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club dei cuori solitari
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domenica 6 febbraio 2011
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bellissimo
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Biutiful è grezzo, sporco e viscerale. Inizia dalla fine, da qualcosa che non riusciamo a capire, poi la cinepresa si attacca ad Uxbal e non lo lascia più. La camera a mano, mossa e irrequieta, lo segue nelle sue visite mediche (è molto malato), nel suo "lavoro" (è invischiato in loschi affari con i venditori abusivi africani e i lavoratori sottopagati cinesi), nelle sue dinamiche famigliari (dopo aver divorziato da sua moglie, affetta da bipolarismo, deve crescere i suoi due bambini da solo) e last but non least nell'esercizio del suo dono (è in grado di interagire con le anime dei defunti).
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Biutiful è grezzo, sporco e viscerale. Inizia dalla fine, da qualcosa che non riusciamo a capire, poi la cinepresa si attacca ad Uxbal e non lo lascia più. La camera a mano, mossa e irrequieta, lo segue nelle sue visite mediche (è molto malato), nel suo "lavoro" (è invischiato in loschi affari con i venditori abusivi africani e i lavoratori sottopagati cinesi), nelle sue dinamiche famigliari (dopo aver divorziato da sua moglie, affetta da bipolarismo, deve crescere i suoi due bambini da solo) e last but non least nell'esercizio del suo dono (è in grado di interagire con le anime dei defunti). Ma niente paura, il pregio più grande di questo film è quello di non trovarsi mai compresso, soffocato dai suoi troppi aspetti. Di carne al fuoco ce n'è molta, ma il regista riesce a non arrivare mai con il fiato corto, si prende il suo tempo, racconta tutto ma trova anche lo spazio di fermarsi a (farci) pensare. Si riflette in questo film, durante la visione.
Il secondo pregio è senza ombra di dubbio Javier Bardem, nell'ennesimo ruolo memorabile della sua carriera. Ingrigito e imbruttito regge la pellicola sulle sue spalle, subendo il peso, immane, di questa vita che si trova a vivere. Il suo corpo, bersagliato dal destino, si muove in una Barcellona segreta e profonda, lontana dai turisti e dai palazzi da cartolina, che rimangono sullo sfondo, in lontananza, nelle silenziose panoramiche. Ma lui in fondo, fra quelli che vediamo in questa realtà di emarginati, disperati e poveracci, non è neanche quello messo peggio. In verità né nel malfamato contesto di criminalità e corruzione, né nella drammatica parte del protagonista c'è niente di nuovo. Un qualsiasi buon servizio giornalistico sul degrado delle città, e un qualsiasi film noir riportano le stesse tematiche, ma ancora una volta la differenza sta nel modo in cui le cose vengono trattate.
Alejandro Gonzàlez Inarritu trova la sua personale strada nel caos dell'Europa multietnica, nel dramma delle famiglie distrutte di oggi, in questo mondo disastrato. I suoi primi tre film: Amores Perros, 21 grammi, e Babel, scritti da Guillermo Arriaga, sono stati definiti "trilogia della morte" poiché trattano tutti in qualche modo quel tema. Questa è la riprova che qualsiasi etichetta affibbiata ad un autore, senza che l'abbia deciso lui, è del tutto sbagliata, perché Biutiful non è nient'altro che la sua più grossa e ambiziosa riflessione sulla morte, e su tutto ciò che ne deriva. Uxbal, uomo comune e peccatore, tutt'altro che eroe, non vuole morire, non vuole essere dimenticato, come tutti. Non vuole lasciare i suoi figli in questa società malata come e più di lui, le cui metastasi si allargano smisuratamente anche sui suoi cari. Deve proteggerli, deve essere un padre per loro, ciò che lui non ha mai avuto, tanto da averne ancora un forte desiderio. E nel finale, quando il suo dono gli permette di parlare a sé stesso, e di veder cominciare il suo viaggio, in quel momento altissimo e puro, potrebbe esserci finalmente qualcosa di bello.
Liberatosi dall'intreccio corale che caratterizzava ogni sceneggiatura di Arriaga, Inarritu ha realizzato qui il suo film più sentito e sincero, tanto da averlo dedicato al padre. Invece dei giochi narrativi e di montaggio ha preferito pedinare il suo protagonista, come in una sorta di neo neorealismo, proponendoci con crudezza e immediatezza ogni suo lato, ogni sua faccia. Questa dedizione porta in taluni momenti a scene strazianti, meravigliose manifestazioni d'amore, che fioriscono nella marcia dolente di Uxbal, sottolineata sempre in modo diverso dalle stupende musiche di Santaolalla.
Come se Inarritu e i suoi sceneggiatori fossero stati in qualche modo contagiati da Arriaga però, ritornano alcuni elementi dei vecchi film. C'è un abbozzo di storie parallele, anche se ridotte all'osso e intrinsecamente legate alla principale, nonché la tendenza a ricucire tutti i fili della trama in un disegno finale preciso e calcolato. È abbastanza fuori luogo e inutilmente morboso l'approfondimento della sottotrama dei cinesi, così com'è esagerata e gratuitamente efferata la scena dell'inseguimento ai clandestini. Ma forse tutto serve a contribuire al ritratto di questa vita dove persino la parola bellezza è storpiata, dove nemmeno con la morte arriva la pace. Rimane però sotto la pelle, indelebile, una dolce sensazione di speranza, dopo quel finale. Credo in un'evoluzione del suo cinema, o almeno, se non nella chiusura di una fase passata, nel folgorante diamante della sua carriera, come fu Il Lungo Addio per Altman. Dopo la visione posso dire che la poetica di Inarritu non è cambiata, il suo stile nemmeno, ma è maturato, è giunto alla sua massima espressione. È chiaro che da qui in poi tutto sarà diverso, e dipenderà dai suoi prossimi film stabilire se il paragone altmaniano era giusto o meno. Per ora mi limito a dire che Biutiful... è bellissimo.
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andyzerosettesette
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sabato 5 febbraio 2011
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dramma sociale e redenzione individuale
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Il tema dell'aldilà e del rapporto con la morte, pur presente sotto traccia in non poca cinematografia anche hollywoodiana, generalmente era però secondario e finiva per essere affrontato in modo ingenuo o per servire allo scopo di confezionare qualche blockbuster senza pretese. Negli ultimi due anni si assiste invece all'uscita di film di grande qualità, sia pure diversissimi per sviluppi narrativi e sensibilità dei rispettivi autori, che sono fondamentalmente delle riflessioni sulle conseguenze della morte o sul modo in cui la morte, intesa come partenza verso un altro mondo, può sconvolgere l'esistenza di chi resta.
Se ad esempio Scorsese con Shutter Island indagava sugli aspetti psichici di uno shock causato dalla morte violenta di persone care, e Peter Jackson provava in Amabili resti a declinare il tema in un'ottica più intimista e per certi versi consolatoria, più recentemente è stato addirittura Clint Eastwood, che un tempo si sarebbe considerato distante anni luce da argomenti di carattere "spirituale" in senso lato, a costruire con Hereafter una bella storia incentrata sul passaggio da l nostro all'"altro" mondo e su come il contatto con quest'utimo possa cambiare per sempre la percezione della realtà.
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Il tema dell'aldilà e del rapporto con la morte, pur presente sotto traccia in non poca cinematografia anche hollywoodiana, generalmente era però secondario e finiva per essere affrontato in modo ingenuo o per servire allo scopo di confezionare qualche blockbuster senza pretese. Negli ultimi due anni si assiste invece all'uscita di film di grande qualità, sia pure diversissimi per sviluppi narrativi e sensibilità dei rispettivi autori, che sono fondamentalmente delle riflessioni sulle conseguenze della morte o sul modo in cui la morte, intesa come partenza verso un altro mondo, può sconvolgere l'esistenza di chi resta.
Se ad esempio Scorsese con Shutter Island indagava sugli aspetti psichici di uno shock causato dalla morte violenta di persone care, e Peter Jackson provava in Amabili resti a declinare il tema in un'ottica più intimista e per certi versi consolatoria, più recentemente è stato addirittura Clint Eastwood, che un tempo si sarebbe considerato distante anni luce da argomenti di carattere "spirituale" in senso lato, a costruire con Hereafter una bella storia incentrata sul passaggio da l nostro all'"altro" mondo e su come il contatto con quest'utimo possa cambiare per sempre la percezione della realtà. E' difficile non collocare Biutiful in questo filone, e soprattutto sfuggire alla tentazione di cogliere il parallelismo fra il personaggio interpretato da Javier Bardem e quello di Matt Damon in Hereafter, accomunati da un dono che entrambi vivono come un fardello e che talora "usano" più per destino che per scelta, ma di cui mai abusano. Ma mentre Eastwood, forse anche con qualche semplicismo, si muove principalmente sul terreno dello spirito, Inarritu preferisce puntare su quello del corpo e riesce magistralmente a sviluppare la sua storia su più piani paralleli ma tutti ugualmente "carnali": il dramma personale e fisico di Uxbal si sovrappone a quello della sua difficile situazione famigliare reso evidente dagli eccessi del fratello, dagli squilibri della moglie e dalle conseguenze di tutto questo sui due bambini, e al dramma sociale di una Spagna (di un Occidente) in cui gli "ultimi" esistono ancora, hanno la pelle nera o gli occhi a mandorla e con la morte, oltre che col rifiuto della società, convivono quotidianamente.
Uxbal, proprio a partire dal momento in cui scopre di stare affrontando un suo percorso senza ritorno verso la fine, trova una sorta di redenzione personale in parte negli affetti familiari (il tema del rapporto padre-figli percorre tutta la storia), ma soprattutto in una sua personalissima condivisione del dolore con un mondo di emarginati di cui aveva sempre fatto parte anch'egli, ma in precedenza ricoprendo un ruolo per così dire "compromesso" con gli squilibri della società ricca e sfruttatrice. Un Bardem sempre più a suo agio in ruoli dove anche fisicamente sembra portare il peso del dolore, rende progressivamente palese questa sorta di lenta evoluzione del suo personaggio, complicata peraltro, e per questo resa più "eroica", da eventi tragici in cui il destino sembra giocare il classico ruolo crudele che in genere gli spetta. Ma se la redenzione, il "redde rationem" prima di andarsene, è dei singoli, la società ne esce invece fatta a pezzi perchè non mostra alcun segno di "pentimento" per le iniquità globali che produce con noncuranza, facendo della vita umana una lotta per la sopravvivenza e scatenando nelle sue vittime comportamenti estremi, tanto bassi istinti quanto slanci di umana compassione.
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zico76
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sabato 5 febbraio 2011
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inquietante
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triste , angosciante , maledettamente attuale a tratti malinconico . la vita a volte e' davvero drammatica e lo si puo' vedere in tutto quello che ci circonda , questa e' la bravura di gonzalez , ha reso ogni cosa nel film tetra , dagli ambienti ai personaggi alle circostanze . tutto e' cosi' costantemente inquietante da diventare un peso , che rende la lunga visione ( 138 minuti ) quasi faticosa , fatica che solo la morte di uxbal nel finale affievolisce . ma le cose non cambiano , nessuna prospettiva migliore , nessun buon proposito , nessun lieto fine . un film forte che ti prova , ti lascia il segno , ti appesantisce , e' un film che ti tocca nel profondo .
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triste , angosciante , maledettamente attuale a tratti malinconico . la vita a volte e' davvero drammatica e lo si puo' vedere in tutto quello che ci circonda , questa e' la bravura di gonzalez , ha reso ogni cosa nel film tetra , dagli ambienti ai personaggi alle circostanze . tutto e' cosi' costantemente inquietante da diventare un peso , che rende la lunga visione ( 138 minuti ) quasi faticosa , fatica che solo la morte di uxbal nel finale affievolisce . ma le cose non cambiano , nessuna prospettiva migliore , nessun buon proposito , nessun lieto fine . un film forte che ti prova , ti lascia il segno , ti appesantisce , e' un film che ti tocca nel profondo . tre stelle anche per me
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paapla
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sabato 5 febbraio 2011
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non è un film per tutti
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Clinton Eastwood o Alejandro Inarritu? Hereafter o Biutiful? Il californiano o il messicano? Due grandi del cinema mondiale che hanno raccontato la stessa storia con fantasia e maestria. Il film Biutiful, scritto e diretto da Alejandro Inarritu, da voce ai forzati delle produzioni a basso prezzo ma dai costi sociali altissimi. Lo spettatore per 138 minuti rimane in apnea e segue uno Javier Bardem, mirabile, che si muove in una Barcelona corrotta e smarrita, dove i cadaveri dei cinesi clandestini affiorano davanti il Big Fsh di Frank Gehry. Non è un film per tutti. Tutti lo dovrebbero vedere.
[+] javier bardem conferma la sua bravura!
(di massibrucia)
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el indio
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domenica 23 gennaio 2011
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favoloso!
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Esiste veramente il regista Alejandro Ramirez Inariditu reso famoso da Maccio Capatonda? Andrò a vedere il film sulla fiducia!!!
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