carloalberto
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lunedì 2 novembre 2020
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è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia
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J'ai tué ma mère è un piccolo gioiello di cinematografia del talentuoso quanto precoce Xavier Dolan, che, al suo esordio alla regia, a soli 20 anni, ha scritto il soggetto e la sceneggiatura, diretto ed interpretato da protagonista un film nel quale immagini, musica, citazioni, colori e sentimenti si fondono, con estrema naturalezza, in un’opera drammatica, che, pur prendendo spunto da vicende autobiografiche, non rimane un racconto intimista asfitticamente chiuso nell’ambito di una soggettività adolescenziale, ma si espande da subito abbracciando temi universali.
Più adatta nell’incipit sarebbe stata, forse, la citazione di alcuni versi di Supplica a mia madre di Pasolini: “Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
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J'ai tué ma mère è un piccolo gioiello di cinematografia del talentuoso quanto precoce Xavier Dolan, che, al suo esordio alla regia, a soli 20 anni, ha scritto il soggetto e la sceneggiatura, diretto ed interpretato da protagonista un film nel quale immagini, musica, citazioni, colori e sentimenti si fondono, con estrema naturalezza, in un’opera drammatica, che, pur prendendo spunto da vicende autobiografiche, non rimane un racconto intimista asfitticamente chiuso nell’ambito di una soggettività adolescenziale, ma si espande da subito abbracciando temi universali.
Più adatta nell’incipit sarebbe stata, forse, la citazione di alcuni versi di Supplica a mia madre di Pasolini: “Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia”, piuttosto che quella di un aforisma di Guy de Maupassant “On aime sa mère presque sans le savoir, et on ne s’aperçoit de toute la profondeur des racines de cet amour qu’au moment de la séparation dernière”.
Dolan, impressionando la pellicola con l’arte di un Degas, fa risaltare il carattere essenziale dei suoi personaggi, colti in un particolare stato d’animo, quello della stasi che prelude al movimento, ritraendoli in spazi angusti, limitati, a rappresentare metaforicamente la chiusura al mondo e contemporaneamente l’anelito inconsapevole alla rottura degli schemi e all’apertura verso l’altro. La donna intrappolata nel suo ruolo di insegnante e raffigurata mentre serve il tè al suo giovane ospite, quasi immobilizzata, prigioniera del mobilio antiquato della vecchia casa ereditata dalla nonna, fuggirà in un viaggio liberatorio verso la Columbia Britannica a raggiungere un’amica. La madre bloccata in un angolo, tra il computer e una stupida trasmissione televisiva, in una impenetrabile fortezza di finta indifferenza, eretta a difesa della propria inadeguatezza, avrà la forza di reagire, rompendo la monotonia delle schermaglie tipiche del conflitto generazionale, in uno slancio emotivo che supera la barriera della incomunicabilità.
Se la ragione si rivela impotente e le parole inutili, sembra dire Dolan, non resta che fare appello al cuore e risalire la china dei ricordi, fino al paradiso perduto dell’infanzia, al rifugio ancestrale dei giorni felici della casa al mare, ritrovando la simbiosi perfetta di madre e figlio nelle nostalgiche immagini sgranate di un vecchio filmino a colori, girato in Super 8, che idealmente si contrappongono a quelle iniziali, riprese con una video camera, in bianco e nero, a raccogliere le confessioni di odio-amore del protagonista verso suo madre per l’incapacità di dirle la sua diversità, dovuta a quel nemico interiore che impedisce la verità nei rapporti, creando ostacoli alla reciproca comprensione, e che è il vero nemico da uccidere.
Alcune piccole pecche si possono riscontrare nelle sequenze finali. Ad esempio, l’inquadratura frontale dei due, mentre il ragazzo prende la mano della madre, speculare alla precedente scena, nella quale i due sono ripresi di spalle, davanti a una scogliera, con la madre che sedutasi accanto al figlio lo abbraccia, risulta ridondante rispetto alla prima, già poeticamente suggestiva e compiuta, così come ultroneo e retorico appare il gesto del protagonista di staccare la grossa lacrima azzurra dal viso del pupazzetto che raffigura sua madre.
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francescofacchinetti
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domenica 24 maggio 2020
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il bulbo del fiore che poi è diventato.
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Finalmente ho recuperato (in DVD très vintage) “J’ai Tué Ma Mère” de l’infant prodige Xavier Dolan. Il film è dannatamente indie nello stile e dannatamente Dolan nel cuore, proprio perché Dolan è l’esponente più emotivo del cinema indie. A partire dalla scelta dei personaggi, dei dialoghi, fino alla sceneggiatura tutta, non esiste aspetto che Dolan non concepisca con la pancia (e con parecchio gusto estetico), e questo lo rende uno dei miei registi preferiti. I turbamenti dei personaggi (e questo discorso vale per ogni suo film) non seguono mai i clichés dei film drammatici più patinati, strappano quel velo di fiction (che spesso usiamo anche nella vita reale) per lasciare tutto a vista, vulnerabilità e ferite comprese.
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Finalmente ho recuperato (in DVD très vintage) “J’ai Tué Ma Mère” de l’infant prodige Xavier Dolan. Il film è dannatamente indie nello stile e dannatamente Dolan nel cuore, proprio perché Dolan è l’esponente più emotivo del cinema indie. A partire dalla scelta dei personaggi, dei dialoghi, fino alla sceneggiatura tutta, non esiste aspetto che Dolan non concepisca con la pancia (e con parecchio gusto estetico), e questo lo rende uno dei miei registi preferiti. I turbamenti dei personaggi (e questo discorso vale per ogni suo film) non seguono mai i clichés dei film drammatici più patinati, strappano quel velo di fiction (che spesso usiamo anche nella vita reale) per lasciare tutto a vista, vulnerabilità e ferite comprese. In questa opera prima ci sono già tutti i bulbi dei fiori che saranno in seguito (e anche alcuni personaggi), è un bozzolo, non ancora schiuso, della sua poetica, della sua regia e della sua rinomata caratterizzazione dei personaggi. Mo l’ho visti tutti, dopodomani la sua ottava fatica “Matthias & Maxim”. Je ne peux pas attendre ;)
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franto70
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mercoledì 16 settembre 2015
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esordio scoppiettante
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Confesso di aver visto questo film dopo aver scoperto Mommy, che mi ha letteralmente travolto. Ho voluto così esplorare l'intera cinematografia di questo incredibile regista partendo dal suo primo film. Ho ritrovato così lo stesso tema di Mommy (rapporto burrascoso madre/figlio) con gli stessi attori, a parte lo stesso regista qui nella parte del figlio. Dolan riesce in maniera impeccabile a far emergere tutti i rancori, le fobie, le rabbie sommerse, con una violenza che è tanto disturbante quanto accattivante. Lo spettatore non è mai annoiato e viene quasi trascinato all'interno dello schermo, affezionandosi ai personaggi, amandoli e odiandoli allo stesso tempo.
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Confesso di aver visto questo film dopo aver scoperto Mommy, che mi ha letteralmente travolto. Ho voluto così esplorare l'intera cinematografia di questo incredibile regista partendo dal suo primo film. Ho ritrovato così lo stesso tema di Mommy (rapporto burrascoso madre/figlio) con gli stessi attori, a parte lo stesso regista qui nella parte del figlio. Dolan riesce in maniera impeccabile a far emergere tutti i rancori, le fobie, le rabbie sommerse, con una violenza che è tanto disturbante quanto accattivante. Lo spettatore non è mai annoiato e viene quasi trascinato all'interno dello schermo, affezionandosi ai personaggi, amandoli e odiandoli allo stesso tempo. Tutto ciò, frutto di un regista appena ventenne (e oggi nenache trentenne), merita un applauso scrosciante.
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