le pitture all’interno della grotta lasciateci dai nostri antenati, accompagnando le splendide immagini con musiche che rendono la visione ancora più affascinante.
Quello di Herzog è un elogio all’arte visiva, quella del passato così come quella odierna, che sembrano non essere molto differenti l’una dall’altra: i tempi cambiano, le tecnologie si sviluppano e i mezzi a disposizione si aggiornano, ma lo scopo dell'arte rimane sempre lo stesso e ancora oggi riusciamo a rimanere estasiati davanti a pitture rupestri di oltre 30 mila anni fa. Questo è sinonimo di come il culto della bellezza dell'arte per l’uomo è qualcosa di ontologico e fuori dal tempo.
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carloalberto
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venerdì 8 ottobre 2021
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herzog oltre le sue contraddizioni
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Per chi volesse approfondire un minimo, a seguito della visione del filmato, gli argomenti in esso toccati, segnalo un interessante intervista dell’archeologo ed esperto di arte paleolitica Jean Clottes, che pure compare nel documentario, rilasciata a Repubblica nel 2016, sul significato sciamanico delle pitture rupestri di Chauvet. Herzog gioca con le luci, usate come fiaccole preistoriche, per animare le figure di animali totemici dipinti sulle pareti della grotta. Il risultato è una suggestione emotiva che risveglia visioni ancestrali e per qualche attimo siamo in quella grotta e proviamo le stesse ineffabili sensazioni di quegli uomini senza linguaggio che utilizzavano i segni per comunicare con gli spiriti del mondo.
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Per chi volesse approfondire un minimo, a seguito della visione del filmato, gli argomenti in esso toccati, segnalo un interessante intervista dell’archeologo ed esperto di arte paleolitica Jean Clottes, che pure compare nel documentario, rilasciata a Repubblica nel 2016, sul significato sciamanico delle pitture rupestri di Chauvet. Herzog gioca con le luci, usate come fiaccole preistoriche, per animare le figure di animali totemici dipinti sulle pareti della grotta. Il risultato è una suggestione emotiva che risveglia visioni ancestrali e per qualche attimo siamo in quella grotta e proviamo le stesse ineffabili sensazioni di quegli uomini senza linguaggio che utilizzavano i segni per comunicare con gli spiriti del mondo. La conclusione, sebbene fascinosa ed intrigante, alla Herzog, appare un po’ forzata. Il paragone degli uomini moderni, impotenti a capire, cechi dinanzi al mistero delle raffigurazioni di una civiltà perduta, ai coccodrilli superstiti in un futuro mondo post apocalittico senza uomini, esclude la continuità del percorso umano attraverso epoche diverse. La resa all’inesplicabile dell’artista Herzog non può vanificare lo sforzo degli scienziati, archeologi, antropologi, etnologi, di comprendere e di riannodare i fili anche laddove cesure temporali enormi rendono l’impresa a prima vista impossibile. Del resto lo stesso Herzog mostra di credere ad una comprensione dell’umano, sebbene non concettuale, che va oltre il tempo, risvegliando magicamente, attraverso la riproduzione filmica delle immagini, emozioni ancestrali che accomunano l’uomo moderno a quello preistorico e che sopravvivono sopite, ma non del tutto eliminate, e sepolte nella memoria collettiva della presente umanità tecnologica.
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